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L’Alta Valle Belbo, tra luoghi di fede e luoghi letterari
Andare a zonzo per l’Alta Valle Belbo in una giornata estiva regala innanzitutto una boccata di aria fresca lontano dalla calura e dall’afa della Bassa Langa.
Andare per cappelle campestri permette poi di scoprire alcuni dei più affascinanti belvedere dove -da tempo immemorabile- l’uomo cerca un contatto con l’universo, la natura, un Dio o uno spirito dei luoghi. Le cappelle campestri infatti sono spesso molto antiche e “ricalcano” precedenti culti e ancestrali visioni che in epoca pre-cristiana hanno visto i romani e prima ancora i celti e i liguri affacciarsi su questi stessi balconi, invocando i loro Dèi, proprio come oggi queste chiese ricordano i vari San Rocco, San Bovo o Santa Caterina.
Ma sbagliare strada nell’Alta Valle Belbo significa pure spessissimo incontrare quella immaginaria e letteraria delle pagine di Beppe Fenoglio, il più langhetto degli scrittori piemontesi, legato a questa valle da un corpus di opere indimenticabili.
Così, non è difficile immaginare lo scrittore in lambretta col fido Aldo Agnelli che si sporge da uno sperone sul Belbo a narrare di Placido, di pioggia e spose e di giocatori d’azzardo ed esattori alle prime armi. Ed è bello fermarsi lassù, davanti a un portico che vide secoli di pellegrini e mercanti riposare alla sua ombra; stare sotto una campana che oggi solo il vento fa rintoccare senza più interrompere la fatica contadina in pause canoniche; dai vetri offuscati spiare i polverosi banchi che videro donne analfabete e timorate confessare peccati inesistenti davanti ad affreschi parlanti di punizioni e martiri a maggior gloria di Dio e della sua chiesa; in una radura di orchidee selvatiche e arbusti ormai montani a lasciar correre il vento e le voci che si porta dietro di valle in valle. È bello fermarsi quassù.
Cani abbaiano in echi continui, piccoli falò alzano colonne di fumo da sperdute cascine, colpi eccheggiano dall’ombra dei noccioleti dove qualcuno lavora, corvi volteggiano disperati nell’inutile tentativo di seminare una poiana, le nuvole corrono veloci tra i campanili e il verde di boschi intatti, il marin porta i sogni lontani di un mare vicino, la Langa -quella vera, austera e materna- attende immobile il proprio tempo.
Partiamo dunque da Alba attraverso il profetico corso Langhe e la frazione Ricca, dove al semaforo prendiamo a dx per località Spessa o in alternativa per La Commenda: entrambe le strade salgono per la collina verso Benevello dove arrivano in prossimità della Chiesetta della Madonna di Langa (La Commenda a sx della chiesa, Spessa a dx). La leggenda vuole che all’antica Pieve (oggi scomparsa) si fermò a pregare San Francesco in viaggio verso Cortemilia. Ricostruita solo nel 1923, la chiesetta gode di una posizione panoramica con imperdibile contorno di mucche del vicino allevamento dei Gallesio e fontanella di ordinanza, tra il fresco delle piante. Posto perfetto in ogni stagione (d’inverno ha una vista spettacolare fino a Torino) è assolutamente da evitare solo in presenza di un matrimonio (ahimé frequente con la bella stagione). Ricordatevi di salire a piedi lasciando l’auto sulla strada.
Da Benevello proseguiamo sulla cresta della collina che in poche curve ci porta sulla dorsale principale delle Langhe: questo è il nostro asse principale che corre fino a Montezemolo, oltre la Valle Belbo e da cui prenderemo le piccole digressioni in cerca di cappelle campestri remote e romite. Possiamo dunque imboccare il bivio per Lequio Berria, paesino allungato su una dolce collina che si affaccia sulla fresca valletta del torrente Berria, tra Benevello e Borgomale. Proprio poco oltre il paese sorge il Santuario della Madonna della Neve, di cui possiamo seguire i piloni votivi dal tumulo del centro storico -ove un tempo sorgeva il castello)-passando per la vecchia mulattiera. La chiesa ha perduto l’originaria facciata quattrocentesca ed è stata più volte saccheggiata da ladri e vandali; ciononostante la posizione resta notevole, con un’area attrezzata ampia e ombrosa e una vista mirabile e inedita. Da ricordare le forme sottili e slanciate del campanile originario.
