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anViagi 147La Storia

Il Bar dell'aldilà

Stefano Bevione12 febbraio 2015

Nei momenti più tristi dell'esistenza di un cliente di bar (tipo quando ti mettono della menta nel Pastis o quando ti propongono un Negroni "sbagliato") mi consolo pensando che se dovessi morirne (morire per causa di una qualsiasi di queste scelleratezze) avrei comunque la fortuna di incontrare nuovamente, dietro il bancone del Bar dell'Aldilà, due barman meritevoli e degni di questo nome che, purtroppo per me e per loro, hanno ormai da qualche anno firmato un contratto a tempo indeterminato presso quel locale paradisiaco.

Uno lo vidi per la prima volta in un cocktail-discobar tra Roero e Astigiano, verso la metà degli inutilissimi anni '90. Si trattava di un locale semibuio, fumoso e rumoroso dove noi pseudo-universitari gaudenti andavamo a ballare e ad iniziarci ai vasti labirinti dei mixed drinks (traduzione: intrugli alcolici dai nomi esotici). Soltanto il chilometrico bancone era ardentemente illuminato e, al di sopra di una shakerante ciurma di ragazzotti in t-shirt nera Armani, si ergeva Lui, impeccabile in giacca bianca sparata, come fosse un ammiraglio sulla sua fregata: il Barman. Capelli tenuti indietro da solide pettinate di brillantina, circolava con occhio attento tra i suoi mozzi, felpato nel marasma generale dell'una di notte, dedicandosi a pochi e ben scelti clienti: aficionados immarcescibili, richieste particolari, novizi promettenti (categoria alla quale avevo l'arroganza di appartenere). Una lista di cocktails che riempiva quattro pagine del menu, con circa 60 voci diverse, non gli impediva di proporre qualche "fuori menù" ai clienti più esigenti. Un bicchiere scintillante che compare per incanto, tre-quattro-cinque ingredienti diversi tra bottiglie e preparati assortiti, un gioco di prestigio con le mani... et voilà, ti ritrovavi in mano un tesoro. Lui ti osservava rapidamente di sottecchi, poi fingeva di dedicarsi ad altro ma intanto il suo radar era ancora sintonizzato sul bicchiere che ti aveva appena consegnato, fino a quando non lo portavi alle labbra e ne assaporavi la prima sorsata. A quel punto la tua espressione soddisfatta non gli sfuggiva e ti "salutava" con un breve sorriso, come dire "Bene, mi fa piacere che apprezzi, alla prossima!". E passava ad altro.

Poi, purtroppo, passò ad altro definitivamente.

Il secondo "Barman dell'Aldilà" (spero che i suoi bestemmioni in dialetto non gli abbiano impedito di firmare il contratto) che voglio citare era un personaggio del tutto diverso. Enorme, dalla voce tonante e dal motto schietto, gestiva un baruccio minuscolo che a stento conteneva il suo corpaccione. "Non si va via finché non si finisce il da bere" minacciava i clienti meno etilisti che osavano lasciare un fondo nel bicchiere. Se ne usciva da dietro il bancone con certi vassoi stracolmi, a volte portati sopra la spalla, da fare invidia ai cuochi di Obelix. Il suo Negroni era stranamente stra-alcolico, che ti veniva da dirgli "Guarda che di Gin ce ne va un terzo come gli altri ingredienti!" ma guai a contraddirlo, ti inceneriva con la sua risatona omerica, come se fossi un pischellino astemio al ludibrio di tutti gli altri clienti del bar. Non esibiva giacche doppiopetto bianche ma t-shirt XXXL della Ducati o di qualche fantomatico rally finlandese. Proprio la passione per i motori ce lo portò via. Lasciandoci, ora e sempre, assetati.

Annibale e Italo.

Nomi buffi, nomi da barman.