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Dall'alto

Chiara Prato23 ottobre 2014

La coscienza di sé passa un po' anche per l'immagine riflessa che restituiscono gli altri.

Quegli altri che quando chiedi: "cosa sai del Piemonte, dei piemontesi?", ti rispondono con la fiera del luogo comune: falsi e cortesi (se incontro chi si è inventato questo adagio, glielo faccio vedere quanto siam cortesi...) e poi seri, riservati  rigorosi, eleganti e poi ancora il vino, il cioccolato, la cucina

Se lo chiedi a un napoletano, o a un siciliano ti sciorinano la storia degli invasori pieni di debiti, che han fatto l'Italia sulle spalle altrui. Tutto vero, a ben guardare. (beh sulla veridicità delle meraviglie del Regno delle Due Sicilie avrei qualcosa da dire… NdD)

Ma è come se fosse tutto un po' piatto, come se mancasse la terza dimensione.

È vero che siamo rigorosi e seri, ma c'è anche una certa vena di follia che ci attraversa da parte a parte.

Come fa il Po con la nostra terra.

Penso a personaggi come Felice Andreasi, Paolo Conte, Macario… sono "matti" in una maniera del tutto speciale. Ma la stessa cosa vale per quel vecchio amico avvocato, piuttosto che per quel macellaio sotto casa, o il produttore vinicolo che scriveva sulle sue etichette “no Barrique, no Berlusconi”.

Poi c'è chi il piemontese lo divide in tre grandi categorie.

Quello vero, autenticamente sabaudo, che “lo riconosci dalla troppa educazione”; quello “del sud andato al nord tanti anni fa” che lo riconosci dall'accento nordico misto calabrese. Sono gli operai della FIAT saliti col boom economico a cercare lavoro nel “mitico” triangolo industriale (ricordi davvero lontani no?), per capirci quelli ai quali i piemontesi "purosangue" non affittavano appartamenti a Torino negli anni '50 per paura che nella vasca da bagno piantassero i pomodori (succedeva davvero, che non si affittasse ai meridionali con questa che non ho mai capito fosse una stupida scusa o un'orrenda verità).

E poi ci sono le seconde e terze generazioni, e loro sembrano essere il mix perfetto: nè troppo educati, un pregio che in qualche misura significa anche un po' chiusura all'altro, né troppo spavaldi. La giusta dose di entrambe le qualità, insomma. 

Chi scrive è un cru di piemontesità: del Roero, poi! Cioè di quella parte di Piemonte che un po' soffre il complesso di inferiorità nei confronti delle Langhe: non c'è il Barolo e non c'è il Barbaresco. C'è però il Nebbiolo, che è l'origine di entrambi... ma qui si aprirebbe un altro capitolo. Non divaghiamo. 

Siamo pieni di contraddizioni: motori e barolo, metalli e cioccolato, monarchici e comunisti, industriali e contadini, laboriosi e goderecci, razionali ed esoterici, innovatori e conservatori, santi e laici. Carlin Petrini e Gianni Agnelli, il Conte di Cavour e Don Bosco, Oscar Farinetti e Romano Levi, Lapo Elkann e Olivetti.

È vero, siamo un po' lontani da raggiungere (specie da Roma), un po' seri un po' troppo educati… ma poi ti avvicini e vedi che amiamo il cibo, la terra, la bellezza, l'arte. Soprattutto amiamo l’Italia.

E allora mi domando se non sia che forse è colpa della nostra posizione se arriviamo così agli altri: stare quassù, in cima allo stivale, ti porta per forza a guardare gli altri un po' dall'alto in basso, in fondo, no?