Ritornando sulla dorsale principale, la nostra prossima tappa è Arguello, dal bivio della frazione Tre Cunei. Arguello, detto pais der cucu (il paese del cuculo), è un borgo minuscolo, abbarbicato su uno sperone di roccia a strapiombo sul Belbo, in una posizione imprendibile, gemello del prossimo Cerretto Langhe, entrambi in faccia al poderoso castello di Cravanzana. L’antica Pieve di San Frontiniano, appena sotto il paese, è una delle più antiche pievi delle Langhe: risale al XIII sec. ed è oggi (2014) per fortuna in restauro conservativo. Venne eretta dai monaci benedettini che proprio in questa valle riportarono arte e cultura dopo i secoli bui. Lo spazio antistante vede volentieri bimbi giocare nell’area attrezzata e frequenti “riunioni tecniche” della attiva Pro Loco. Dalla Pieve una strada corre ripida giù al Belbo per risalire a Cerretto o attraversare il fiume verso Cravanzana. Se però desiderate la quiete assoluta in un luogo di rara magia, tornate indietro verso Tre Cunei e imboccate il bivio a sx per la Cappella di San Michele, isolato gioiellino tra cespugli di lavanda e prati in fiore. Non è raro trovare qui solitari lettori in cerca di pace o pittori in cerca di ispirazione. Noi suggeriamo come sempre di considerare il luogo anche come posto perfetto per un pic-nic o una merenda sinoira (ovvero quella merenda che -trascinata con esperienza- riesce a portarci a cena senza togliere i gomiti dal tavolo).
La nostra prossima tappa è Albaretto della Torre, regno del grande cuoco Cesare Giaccone che lo ha reso celebre nel mondo portando nuovamente in pellegrinaggio qui schiere di fedeli del suo Verbo. Il paese, inconfondibile per la sua Torre medioevale (agibile agli agili) si affaccia sull’altro crinale, verso la valle Talloria: entrando in paese noterete, in faccia alla "Botega di Cesare" appunto, la piccola Chiesa di San Bernardo, che merita senz’altro una sosta. Poi superato il borgo, sempre sulla strada, ecco la Cappella di Sant’Antonino, rossa di mattoni, con un piccolo prato prospiciente i noccioleti.
La strada scende ripida –una delle più ripide discese delle Langhe– su Sinio ma dopo pochi tornanti ecco che ci offre il balcone della Cappella di Sant’Eufemia, altra testimonianza di arte medioevale (XIII sec. poi rimaneggiata ad inizio ‘800). La posizione è straordinaria, la sosta obbligatoria. Scendete poi nella gola del torrente e non rinunciate a una visita al borgo medioevale del paese che forma quasi un scudo araldico coronato dal bel castello, disposto in forte pendenza sul declivio della collina.
Da Sinio quindi risalite alla terrazza naturale della Chiesa della Madonna di Loreto in fraz. Cerretta, imponente costruzione secentesca che ci introduce al paese di Cerretto Langhe, pais der balon (il paese del pallone) con riferimento al Gioco delle Langhe, ovvero il pallone elastico o pallapugno. La Cappella di San Giuseppe ci attende dal bivio Noceti (a metà strada tra la dorsale e il borgo) ed è coeva di quella di San Michele ad Arguello. Per raggiungerla si scende quasi fino ai Tetti, quando un sentiero erboso in mezzo ai noccioleti a dx mena alla Cappella. Da non dimenticare poi una sosta nel prato della notevole Parrocchiale neogotica (opera dello Schellino) e una visita alla bella Chiesa di Sant’Andrea (XIII sec.) con un importante affresco tardogotico di scuola monregalese. Ai più romantici consigliamo anche una visita all’antico cimitero (uno degli ultimi rimasti nelle Langhe) proprio sotto il paese sulla strada per il Belbo.
