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Alta sopra il Tanaro, come un bastione a difesa di quel mondo antico che è stata la Langa, La Morra svetta altera sulle colline più belle del mondo.
La sua forma inconfondibile la rende punto di riferimento obbligato per orientarsi nel dedalo di vigneti, castelli, torri e campanili che costituiscono il paesaggio caratteristico delle Langhe, mentre per la sua altezza (siamo oltre i 500 metri) rappresenta l’estremo orizzonte e appunto una sorta di confine: oltre La Morra, il Tanaro, oltre il Tanaro, chissà…
Così un tempo doveva essere per un mondo isolato come quello langarolo che solo in un periodo relativamente recente ha conosciuto benessere e fama. Eppure, anche nei secoli più bui della storia delle Langhe, a La Morra si è sempre conservato un certo stile, la consapevolezza di un’eccellenza che ritroviamo oggi nei suoi tanti cru ma anche, passeggiando nel centro storico, nei molti pregevoli elementi architettonici, oppure scorrendo tra le storiche testimonianze più illustri circa un vino Nebiolum di eccelsa qualità… o ancora visitando l’antica abbazia dell’Annunziata, già monastero benedettino, un tempo fulcro culturale per l’intera area.
La Morra vanta anche una consolidata tradizione gastronomica (già famosa nel XIX secolo) di cui il ristorante dell’Angelo e poi quello del Belvedere sono stati i migliori ambasciatori; infine da qui si gode la più celebre delle viste delle Langhe, quella appunto del Belvedere, la grande piazza alla sommità del concentrico, vera terrazza panoramica sul Barolo.
Per raggiungere il paese si deve passare da una delle tre frazioni principali (Rivalta per chi arriva da Tanaro, Santa Maria o Annunziata per chi arriva da Alba), oppure costeggiare la cresta della collina lungo la direttiva Verduno-Novello. Vi consigliamo di salire e ridiscendere in ogni direzione essendo impossibile indicare una “via maestra” e avendo comunque ognuna di queste strade scorci pieni di fascino.
Inoltre, per una visita più dettagliata del territorio vinicolo, è assai consigliato percorrere le strade minori (comunali o vicinali) che corrono in mezzo ai vigneti, attraversando magari borgate un tempo popolose ed oggi deserte, scoprendo le molte vigne storiche di questa terra. A questo proposito non vi deve mancare la carta Sentiero del Barolo e quella dei sette sentieri del paese (si possono trovare alla Cantina Comunale, proprio nel centro del paese, oppure presso l'Ufficio turistico, all'inizio di via Umberto I) e per i più esigenti un’opera fondamentale come l’Atlante delle Grandi Vigne di Langa (edito da Slowfood).
La tradizione festaiola del paese è alquanto radicata, se già nel 1933 si ricordano frotte di golosi ante litteram arrivare in processione da Torino con un treno speciale de “La Stampa” per una mitica Festa dell’Uva, e riempire tutte le osterie del paese e ben tre balli a palchetto! Del resto anche un Papa Pio VII, nel 1804 ebbe ad esclamare “Ah, La Morra! bel cielo e buon vino!”, ricordando un suo soggiorno all’Annunziata. Oggi i buongustai hanno un appuntamento ormai consolidato che coniuga la bellezza della natura con la raffinatezza della gastronomia locale, ovvero la Mangialonga.
Andando più indietro nel tempo, storia e leggenda si mescolano ripercorrendo le scarne notizie che ancora oggi abbiamo sulle origini di La Morra. Forse esisteva già un insediamento all’epoca imperiale romana, plausibile pensando alle vicine Alba Pompeia, Pollentia e Augusta Bagiennorum e già si coltivava la vite (ma quale?): lo proverebbe una stele ritrovata proprio a Pollenzo che ricorda un tale Marco Lucrezio Cresto, “merkator vinarius” (cioè commerciante di vini). Oppure invece la vetta della collina rimase intatta nella verginità dei suoi boschi sino ad oltre il 1000, come ci ricorda l’aspro Bricco del Dente, che però agli alberi ormai alterna i moderni ripetitori.
