Tu sei qui

anViagi 147L’Intervento

Pertinace: l'uomo oltre l'imperatore

Diego De Finis18 dicembre 2014

“Ma Pertinace fu creato imperatore contro alla voglia de’ soldati, li quali sendo usi a vivere licenziosamente sotto Commodo, non poterono sopportare quella vita onesta alla quale Pertinace li voleva ridurre; onde avendosi creato odio, et a questo odio aggiunto el disprezzo sendo vecchio, ruinò ne’ primi principii della sua amministrazione”.

 

Così nel Principe (capitolo XIX) Niccolò Machiavelli racconta, in quattro righe lo sfortunato e breve regno di Publio Elvio Pertinace, il ligure diventato Imperatore di Roma.

Pertinace è nato a Alba Pompeia il 1 agosto del 126 d. C, molto probabilmente nella località che oggi porta il suo nome, situata negli attuali comuni di Barbaresco e Treiso. 

Alla fine del secondo secolo dopo Cristo Alba Pompeia era diventata in centro importante nella regione ormai romanizzata in cui vivevano le popolazioni celto-liguri. La città aveva avuto il suo sviluppo urbanistico in età augustea e ha mantenuto quella struttura lungo i secoli ben oltre il periodo imperiale romano. Anche il contado era amministrato da Alba, e certamente, secondo l’uso romano era stata costruita una fitta rete di collegamenti stradali. Una di queste vie passava per la valle attualmente inclusa nella tenuta della Martinenga, in frazione Pertinace, primo nucleo abitativo dell’attuale Barbaresco, che era considerato dalle popolazioni celto-liguri un luogo sacro. Soprattutto era ricco di boschi. E qui il padre di Publio Elvio Pertinace, liberto, ovvero ex schiavo diventato libero, aveva stabilito il centro del suo commercio di legname. L’Historia Augusta, riporta il luogo di nascita dell’imperatore come Villa Matris, ovvero tenuta della madre. È possibile che l’autore, o i copisti che ci hanno trasmesso il testo, abbiano invertito le lettere, infatti il nome romano di quella località era Villa Martis (con riferimento al dio della guerra, Marte). Ma è anche plausibile che il nome della località si sia trasformato successivamente, come vedremo più avanti. 

La famiglia doveva essere comunque agiata, visto che il giovane rampollo ha compiuto studi letterari, diventando anche insegnante, ma la sua strada era quella della carriera militare, iniziata guidando una unità ausiliaria in Siria dove si è fatto notare nella guerra contro i Parti. Da giovane ha avuto qualche incidente di percorso che però venne colmato dal favore di Claudio Pompeiano che intravide le sue brillanti doti di comando e disciplina. L’imperatore Marco Aurelio iniziò ad apprezzare Pertinace che fece una veloce e brillante carriera tanto da arrivare al titolo senatoriale. 

Della sua vita precedente la massima carica politica romana la fonte principale consiste nella Historia Augusta, che oggi viene considerato testo non molto attendibile, ricco soprattutto di pettegolezzi, secondo la tradizione cominciata da Svetonio, ma incrociando quelle notizie con alcune epigrafi, si può ricostruirne il suo cursus honorum in maniera attendibile. Questo si è sviluppato soprattutto nel nord Europa, nella Sesta Legione in Britannia, poi in Pannonia. Quando intorno al 168 ha ricevuto l’incarico di guidare l’esercito nella Germania meridionale fu seguito dalla madre che morì a Colonia. In questo periodo difese la frontiera del Reno dalle invasioni delle tribù germaniche. La loro pressione divenne tale da costringere lo stesso Marc’Aurelio a intervenire. Nell’occasione Pertinace si è distinto per le sue doti di comando e rigore agli occhi dell’imperatore filosofo. È anche probabile che quest’ultimo sia diventato per lui un modello, come vedremo più avanti. Toccò quindi il vertice della sua carriera politica e militare nella prima parte della sua vita diventando console nel 175. Doveva essere molto vicino all’imperatore visto che lo seguì quando l’esercitò si spostò verso est per difendere il confine del Danubio.

L’ascesa al potere di Commodo nel 180 rappresentò una battuta d’arresto per il brillante comandante. In primo luogo il figlio di Marc’Aurelio pose fine improvvisamente a tutte le campagne belliche, inoltre a causa delle accuse calunniose del Prefetto del Pretorio Sesto Tigidio Perennio, Pertinace venne rimosso da tutti gli incarichi tanto da tornare presso la tenuta paterna.