Riprendiamo la dorsale per arrivare a Serravalle Langhe che -come dice chiaramente il nome- sbarra il passaggio sorgendo sul punto più alto della dorsale stessa. Svoltando in direzione della località Villa trovate la Cappella di San Michele Arcangelo, con una bella abside romanica dai caratteristici archetti pensili in arenaria ed un’elegante facciata settecentesca. Da non perdere in paese gli affreschi quattrocenteschi dell’Oratorio di San Michele con il pregevole rosone in arenaria scolpita della facciata (ne troveremo un altro simile quasi alla fine del nostro percorso).
Da Serravalle possiamo proseguire per pochi km verso Cissone e incontrare la romantica Chiesa della Natività: questa chiesa cimiteriale ci attende tra un viale di alberi su di un versante del piccolo colle in cui trova spazio anche una tappa della Strada Romantica. Punto panoramico perfetto, conserva anche un affresco (XV sec.) del “Bianchetto”, noto pittore cheraschese.
Ritorniamo ancora sulla dorsale dove, prima di Bossolasco, pais dle ròse (il paese delle rose), svoltiamo per la solitaria frazione Bossolaschetto: prima del pugno di case troviamo sulla collinetta a sx la Chiesa di Santa Maria Maddalena (XV sec). Il luogo è ancora una volta speciale, con la fonte d’acqua sorgiva e la strada di campagna che curva verso la chiesa dividendo il campo dal bosco.
Altra deviazione che merita è per Somano, tranquillo paesino famoso per le castagne, dove la bella Chiesa della Madonna della Neve (sec XVI) fa bella mostra di sé in un tornante sopra il paese. Consigliamo anche due passi nel borgo vecchio, un po' nascosto a prima vista.
Il bel borgo di Bossolasco, in cui è bello passeggiare alla scoperta delle numerose antiche tracce del fu Marchesato dei Del Carretto, tra botteghe e profumate rose, venne eletto a buen retiro e fonte di ispirazione per tanti pittori di cui Casorati, Menzio e Paulucci sono senz’altro i più noti. Oltre l’abitato in prossimità del Santuario della Madonna della Mellea possiamo imboccare la via che sale al crinale dell’acquedotto, correndo sullo spartiacque panoramico fino alla secentesca Chiesa di San Rocco che accoglieva i viandanti dal Passo della Bossola.
Il Passo della Bossola, spartiacque tra Belbo, Tanaro e Rea (il torrente di Dogliani), è un angolo di profumato silenzio tra i boschi: ha ispirato un celebre passo del Diario di Beppe Fenoglio in cui lo scrittore trasfigura le proprie radici langarole in una dimensione esistenziale universale, citando la lezione dei romantici inglesi e di uno sconosciuto (all’epoca) poeta americano che Fernanda Pivano aveva da poco tradotto e Einaudi pubblicato; il riferimento è all’Antologia di Spoon River di E.L. Masters ovviamente, uno dei più bei libri di poesia del XX sec. “Conto di scriverne a fondo, non so ancora in qual forma. Certo sì è che il camposanto vecchio di Murazzano mi ha fatto potentemente invidiare il grande spunto di E. L. Masters. (…) Il nuovo giace in un punto così aperto ai venti che la peggior tramontana spezza a metà le lapidi. (…) Sempre sulle lapidi, a me basterà il mio nome, le due date che sole contano, e la qualifica di scrittore e partigiano. Mi pare d’aver fatto meglio questo che quello. E non ci sarà pericolo che il vento spezzi la mia lapide, perché giacerò nel basso e bene protetto cimitero di Alba. C’è stato un tempo in cui sognavo di diventare un grand’uomo unicamente all’effetto di poter scegliere la mia sepoltura. Ed in quel tempo m’ero quasi deciso per il piede d’un pino, nella pineta del Piano della Bossola.”