Le invasioni barbariche distrussero poi la ricca Pollenzo (nella cui piana nel 402 Stilicone fermò i Visigoti sconfiggendovi Alarico) ed è probabile che le eventuali coltivazioni viticole romane siano andate perdute con le scorrerie di Goti, Vandali, Unni ecc... Proprio in seguito alle frequenti razzie, le popolazioni si spostarono dalle pianure sempre più verso l’alto, per arrivare al modello medioevale di cittadella su colle fortificato. Intanto ai Romani erano subentrati prima i Longobardi, poi i Franchi di Carlo Magno e quindi, con Ottone I, nel 962, gli imperatori tedeschi.
È probabile che proprio a cavallo del millennio anche l’Ordine Benedettino giunga nelle Langhe, iniziando nuovamente l’opera di civilizzazione di queste colline; i monaci si insediarono tra l’altro a Marcenasco, l’odierna Annunziata, edificando un convento e la chiesa e riprendendo senz’altro la coltivazione della vite. Essendo colti (e speriamo anche gaudenti) non sbagliarono il luogo (il versante dell’Annunziata è uno dei migliori di tutta la zona) e ci piace pensare che nella scelta del loro insediamento, accanto ad esigenze di ordine pratico (accessibilità, difendibilità) ne abbiano poste altre - forse meno pressanti - ma di carattere più “spirituale”, per le quali noi ancora oggi siamo loro sinceramente riconoscenti.
La prima notizia di un insediamento di vetta risale al 10 ottobre del 1201, citando un certo Oddone di Murra, che forse già all’epoca aveva problemi edilizi... Il toponimo Murra fa riferimento ad un recinto per le pecore e questo ci fa pensare che la prima occupazione dei suoi abitanti fosse la pastorizia e non la vite che probabilmente era coltivata più in basso attorno all’abbazia; infatti molti dei toponimi che ancora oggi indicano località, frazioni e vigneti li troviamo già citati in un altro documento del 1200 dove sono censiti i possedimenti dei signori di Marcenasco.
Nel frattempo l’influenza della vicina Alba è sempre più presente e sia Murra che Marcenasco e Ripalta (l’odierna Rivalta) si sottomettono al comune.
Nel 1340 per la cifra di 5.000 fiorini il feudo passa alla nobile famiglia astigiana dei Falletti che da allora legheranno le loro fortune a questi territori, e il loro nome a quello di un vino, il Barolo.
Basta pensare che dai catasti rinascimentali è possibile individuare moltissime località già allora identificate con lo stesso toponimo e già allora utilizzate per la coltivazione della vite: Brinata, Rocha, Celequio, Zonchetum, Fontanacia sono solo alcuni di questi. Infine, per chiudere questa breve storia di La Morra e del suo vino arriviamo al 1431, quando per la prima volta viene citato il Nebiolum in un atto del notaio Odonino de Bancho: il Barolo ha quindi oltre 500 anni di blasone certificato!
Avviciniamoci dunque a questa collina e all’antica Marcenasco, l’abbazia già tante volte citata: saliamo dunque all’Annunziata per trovare la chiesa di San Martino (oggi dedicata all’Annunziata), di evidenti origini romaniche, la cui facciata è stata rifatta nel 1684 secondo le forme barocche; la parte absidale con il bel campanile (forse un po’ trascurato) conserva invece le forme originarie con l’alternanza di pietra e mattone; all’interno lavori di restauro hanno fatto riemergere le pitture absidali del XV secolo oltre ad una stele romana del II sec d. C. nel pavimento da cui si accede alla cripta. I locali del Convento (soppresso nel 1797) un tempo adibiti a scuola, sono oggi di proprietà comunale ed aspettano un intervento di recupero complessivo; invece nelle belle cantine trova posto il Museo dei Vini d’Alba, fondato da Renato Ratti.
Salendo dall’Annunziata si scorge poi subito la sagoma del grande Cedro del Libano del Mons Fallettorum, piantato sul colmo del piccolo colle da Costanzo Falletti ed Eulalia Della Chiesa in ricordo del proprio matrimonio celebrato nel 1856; è uno degli alberi più amati di tutte le Langhe, eletto a convegno per incontri romantici, come per attività più contemplative quali pittura e fotografia… ma durante la guerra era uno dei punti scelti per lo scambio di messaggi tra i partigiani e le loro famiglie.
