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Non va sottovalutato il ruolo dei monasteri benedettini nello sviluppo del territorio langarolo fra Alto e Basso Medioevo.
Si sono diffusi in diverse località lungo le principali vie di passaggio che portavano i commerci fra Piemonte, Liguria e Francia, diventando punti di riferimento per per i pellegrini e i viandanti che passavano su un territorio che a cavallo fra X e XIII secolo non dovevano essere molto popolati.
I monasteri benedettini avevano tutte le caratteristiche per diventare punti di riferimento per l’aggregazione di villaggi e comunità. La regola redatta fra il quarto e il quinto decennio del VI secolo dopo Cristo da Benedetto da Norcia prevedeva fra le caratteristiche dei monaci l’obbedienza, il silenzio e l’umiltà. si ritiene che i due cardini dell’ordine e dei monasteri fosse perfettamente riassunto dal motto Ora et labora, ovvero “prega e lavora“. I monaci lavoravano la terra sui cui sorgevano le abbazie la facevano sviluppare e dunque rappresentavano punto di riferimento importante per l’economia del contado.
Non va dimenticata l’importanza culturale che rivestirono le abbazie benedettine in generale. Fu lo stesso Carlo Magno a invitare i monaci a partecipare allo sforzo di rinnovamento culturale del suo impero. Alcune delle strutture benedettine più note arrivarono a possedere fra i 400 e i 600 volumi. Queste trascrizioni hanno permesso che molti testi dell’antichità giungessero fino a noi visto che dopo la fine dell’Impero romano d’Occidente la decadenza era stata veloce.
Il monachesimo benedettino si è diffuso molto velocemente, grazie anche al favore di Papa Gregorio I detto anche Gregorio Magno. La diffusione delle comunità benedettine fu veloce e capillare in tutta Europa.
Si attribuisce al decadimento dell’Impero carolingio anche un periodo di crisi dei monasteri benedettini che erano strutturati perché ognuno fosse un centro autonomo dagli altri. Questi centri rischiarono di diventare preda delle milizie che depredavano i territori europei, come quelle dei Saraceni per esempio, almeno in Piemonte e anche della bramosia dei potentati laici locali. La rinascita fra il X e l’XI secolo è attribuita al rinnovamento partito dall’Abbazia di Cluny. In questo periodo si diffusero centri importanti in Germania e Italia settentrionale. A questo periodo risalgono alcuni importanti monasteri dell’Alta Langa: quello di San Benedetto Belbo del 1035 e quello dedicato a Santa Giulia presso Monastero Bormida, probabilmente del X secolo. Significativo il fatto che entrambe le località portino nel nome proprio il riferimento ai centri monacali. Risale al X secolo anche il monastero di San Martino di Castino che sorse a non grande distanza da quello di Nostra Signora delle Grazie in località San Bovo, il cui periodo di fondazione è ignoto, ma certamente precedente l’anno 989.
In Bassa Langa è databile intorno all’anno Mille (ma senza troppa precisione) l’abbazia di San Martino di Marcenasco nella zona che oggi è definita frazione Annunziata di La Morra. È stata costruita in stile romanico sui resti di un castello. Questa struttura ha rivestito grande importanza per lo sviluppo del paese. La sua influenza è attesta in particolare in un documento del 1201, dal quale si evince che per gli abitanti di Murra quella struttura fosse un punto di riferimento. Nel 1479 l’abbazia ha visto la fondazione di un nuovo convento dell’Ordine dei Servi di Maria.
Gli altri monasteri di cui ci sono notizie sono successivi di 200 anni circa. A Novello in località Podio abbiamo un’altra abbazia benedettina che sorgeva lungo la via francigena, intitolata a Maria Vergine della Neve o Madonna del Podio. Dai resti che si possono vedere oggi è difficile capire quanto fosse grande, ma doveva certamente essere una centro importante per la comunità locale. Fra l’altro i centri monacali che sorgono nel XIII secolo sono composti da un numero minore di membri. È probabile che anche gli edifici non fossero particolarmente imponenti. Così è attestata dalla memoria degli abitanti, l’esistenza di un centro anche in Borgata San Pietro a Monforte. Di questo oggi non resta nulla, a dimostrazione della decadenza vissuta dalle istituzioni, ma anche dagli stessi edifici, utilizzati per il recupero di prezioso materiale edilizio dagli abitanti dei luoghi in cui sorsero.
In questo senso è emblematico il destino del monastero benedettino di cui ci sono giunte più notizie. L’abbazia di San Frontiniano di Alba è stata studiata da C. L. Giordano nel 1933. La datazione di nascita è ignota, ma tutto fa pensare che la sua costituzione risalga all’anno Mille circa, come tentativo di rinascita e ricostruzione dopo le scorrerie saracene. L’abbazia conosce un periodo di grande splendore intorno al XIII secolo quando i suoi possedimenti si estendono su buona parte delle Langhe (comprese Sinio, Monforte e Arguello) e anche in territorio Astigiano.
La soppressione avviene a metà del XV secolo. Inizialmente le proprietà del monastero vengono affidate al Cardinal Teodoro, ma già i monaci non vi abitavano più, vista la sua posizione difficile da difendere. Posto in pianura sulla strada fra Alba e Roddi, era facilmente preda delle incursioni dei mercenari che in quel periodo combattevano per conto di varie signorie europee. Teodoro rinunciò alla commenda e le proprietà ancora ingenti passarono a Bernardo Del Carretto, vescovo di Alba e ultimo di fatto a occuparsi del monastero le cui reliquie erano state traslate nel Duomo di cittadino.
La conclusione di Giordano sul destino dell’abbazia di San Frontiniano è una ipotesi plausibile anche per quelle istituzioni di cui non ci sono tante notizie:
“La Chiesa Abaziale di S. Frontiniano, spogliata delle sue reliquie e dei suoi arredi, non tardò ad andare in rovina. Poco più di cent’anni appresso la vediamo ridotta ad una Cappella campestre della quale i coloni della Mensa Vescovile si servono di ripostiglio”.
La storia di queste istituzioni sembra racchiudere un’ipotesi comune sul loro sviluppo e successivo destino. Le abbazie sorgono quasi tutte intorno all’anno Mille, poco prima o poco dopo. In quel periodo le Langhe erano quasi terra di nessuno, certo Marca Aleramica, ma devastata dalle scorrerie dei pirati Saraceni e non solo, difficile da controllare, in gran parte boschiva. Un diploma imperiale del 967 d. C. descrive le terre aleramiche “cortes in desertis locis” il termine desertis fa pensare a un territorio selvatico e non controllato. Qui i monasteri benedettini, come già detto prima, costituiscono nuclei di civilizzazione in senso lato. Portano sviluppo economico e culturale, diventano potenti anche perché occupano uno spazio lasciato libero. Anche grazie a loro si pongono le basi per lo sviluppo dei secoli compresi fra il XIII e il XV. A questo punto però sono altri i poteri ad essersi affermati sui territori sia dal punto di vista laico che ecclesiastico. Le ricchezze (soprattutto terriere) dei monasteri diventano quasi spontaneamente proprietà altrui, le strutture, ormai abbandonate decadono velocemente.