Dal Passo scendiamo finalmente al fiume, verso il paese di San Benedetto Belbo, il luogo letterario fenogliano per eccellenza, come recita il cartello all’ingresso. Il borgo è l’unico di fondovalle anche se in pratica sorge su un terrazzo naturale a picco sul fiume. È qui che i monaci benedettini eressero la loro più importante abbazia, facendone il centro dell’opera di (ri)civilizzazione di queste colline al ritmo dell’Ora et Labora, la celebre regola dell’ordine. Il comune di San Benedetto ha approntato una rete di sentieri e percorsi letterari che faranno la felicità di ogni lettore fenogliano.
Due passeggiate meritano di essere fatte assolutamente: la prima dalla strada per Mimberghe sale al Santa Maria dei Piani, seguendo la via omonima e poi diventano strada di campagna fino alla chiesa. La chiesa è un bell’esempio di architettura secentesca sobria e austera: il contorno di mucche al pascolo, l’ariosità dei prati (i piani appunto) attorno e la sensazione di essere in un luogo nascosto e segreto (è quasi introvabile se non si conosce la strada) ne fanno una delle tappe più suggestive del nostro percorso.
La seconda invece è scendere verso il Belbo e girare a sx prima del ponte per la frazione Cadilù. La collina è meravigliosa e -anche senza pioggia torrenziale- provate a immaginare quel bambino trascinato nel fango della collina dalla zia, pur di non rinunciare a un pranzo da sposa… La piccola Cappella di San Rocco rappresenta la classica ciliegina sulla proverbiale torta. Attorno covoni e campi immersi tra boschi e noccioleti ci ricordano che l’Alta Valle Belbo non è terra di vino ma di mulini (e quanti ce n’erano lungo il Belbo!), campi di grano, nocciole e pascoli per pecore e mucche. I locali formaggi artigianali (tra cui il celebre Murazzano) sono del resto un classico così come la torta di nocciole da sposare allo zabaione in uno degli abbinamenti più iper-calorici di sempre …ma dopo una giornata passata a lavorare in questi ripidi campi, le energie non bastano mai! La strada di Cadilù diventa poi sterrata (ma percorribile a passo d’uomo) prima di raggiungere l’altopiano di Mombarcaro.
In alternativa, la strada migliore per salire a Mombarcaro è senz’altro quella di Lunetta (svoltando a dx dopo il ponte e prima di Cadilù e poi a sx all’indicazione della frazione), nascosta borgata di pietra a mezzacosta dell’infinita collina di Mombarcaro, con la bella Chiesa di Santa Caterina e un pugno di case di pietra che meriterebbero maggior fortuna. L’acqua della fonte è ottima e fresca. I luoghi ci riportano alle foto di Aldo Agnelli e del suo “allievo” Piero Masera con la serie “I sopravvissuti della Langa”: qui tutto è sospeso, fuori dal tempo, come in una leggenda di Masche. La strada sale dolcemente fino al crinale di Mombarcaro, proprio davanti alla Chiesetta di San Rocco, un gioiello romanico con notevolissimi affreschi gotici (i pannelli informativi sotto il portico li riproducono e indicano a chi telefonare per avere le chiavi) che ancora oggi sa di pellegrini e viandanti stretti a ripararsi dal vento e dal freddo sotto questo porticato amichevole. Mombarcaro, quota 896 m, è la Vetta delle Langhe: la leggenda vuole che d’inverno dal campanile della vecchia parrocchiale si scorga il mar Ligure (come recita lo stemma del paese, con ritrae appunto una barca!); siamo alla punta estrema della Valle Belbo, che oltre il paese diventa un altopiano semicircolare, il bacino imbrifero del fiume noto come Riserva Naturale delle Sorgenti del Belbo, nei comuni di Montezemolo, Camerana e Saliceto. Altra chiesetta romanica è quella di San Pietro (XIII sec.) oggi in rovina su un colle alle spalle del paese, nascosta tra gli alberi (ma l’antistante radura è incantevole): i suoi affreschi sono però stati traslati nella parrocchiale nuova, all’interno di una ricreata abside laterale. Da San Pietro un sentiero piacevole (parte della GTL, la Grande Traversata delle Langhe) tra i boschi permette di raggiungere il Santuario della Madonna delle Grazie (eretto nel 1666 ma costruito su un pre-esistente Pilone Votivo, di cui resta il notevole affresco del 1500) oggi con due graziose meridiane in facciata e un angolo agreste davanti alla chiesa. Torniamo al borgo antico, attraverso la superstite porta medioevale, e godiamoci una passeggiata nella pace di questo eremo, l’anima vera della Langa più alta, tra gatti, gerani e gentili vecchine che si cullano al sole.
