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anViagi 147La Storia

Quel che resta dei nostri avi

Diego De Finis12 gennaio 2015

Spesso quando pensiamo alla tradizione e al folclore il periodo che ci viene in mente in primo luogo è il Medioevo. Troppo lontani non solo nel tempo, ma anche nella mentalità erano gli antichi romani che tanto ci hanno lasciato dal punto di vista architettonico e di organizzazione del territorio. Eppure sarebbe più corretto fare un passo ancora più indietro e pensare che discendiamo dagli antichi Liguri, le popolazioni che i Romani hanno trovato qui quando sono arrivati e che si erano stabilite prima in Liguria e poi in Piemonte già molto prima del loro arrivo. Liguri oggi definiti più correttamente Celto-Liguri in quanto varie ondate migratorie hanno portato nel primo millennio prima di Cristo tribù celtiche che si sono mischiate a quelle liguri affermando il loro maggiore peso culturale e soprattutto il carisma della loro religione della Natura. 

Come riferito nel precedente articolo nel nord del Piemonte l’impronta celtica è stata più marcata, quella Ligure è rimasta forte a sud del Po. E queste tracce nonostante siano nascoste molto bene le ritroviamo ancora oggi, nella toponomastica, nelle manifestazioni tradizionali e addirittura per certi versi nel culto per quanto ciò possa sembrare strano. 

Ciò è dovuto al carattere molto mite del dominio Romano. L’impero romano era molto rispettoso delle popolazioni alleate e a vario titolo sottomesse. Rispettoso della loro cultura, della religione, delle tradizioni. Attraverso scrittori e storici romani possiamo conoscere tante notizie degli antichi Liguri, che si sommano ai ritrovamenti archeologici. Inoltre va osservato che la romanizzazione del Piemonte avviene solo in età augustea, ovvero nel periodo della nascita di Gesù. L’impero è poi caduto quattro secoli dopo, con gli ultimi due caratterizzati da una decadenza non solo militare. In sostanza, per quanto strano possa sembrare, è probabile che il Piemonte non sia stato romanizzato del tutto, basti pensare che nel medioevo, secondo i ritrovamenti archeologici, vengono recuperate alcune strutture architettoniche tipiche dei Celto-Liguri, come il focolare centrale all’interno delle abitazioni.

Di conseguenza modi, usi, termini dei nostri più antichi progenitori sono giunti fino a noi e fanno parte della nostra vita. Le tracce più evidenti si trovano nella toponomastica, ovvero nei nomi dei luoghi. Alba, per esempio, era il nome di uno dei centri piemontesi più antichi. In questa città sono stati trovati reperti risalenti almeno a 3.500 anni prima di Cristo. Fondata dai Liguri provenienti da sud ha sempre conservato il suo nome a cui i romani avevano solo aggiunto il termine Pompeia, in omaggio a Pompeo Strabone. Sono numerosi fra Liguria e Piemonte i toponimi con la presenza della radice Alb: Albissola, Albenga, Album Intimilium (L’antico nome di Vetimiglia, latinizzato), e in Piemonte Albugnano, Albera Lugure, Alpignano; anche il nome Alpi deriva probabilmente dalla stessa radice. L’odierna Benevagienna era forse il centro principale degli antichi Bagienni, romanizzata in Augusta Bagiennorum; stesso destino per Torino che era Augusta Taurinorum, in omaggio alla popolazione dei Taurini, il cui centro si chiamava Taurasia; nella capitale piemontese la zona del Lingotto era abitata dai Ligoni. Carrù era l’antica Carrea. In generale ricorre in diversi centri la radice car, che significava sasso: pensiamo a Carystum, la città distrutta dalle legioni romane, nel 177 a.C, ma anche all’attuale Cartosio. Caer indicava un luogo fortificato e probabilmente questi centri lo erano. Un altro termine che denominava una fortificazione era dunn, oggi lo ritroviamo in Verduno, Mangiadone, Cavadone, Ciarlandone. Le Alpi Cozie prendono il loro nome dal Regno di Cozio, costituitosi in zona alpina nel periodo augusteo che federò, sotto il governo dell’omonimo re, diverse tribu celto-liguri e di cui parleremo nel dettaglio in una delle prossime puntate. Anche le antiche divinità hanno influenzato la toponomastica. La dea Epona, protrettrice degli allevatori, era il nume tutelare del villaggio di Eporedia, poi diventato Ivrea; un’altra divinità si chiamava Taranis (dio del fulmine, simile dal punto di vista iconografico a Giove), l’assonanza con il fiume Tanaro appare evidente, fra l’altro nel letto del corso d’acqua sono state trovate spade e elmi in bronzo, ivi gettati per cerimonie rituali. Dal culto di Cernunnos, divinità maschile cervina, protettore degli animali è probabile derivi il nome del monte Cervino.