Se invece si sale dal bivio del Gallo verso il versante di Santa Maria, si sfiora un borgata dal toponimo quanto mai significativo: Serra dei Turchi, indice evidente delle scorrerie saracene; poco oltre la strada prende a salire verso la frazione, la cui chiesa dà il meglio di sé nella parte absisale e sorge in luogo di una precedente antica cappella del XII secolo dedicata alla Vergine. Dell’antica costruzione conserva, murati nella facciata, alcuni frammenti decorativi in pietra di stile romanico. I vigneti migliori qui sono Roncaglie, Bricco Chiesa e Rive, dominato dalla torretta da dove a fine ‘800 il cav. Parà, storico patriarca del vino, impartiva le dritte ai propri lavoranti.
Raggiunto il bivio dove la strada si congiunge con la salita dell’Annunziata, il percorso diventa davvero erto e in poche curve si passa quota 500; l’arrivo al paese è in parte guastato da pochi brutti condomini che però limitano la loro ingombrante presenza a questa cresta iniziale, lasciando il centro storico intatto anche perché poggia quasi per intero sull’altro versante. È proprio il centro storico con il suo dedalo di viuzze, con le case ristrutturate e i fiori ai balconi, con l’acciottolato di fiume e il più comodo porfido, con i romantici bastioni e il balcone naturale del Belvedere, l’ultima e la più preziosa dote di La Morra; solo trent’anni fa era molto degradato e quindi facile preda di speculazioni edilizie; oggi è uno dei centri più belli e meglio tenuti di tutte le Colline del Vino piemontesi. Si aprono cantine, vinerie, ristoranti, enoteche in ossequio alle migliaia di turisti che qui arrivano, ma più che altro ritornano, ogni anno... ma si recuperano anche le case private, gli androni, le vecchie stalle, le confraternite, e si restaura con attenzione (come per la chiesa di Santa Brigida) usando un sano buon senso (così sconosciuto alla maggior parte degli amministratori pubblici) nella scelta delle panchine, delle luci, dei materiali; e si piantano tanti fiori. Anche in questa attenzione per il dettaglio architettonico, La Morra si distingue, mantenendo con Serralunga l’eccellenza del vino, ma pure del borgo antico.
Si consiglia di lasciare la propria automobile nell'ampio parcheggio realizzato in piazzale Monera, subito sotto piazza Vittorio Emanuele II (ben visibile in quanto contraddistinto da una pergola centrale). Passeggiamo quindi per le vie ombrose del centro: all'inizio di via Umberto I, una delle strade principali che porta a piazza Castello si trova l'Ufficio turistico, molto utile per reperire le informazioni più immediate per il visitatore. Costeggiamo via XX settembre su cui si affaccia l’imponente Palazzo Falletti, oggi Cordero di Montezemolo, a lungo residenza della famiglia ma anche cantina storica (una delle prime etichette è del 1880) per il Barolo. Il testimone della tradizione enologica passa dai Falletti ai Cordero nel 1941, quando Paolo Cordero di Montezemolo eredita le terre della nonna Luigia Falletti. Paolo è ricordato da tutti come un vero gentiluomo di campagna e come uno dei grandi barolisti storici di La Morra. Per una più approfondita trattazione della storia del paese nonché di tutti i suoi produttori rimandiamo al bel libro di Armando Gambera “Storia del Barolo di La Morra”, che potrete facilmente trovare alla Cantina Comunale.