Da Mombarcaro inizia il nostro percorso a ritroso sull’altro versante della valle: la strada corre sempre in cresta verso Niella Belbo. Siamo davvero sul tetto delle Langhe dove ogni scorcio, ogni curva, ogni declivio si apre su panorami mozzafiato tra la ripida e selvaggia Valle Belbo e la più ampia e coltivata Valle Bormida. Ecco improvviso davanti a noi il Santuario della Madonna dei Monti, in pietra di langa, svettare su un poggio con alle spalle la Croce Monumentale (un classico dei luoghi più elevati). Imbocchiamo a dx la stradina del Santuario e proseguiamo sulla cresta seguendo le stazioni della via crucis a ritroso, incontrando prima la Cappella di San Bernardino, una costruzione aperta sulla sola abside affrescata, con area di sosta acclusa, e poi la Cappella di San Giovanni sull’antico quadrivio che univa la valle Belbo con quella di Bormida. La chiesetta in pietra è più alta del solito e pur mantenendo la struttura a capanna, risulta decisamente più importante. Più avanti, sulla stessa dorsale troverete la Spianata degli Amanti che ricorda una leggenda medioevale e valorizza una bella terrazza ai quattro venti, ideale per una pic-nic di ferragosto.
La strada attraversa una borgata di pietra (da notare una bella meridiana superstite) e ritorna sulla provinciale che ora prosegue verso Feisoglio: il paese, famoso per i suoi funghi, ha recuperato molto bene la Chiesetta di San Sebastiano (si svolta a dx dalla piazza Marconi, seguendo le indicazioni) che è attrezzata di tutto punto, con tanto di tavoli, panche e grill. La parrocchiale di San Lorenzo merita una visita sia per la ricchezza della chiesa sia per la terrazza dominante sulla valle, chiusa tra la facciata e la piccola confraternita adiacente.
La vostra prossima tappa è il borgo fortificato di Cravanzana, “pais dra nisora” (paese della nocciola) che contende a Cortemilia i migliori produttori e pasticceri della meravigliosa Tonda Gentile delle Langhe. Il castello privato domina il concentrico che si presenta ben conservato e merita assolutamente una passeggiata tra le vie acciottolate. Una sosta piacevole si può fare davanti alla Chiesetta del Sacrario dei Caduti, nel viale di uscita dal paese verso Bosia.
Superato il quadrivio Cerretto-Torre Bormida la strada scende più decisa a raggiungere il piccolo borgo di Bosia (bivio a dx) e dalla piazzetta della parrocchiale una ripida discesa si immerge tra muretti a secco, un antico cimitero e prati in fiore verso la fraz. di San Maurizio, dominata dall’omonima cappella privata davvero ben mantenuta: durante l’estate vi si tengono concerti all’aperto (info al comune di Bosia).
Dal centro del paesino la strada prosegue tra i noccioleti verso Castino dove giunge in prossimità della Cappella di San Rocco (è segnalata a dx della piazza del Municipio, convieme però andare a piedi, tenendo sempre la sx), un’altra importante testimonianza medioevale (XV sec) con un porticato quasi disassato e il rosone in arenaria gemello di quello di Serravalle. Alle spalle di San Rocco un pergolato d’uva ci ricorda che la valle Bormida è famosa anche per il fresco Dolcetto dei Terrazzamenti.
Da vedere anche il Monastero benedettino cinquecentesco nel centro del paese e la Tartufaia Turistica approntata poco oltre il giardino del Castello medioevale (privato).