L’uomo che aveva toccato i massimi vertici del potere raggiungibili nell’impero, a parte la carica di imperatore, che aveva girato in tutto il mondo allora conosciuto da un cittadino romano, una volta destituito da ogni responsabilità pubblica, all’età di 56 anni, decise di tornare nella terra natia, in quel bosco vicino ad Alba Pompeia per proseguire l’attività commerciale del padre, secondo il testo dell’Historia Augusta. Ampliò il complesso di edifici, conservando il nucleo originario, edificando diverse strutture per la servitù. Il testo latino utilizza più volte il termine Taberna. Possiamo immaginare che si trattasse di una località posta lungo una strada romana di collegamento e, facilmente, su un piccolo porto fluviale, nella quale i viandanti potevano trovare una locanda per mangiare e bere e magari dormire, servizi per le esigenze dei viaggiatori e naturalmente il legno di cui la valle era ricca. Nel XX secolo in quella zona sono stati trovati nel corso di scavi i resti di una comunità romana, forse la stessa ampliata dal futuro imperatore. Pertinace trascorse tre anni in questa tranquilla vita civile, magari pensando di aver ottenuto tutto ciò che avrebbe potuto desiderare e di essere ormai indirizzato al termine della sua esistenza nella tranquillità e nell’agiatezza.    

Invece, nella mentalità romana, era destinato ancora a maggiore gloria, anche se di breve durata. A richiamarlo in servizio fu lo stesso Commodo. Questo imperatore è considerato praticamente da tutti gli storici contemporanei un mediocre e megalomane, privo di capacità di autocontrollo. Disprezzava il Senato e le sue raccomandazioni, si dedicava a lussi costosi e soprattutto, appassionato di giochi gladiatorii, all’occorrenza combatteva anche nell’arena. Questo comportamento metteva in subbuglio non solo Roma città, ma anche le legioni sparse per mezzo mondo. Pertinace torno nell’esercito per respingere una rivolta tribale e mettere ordine fra i soldati in Britannia. Fu provato da questa esperienza, tanto da rinunciare alla carica di governatore della regione. Dopo un breve incarico civile divenne Proconsole a Cartagine, ancora una volta con lo scopo di fermare una rivolta. 

Nel 189 era a Roma col ruolo di Prefetto, accompagnato da una certa popolarità, come testimonia lo storico contemporaneo Dione Cassio. Al contrario quella dell’Imperatore scemava sempre di più, tanto che il prefetto del Pretorio Quinto Emilio Leto organizzò una cospirazione (cui probabilmente non era estraneo il Senato) che portò alla morte dell’imperatore il 31 dicembre del 192. 

L’impero di Pertinace iniziava dunque esattamente al principio del 193, con la proclamazione sia dei cospiratori, che del Senato. Trovava una situazione politica incerta e le casse dello Stato quasi vuote. Forse anche per tenerli al sicuro, decise di negare alla moglie il titolo di Augusta e al figlio, ancora giovane, che portava il suo stesso nome, quello di Cesare.

Il tesoro ammontava a soli un milione di sesterzi, per cui stando alla testimonianza di Dione Cassio, lo storico più attendibile non solo per la sua serietà, ma anche perché testimone oculare, era in Senato, Pertinace avviò un programma di risanamento vendendo in primo luogo gli oggetti di lusso acquistati da Commodo. In un clima di austerità cercò comunque di accontentare anche i Pretoriani, i soldati a guardia dell’imperatore che erano diventati molto potenti, con elargizioni in denaro, ma nel contempo attribuì grande importanza al senato, mostrando attenzione alle sue istanze. In sostanza tentò, con rigore personale e onestà, nello stile di Marc’Aurelio, un programma di pacificazione che non era facile. I pretoriani non erano soddisfatti né dell’importanza che aveva acquisito il senato, né del suo rigore economico contrario ai fasti di Commodo. Pertinace sventò la prima cospirazione, usando comunque mano leggera, per non esacerbare gli animi. Non sfuggi però al secondo attentato alla propria vita. Il 28 marzo dello stesso anno nelle sue stanze, circondato da un gruppo di pretoriani armati e infuriati per aver ricevuto solo metà dei 12.000 sesterzi promessi, non ebbe scampo; il suo stesso destino fu seguito da Ecleto, l’unica guardia rimasta a lui fedele in quella circostanza.

L’impero fu letteralmente comprato dal miglior offerente, Didio Giuliano, che offrì ai pretoriani 25.000 sesterzi; il caos perdurò nei 4 anni successivi, caratterizzati dalla guerra civile, finché non si affermò con astuzia e brutalità Settimio Severo. Questi non solo ripristinò la dignità del predecessore, ma istituì per lui il culto imperiale, una sorta di divinizziazione, di cui il figlio divenne primo sacerdote. Per qualche tempo il giorno della salita al potere di Pertinace venne celebrato come una festa con giochi pubblici.

Questi particolari ci offrono l’immagine di un uomo che nonostante soli 87 giorni di regno colpì l’immaginario collettivo non solo dei contemporanei, ma anche dei posteri. Machiavelli nel Principe prosegue la sua analisi della vicenda dell’imperatore piemontese. Il suo tragico destino è stato determinato dalla sua integrità, mal sopportata dai Pretoriani:

 

“Quando quella universalità... della quale tu iudichi avere per mentenerti bisogno, è corrotta, ti conviene seguire l’umore suo per satisfarlo, et allora le buone opere ti sono nimiche”.