Da via XX Settembre sbuchiamo nella salita del Municipio, via San Martino dove sulla romantica piazzetta dei bastioni, si affacciano la barocca parrocchiale di San Martino e la confraternita di San Rocco, oltre al palazzo comunale. La chiesa parrocchiale dedicata a San Martino è un gioiello del Barocco piemontese. Progettata da Michelangelo Garove, che ha poi lavorato alla realizzazione della tenuta sabauda di Venaria Reale, è un edificio imponente a navata unica costruito fra il 1683 e il 1715, anno di realizzazione dell'altare maggiore, gioiello realizzato da Giovanni Valle con l'utilizzo di marmi policromi di grande qualità. Vi si trova anche la pala d'altare realizzata dal canellese Giovanni Carlo Aliberti. Anche la chiesa di San Rocco è realizzata in un'unica navata in stile Barocco. È stata realizzata fra il 1716 e il 1750 su iniziativa dei Confratelli Turchini, in segno di ringraziamento per lo scampato pericolo dal contagio della peste.
Dalla piazza si accede appunto ai bastioni, affacciati ad ovest. Si tratta della testimonianza più importante rimasta dal paese medievale. Erano infatti le mura, piuttosto massicce, che proteggevano l'abitato nei suoi primi secoli di vita. In parte ricostruiti nel XIX e XX secolo, attraverso due rampe di strada in ciotoli conducono alle due antiche porte d'accesso: del Borghetto (in basso) e della Cittadella (in alto). Oppure si prende via Carlo Alberto su cui si trova la bella Cantina Comunale, fornitissima e dinamica: nei suoi locali in mattone a vista si tengono conferenze, mostre e generose degustazioni. La strada sbuca sulla piazza del Belvedere, tra le vecchie scuole e la Torre dell'Orologio, oggi visitabile, un tempo vedetta del castello fortificato di cui resta unica testimonianza (il maniero andò perduto nel 1631).
Due monumenti ricordano uno il concittadino più illustre, Giuseppe Gabetti, autore della Marcia Reale, e l’altro l’anonimo Vignaiolo, simbolo possiamo dire dell’intera comunità, unito indissolubilmente al tralcio di vite, nella fatica secolare della campagna.
Sulla piazza all’angolo opposto fa bella mostra di se invece uno dei templi laici per ogni buongustaio che si rispetti: il ristorante Belvedere (ormai da tempo chiuso), di cui l’immagine più bella secondo noi resta quella di Mario Soldati che intervista sulla soglia della cucina una intimorita ma orgogliosa Giuseppina Roggero (storica cuoca di Langa), narrante di mitici involtini ripieni di tartufo bianco (erano gli anni ‘50, il film era “Viaggio lungo la valle del Po”).
Scendete quindi per via Umberto I dove aprono l’uscio molti esercizi golosi e sceglietevi una meta per una romantica passeggiata. Magari verso Verduno, all’ombra del viale di platani che scollina verso il Tanaro, con la vista sulle colline fortificate del Roero (si vedono in rapida successione Pocapaglia, Santa Vittoria, Monticello, Sommariva, Baldissero, Montaldo ecc.) e sulla rocca di Cherasco a dominare la pianura verso Fossano e Savigliano. Prima però merita un'occhiata la Confraternita di San Sebastiano, realizzata in un'unica navata fra il 1700 e il 1708 al posto dell'antica chiesa parrocchiale. Era l'edificio dei Disciplinati bianchi ed è accompagnato da un elegante campanile in cotto del 1766. All'interno si nota un interessante altare in stucco.
Un’altra puntata piacevole la potete fare scendendo dal paese al vicino laghetto, luogo ideale per un pic-nic; qui c'è anche un'area che permette la sosta a camper e roulotte.
O ancora - ed è quello che vi consigliamo - dal paese prendete la strada (sterrata) della Fontanazza, che serpeggia tra i vigneti di Serra, Cerequio e Brunate sino a scendere sulla fondovalle. A metà strada troverete la Cappella del Barolo, “consacrata” all’arte con i lavori di due dei più importanti artisti contemporanei: l’americano Sol Lewitt (per l’esterno) e l’inglese David Tremlett (per gli interni); si tratta di un’opera molto moderna che ha però nel vino la propria “musa ispiratrice”: un tentativo per continuare a promuovere l’arte (quella del proprio tempo, beninteso) nei luoghi di maggiore prestigio (come sono oggi queste colline), secondo una tradizione italiana di mecenatismo, che negli ultimi cinquant’anni si era invero persa... sono dunque ancora a La Morra i precursori delle buone abitudini?