Ma l’eredità dei nostri antichi avi va oltre queste assonanze. Le tribù celto-liguri avevano l’abitudine di vivere in piccoli centri che facevano riferimento a un clan, che poi si federavano. Oggi questa struttura urbanistica è rimasta in gran parte dei centri del sud del Piemonte, molto piccoli e essi stessi distribuiti e suddivisi in borgate e frazioni. Il termine dialettale che in piemontese indica un’altura collinare, ovvero bric (che ricorre anche in diversi nomi) deriva dalle popolazioni preromane che lo utilizzavano per indicare posizioni in altura fortificate. Un altro genere di costruzione difensiva degli antichi celto-liguri era costituito da terrazzamenti realizzati con muri di pietre a secco sulle colline. In alcune zone come la Valle Bormida, oggi i terrazzamenti sono tipici appezzamenti agricoli. 

Per quanto riguarda il calendario forse la corrispondenza più interessante è quella fra il capodanno celtico che ricorreva il primo giorno di novembre e l’attuale celebrazione cristiana dedicata ai defunti. Infatti anche nelle popolazioni celto-liguri celebravano gli spiriti dei morti in quell’occasione. In particolare le celebrazioni erano differenti a seconda della classe sociale. I nobili avevano l’abitudine di organizzare grandi banchetti, il popolo invece si ritrovava presso delle fiere mercato. Oggi non sono poche in Piemonte le Fiere dei Santi, tutte dalle origini antichissime, certificate con documenti dei secoli scorsi, ma magari nate molto prima. In Valsusa, a Venaus esiste ancora la tradizione della danza dei Spadonnari che probabilmente deriva da un antico rito dei guerrieri celti.

Può sembrare strano, ma tracce degli antichi celto-liguri si possono rispontrare anche nell’attuale culto religioso. In realtà bisognerebbe riflettere bene sul passaggio e la conservazione deri riti religiosi lungo i secoli. Spesso i libri di scuola, per necessità di spazio ci parlano di conversioni di intere popolazioni come se si trattasse di bere un bicchiere d’acqua. Eppure la fede è qualcosa di molto serio per i credenti. Per cui non è poi così inverosimile che tracce del culto primordiale si trovino in quello che si è affermato dopo.

Fra le divinità venerate dalle popolazioni celto liguri vi era anche la dea madre delle sorgenti Anu il cui culto, con il cristianesimo, in Piemonte si è trasferito a Sant’Anna. Stesso discorso si può fare per Brigh, la luminosa e Santa Brigitta in epoca cristiana. Così nel luogo in cui oggi sorgono chiese cristiane, sono stati trovati resti di antichi templi romani che a loro volta sostituivano nemeton o luoghi di culti celto-liguri, per esempio le chiese di San Giorgo a Mercurago e Santa Cristina a Borgomanero. A Lugnacco si trova l’edificio più antico della Valchiusella, la chiesa romanica della Purificazione di Maria Vergine del secolo XI, nei pressi si trova anche un menhir dell’età del bronzo. A Livorno Ferraris vicino a una chiesetta di origine templare c’è la Pietrafitta d’Isana, manufatto preromano.

Questo piccolo gioco intellettuale potrebbe continuare, ma meriterebbe uno spazio e studi più ampi (che sono anche già stati fatti). Adesso è tempo di lasciare i nostri più antichi progenitori (che però come abbiamo visto non ci hanno di fatto mai abbandonato) per tornare, dalla prossima puntata ai Romani.