Da Castino si può scendere al Belbo attraverso la via magistra langarum che interseca la dorsale della valle Belbo a Campetto, quadrivio romano di millenaria importanza, immaginario confine tra la langa del vino (la Bassa valle Belbo) e quella della nocciola (l’Alta valle) o attraverso San Martino, passando quindi accanto al rovinato millenario convento la cui chiesa romanica oggi è stata riadattata a stalla (chi scrive vi ha visto nascere un vitellino non troppi anni fa) per arrivare sulla fondovalle che corre a Rocchetta Belbo.
Qui il nostro percorso presenta tre possibili opzioni. La prima è percorrere la strada principale che sale oltre il fiume a Borgomale, un paese minuscolo con il bel castello, teatro della Leggenda di Nella di Cortemilia (che si buttò dalla torre), la più antica osteria di tutte le Langhe (quella dei Pace appunto) e quella piazzetta raccolta tra il castello e la confraternita che sembra uscita da un quadro. Quindi superato Borgomale si ritorna a Benevello (fraz. Manera) e da lì attraverso Montemarino, altra chiesetta con grandi tradizioni di feste estive, si può ridiscendere ad Alba, passando l’ultimo belvedere, quello della Donna di Langa (nel comune di Trezzo Tinella) un altro imperdibile balcone attrezzato, questa volta senza un luogo di culto annesso ma con un monumento alla vera colonna della matriarcale società langarola, la Donna di Langa appunto.
Sulla stessa strada si innestano anche le altre due soluzioni: quella di San Bovo, che sale a sx dalla fondovalle Belbo dopo l’innesto di San Martino per poi sboccare oltre Montemarino (al Boscasso) e quella di Sant’Elena, sempre a sx proprio prima dell’abitato di Rocchetta, subito dopo il ponte, che sale fino alla provinciale per Mango e che svoltando a sx ritorna alla Donna di Langa. Entrambe frazioni di Castino -le chiese restano su due ciglioni in faccia al paese- sono tra i luoghi fenogliani più famosi.
San Bovo è un angolo di pace isolato nella quiete dei boschi (battuti però a tappeto dai cercatori di funghi), con chiesetta eremitica (XVII sec) e annesso ostello-locanda, destinazione obbligata di mille passeggiate fuori porta degli albesi con la memoria letteraria del Pavaglione (da il romanzo “La Malora” di Fenoglio) nel cuore. È infatti al Pavaglione che il povero Agostino finisce servitore dell’altrettanto povero Tobia, in una catena di disgrazie, sfortune e rinunce continue, archetipo della condizione contadina di appena 70 anni fa. Qui la Cascina del Pavaglione, recuperata e ridestinata, è oggi luogo di memoria e ricerca.
Santa Elena è invece la Chiesa dei Partigiani, il punto di ritrovo stabilito dopo la sbandamento dell’inverno ‘44 per tutti coloro che riuscirono a sopravvivere alla fame, al freddo a ai rastrellamenti nazi-fascisti. È qui che Johnny/Fenoglio ritrova il suo Comandante Nord/Piero Balbo. Posta su uno sperone circondato dai vigneti di moscato è raggiungibile dalla omonima borgata (via Sant’Elena, 6-8) solo a piedi, ma ne vale davvero la pena! Lo sguardo abbraccia l’intera valle che sale pigra e sfocata tra i boschi in una sorta di incanto dell’anima, una summa di tutte le storie di pellegrini e scrittori, mercanti e monaci, poveri servitori e pie donne che l’hanno percorsa per secoli.
Non è un caso che questi luoghi elevati, questi balconi meravigliosi, queste terrazze sulla natura siano sempre occupate da una chiesa campestre: perche qui, fino all’altro ieri, forse solo la fede ha consentito a questa gente di tenere duro attraverso secoli di guerre, fatiche, fame e malattie; un’umanità sempre circondata da superstizione e ignoranza in cui il parroco era davvero il solo a cui confidare le proprie paure, le umane debolezze, i sogni impossibili e la troppa disperazione. Spesso quello stesso fiume che vediamo oggi scorrere placido, ha annegato la disperazione di chi non ce la faceva più, più spesso per fortuna quello stesso fiume ha dato i mezzi minimi di sussitenza per resistere in queste colline oggi così belle e ospitali.