Il nostro percorso prosegue poi per Novello, seguendo le indicazioni per Vergne e costeggiando l’aspro Bricco del Dente da dove la vista è impagabile. Sotto di noi alcuni dei più famosi cru di Barolo (Cerequio, Brunate, La Serra, Fossati) si dispongono ad anfiteatro in faccia alla mole del Castello Falletti di Barolo.
Giunti alla rotonda della frazione Vergne si tiene la sinistra a seguire la strada che scende verso Barolo da dove si può ammirare il massiccio Castello della Volta (un maniero difensivo rimasto tale), il cui aspetto tradisce lo stato d’incuria in cui si trova. All’incrocio successivo a destra si scende verso Barolo, mentre seguendo la via diritta si raggiunge in pochi chilometri Novello.
Il paese si trova, come tutti i centri delle Langhe, sulla cima di una collina. Prima dell’ingresso nel centro una rotonda offre la possibilità di svoltare a destra in direzione Monchiero. Vale la pena prendere questa strada per giungere a un altro incrocio dopo circa centro metri. Un cartello indica la direzione verso alcuni piccoli borghi, fra cui Podio. Subito dopo l’incrocio si può ammirare, in una piazzetta ricavata a sinistra, la Cappella della Madonna degli Angeli, detta anche Porziuncola o Madonnina. La struttura attuale risale al 1664 e sorge su sito di un precedente pilone votivo che portava un affresco di origini ignote raffigurante la Vergine col bambino in colloquio con San Francesco: il dipinto si è salvato e si trova all'interno della chiesetta sopra l'altare maggiore. Nella frazione si trovano anche i resti di un'antica chiesa che era stata monastero benedettino nel XIII secolo, oggi all’interno di una proprietà privata. Di quella struttura importante resta un perimetro rettangolare in pietra, aperto su un lato con due archi divisi da una colonna.
A questo punto conviene tornare sulla strada principale e risalire verso Novello. Alla rotonda si gira a destra per entrare nel paese attraverso via Giordano e dove si può parcheggiare l’auto agevolmente. Prima di inoltrarci nel borgo conviene scendere in via Ravera per scoprire due chiese parzialmente nascoste alla vista. A sinistra si può notare la chiesa di Santa Lucia con la sua facciata completamente bianca. Realizzata nel XVIII sec., ha subito numerosi restauri nel corso dei decenni successivi e ha la particolarità di essere scavata nella roccia. In paese il culto per Santa Lucia è particolarmente sentito visto che ogni anno si svolge una fiera ad essa dedicata nella domenica più vicina al 13 dicembre; all'interno la santa è rappresentata da una statua opera dell'artista lamorrese Giovanni Vassallo. Poco più avanti invece si può notare ciò che resta dell’antica chiesa di San Rocco edificata nel XV secolo. In pratica resta solo la parte interna dell’abside, su cui un tempo erano stati disegnati pregevoli affreschi ormai completamente perduti. La chiesa era ancora nel suo stato normale a inizio del XX secolo e aveva svolto la funzione di Lazzaretto nel 1884 durante l’epidemia di colera. Da notare anche la casa-forte gialla che sorge tra le chiese e la piazza.
