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anViagi 147L’Editoriale

Furbi

Pietro Giovannini24 dicembre 2014

Se ne stanno laggiù al freddo senza avere un motivo apparente. Ogni tanto uno va via, un altro arriva: fanno la spola tra la piazza e un bar.

Il bar è sotto i portici antichi: un classico “Vecchio Piemonte” con fuori una bell'insegna di legno, e dentro invece una barista cinese e una sfilza di macchinette mangiasoldi.

A quanto pare i tempi cambiano anche a Dogliani, con buona pace del prof. Einaudi che sui concetti di risparmio e di impresa ricostruì l'Italia del dopoguerra.

Sono le 7 del mattino, l'asfalto brilla di ghiaccio ai bordi del Rea, dove anatre coraggiose sguazzano nell'acqua gelata: non c'è vento per fortuna, altrimenti non si riuscirebbe a star fuori.

Buio pesto: sono i giorni più corti dell'anno; luci elettriche amplificano le sagome degli uomini del mercato che montano banchi, scaricano mercanzie, svuotano furgoni: un lavoraccio infame che però rende ancora mi sembra... Difatti le prime vecchie, mattiniere e risolute, avanzano nell'aria gelida, vestite di nero, con le calze spesse, i guanti, lo scialle …e il borsellino pronto all'uso.

I bar sono pieni di gente: quaggiù in Langa il mercato ha ancora il suo perché!

E Dogliani ha la sua rendita di posizione, qua nel fondovalle tra la Langa di Murazzano e quella di Monforte.

Un uomo scarica verdura sotto un porticato accanto alla chiesa: nella piazza altri banchi poi -passata la porta della città vecchia- altri mercanti scorrono fino alla piazza, e oltre -giù giù- fuori dall'altra porta, davanti alla chiesa scura e enorme dello Schellino.

È un grande mercato per questa piccola cittadina che in Italia ha un nome così impegnativo da portare e un Dolcetto altrettanto importante da bere.

Penso a Quinto Chionetti che lassù a San Luigi coi suoi novant'anni veglia sul paese, ultimo dei grandi patriarchi delle Langhe. Poco lontano da lui, 60 anni fa il Presidente Einaudi si gustava quello stesso Dolcetto, affascinato da un mercato simile e da come l'operosità dei contadini, quando potevano lavoravare un poco in proprio, da sola potesse produrre un plusvalore altrimenti inesistente.

Chiudo gli occhi: ecco che passano carri di uve, e uomini intabarrati con vitelli e buoi grassi, e donne coi faudali e uova e tome e animali di bassa corte: un arrotino affila coltelli, roncole e falci, lo stagnino ripara pentole alle massaie, un altro impaglia sedie, forse ci sono ancora gli spazzacamino neri di fuliggine guardati a vista dai sempre diffidenti abitanti locali… e di certo qualcuno traffica coi tartufi!

Anche oggi qualcuno traffica coi tartufi...ma quasi non si vede: direi che lo spaccio a San Salvario è ben più evidente!

Mi avvicino al verduriere: “ma 'ndoa son 'e trifole?” (Ma dove sono i tartufi?)

“Eh coi là? Ancö as baro-no 'mbele là! Bon-i coi là! A fan tut 'd scondon...” (Quelli lì? Adesso si raggruppano laggiù! Buoni quelli! Fan tutto di nascosto…)

Lo dice senza invidia, anzi con un sorriso beffardo, come dire: –io lavoro! Io non devo nascondere proprio niente, io! La mia verdura la coltivo e la cresco e poi la vendo. Mica la trovo sotto le piante di notte!–  E li guarda come fossero dei perdigiorno (o notte), gente che ama i soldi facili, un po' come i giogarela (i giocatori), d'le meze lingere (dei mezzi balordi)...d'altra parte lo san tutti che i Trifolao son per parej (i tartufai sono un po’ così). E intanto, rosso dal freddo, scarica un'altra cassetta di peperoni mezzi rossi e mezzi verdi.

Eppure dai registri del mitico Giacomo Morra al Savona di Alba si sa che 60 anni fa da Dogliani venivano via con 3-400 a volte anche 600 kg di tartufi!!!

Eh, mica poteva essere una roba così nascosta, allora!

Il gruppetto parlotta di continuo, scambiandosi informazioni a caso, riportando altre balle di altri posti: in generale bluffano l'un l'altro, cercando sempre di dire niente e sapere tutto.

È una continua schermaglia fatta tutta in dialetto, che segue un copione sempre identico.

Nessuno mostra nulla, nessuna dice un prezzo, nessuno si espone.

Aspettano.

Ma chi aspettano?

Ma i compratori no! Quelli che alla fine faranno il prezzo della settimana, in un teatrino di offerte, richieste, occhiate e sentimenti che avrebbero distrutto ogni certezza scientifica di economia nel povero prof. Einaudi.

La realtà è che nessuno di loro sa il prezzo del tartufo.

Semplicemente vuole prendere di più, di più di ieri, di più del vicino, di più di quanto l'altro vuole pagare: perché i prezzi sono saliti, perché adesso di trifole ce n'è poche, perché ieri a Carrù pagavano 200 all'etto, etc etc… in un continuo bluff sul nulla!

Perché stamattina, 23 dicembre 2014, a Dogliani di compratori non ce n'è manco uno.

Solo un giornalista un po' troppo curioso che scambia due parole (sempre in codice) con un paio di trifolao che conosce, guardato a vista dagli altri che cercano di capire chi sia, perché è lì e che cosa vuole comprare.

Soprattutto devono capire se sono un commerciante o se -lo volesse il cielo- sono un privato! La loro avidità, anzi la cupidigia, è palpabile.

Però nessuno si fa avanti: aspettano che sia l'altro a domandare …o magari un altro di loro a offrire, in modo da poter poi rilanciare. Un continuo buio-contro-over senza però nemmeno aver messo un cip.

È il mondo dei furbi, che pur di prendere 30 € in più all'etto piuttosto perdono tutto. Ma stavolta forse han fatto i conti male: i ristoranti hanno la scorta e non prendono certo altro, mentre i regali di Natale e soprattutto IMU, TASI etc hanno prosciugato i magri conti dei piemontesi… E non è quindi servito fare incetta per una settimana e strozzare il mercato nella speranza di far salire i prezzi per Natale.

Il 26 -vedrete- svenderanno i loro tartufi, almeno quelli ancora buoni (gli altri li butteranno), perché oggi a Dogliani dalle 7 alle 8.30 non si è venduto niente.

400 kg a 0 in 60 anni.

L'uomo della verdura sorride, mi stringe la mano, scuote la testa verso la piazza di là e torna al suo mercato, a viso aperto, testa alta e fiducia sconfinata nei suoi peperoni che, in effetti, van via come il pane.

A volte è un mondo di furbi, altre volte un mondo di fessi.