Tornati su via Giordano si prosegue verso l’interno del paese. Questa parte non ha molto da offrire al visitatore: si tratta infatti dell’area di espansione più recente dell’abitato. Quello che invece era l’ingresso alla zona più antica, quella medievale, è segnalato da un arco sottostante un’antica torre realizzata nel XIV secolo e un tempo collegata a dei bastioni. Si trova subito dopo l’incrocio di via Giordano con via Roma. Alla sua destra una porta di vetro offre l’accesso alla Bottega del Vino del paese, incastrata curiosamente nella cripta di San Sebastiano, all’interno del grande abside della chiesa parrocchiale di San Michele Arcangelo. L'antico arco si apre su piazza Vittorio Emanuele II, chiamata dai residenti piazza della chiesa, visto che vi si affacciano sia la parrocchiale che la chiesa della confraternita. Risalenti entrambe al XVII secolo, sono due begli esempi di barocco piemontese. La parrocchiale, realizzata su progetto dell’architetto Nicola Vercellone di Cherasco, mostra una struttura a croce greca con una sola navata. All’interno si possono ammirare gli affreschi dipinti fra il 1875 e il 1885 da Amedeo Augero. L'edificio è piuttosto imponente, altro circa 35 metri; la facciata, realizzata in cotto, evidenzia uno stile austero e equilibrato e più che il barocco sembra ricordare il classicismo. Al suo interno si trova anche un dipinto attribuito a Andrea Pozzo (Vienna 1642 – Trento 1709) dedicato al Martirio di San Sebastiano. La chiesa della Confraternita di San Giovanni si presenta con la sua tipica facciata barocca in pietra. È stata costruita fra il 1750 e il 1756, pochi anni prima della parrocchiale. I motivi ornamentali delle pareti sono frutto del lavoro dei fratelli Barelli di Lugano, attivi in Piemonte nella seconda metà del XIX secolo. Oggi viene adibita soprattutto per esposizioni e mostre. Entrambe le chiese conservano l'organo creato al momento della loro costruzione: quello della parrocchiale tuttora funzionate, l’altro da recuperare.
Proseguendo lungo via Umberto I si giunge in piazza Marconi, su cui si affaccia il municipio. Ci si può anche arrivare seguendo via Regina Margherita che dalla torre medievale di ingresso circonda il centro storico. Questo percorso, un po’ più lungo, garantisce uno splendido punto di vista sulle colline vitate delle Langhe. Su piazza Marconi si possono vedere due caseforti a destra. A sinistra invece, vicino all’ultima parte del paese, quella più sopraelevata ci si può fermare su piazza Oreste Tarditi, importante pittore del paese del XX secolo, cui è dedicata anche una targa lungo via Umberto I, per ammirare nuovamente le colline langarole e in particolare Monforte dal belvedere. Il Castello rappresenta il punto d'arrivo del percorso nel centro storico. Progettato dall’estroso architetto di Dogliani, Giovanni Battista Schellino nel XIX secolo, oggi ospita un importante albergo ristorante. In origine sulla cima della collina si trovava un antico maniero medievale che è stato per lungo tempo della casata dei Del Carretto, teatro di vicende burrascose della nobile famiglia. Dell'edificio più antico oggi restano comunque visibili alcuni resti alla base del castello completato nel 1880. La struttura è stata realizzata in stile neogotico, secondo il gusto del tempo. La facciata mostra torri arricchite da numerosi temi ornamentali che quasi si accavallano. Alla base si possono ancora notare i resti della precedente fortezza difensiva. La costruzione venne stata commissionata da Maria Allara Nigra, persona molto colta e scrittrice dilettante.
Tornando indietro si può svoltare a sinistra e scendere lungo via Marchesi Oreglia che conserva su entrambi lati delle strutture simili a piccole torri poste su di una casaforte a sinistra, e sulle mura adiacenti al castello a destra. Lo storico Casalis ritiene siano state proprio garitte difensive che ospitavano le armi imperiali, nel tempo in cui questo comune era feudo dell'impero e godeva di molti privilegi e franchigie. Particolarmente interessanti le strutture presenti sulla casaforte adiacente il castello. Presidiano ogni angolo dell'edificio, mostrando chiaramente quale fosse l'antico progetto militare. Proseguendo su via Marchesi Oreglia, a destra, si trova un piccolo belvedere che si affaccia sulle Rocche, la Valle del Tanaro e il vicino paese di Monchiero. Dirigendosi invece a sinistra su via Fracchia si giunge subito alla seconda antica porta medievale di ingresso al paese; restaurata nel 1995, conserva la struttura originaria. Un tempo c'era anche una terza porta, oggi scomparsa, a chiudere su via Marconi.
Proseguendo lungo via Fracchia si rientra in paese (nella parte più bassa) attraverso quello che a tutti gli effetti è uno dei sentieri del Barolo.
Percorrendolo anche fuori dall’abitato ci si può incamminare sulla vecchia strada che portava a Monchiero. Il sentiero è ben battuto e chiaramente segnalato e non particolarmente impegnativo. Nei pressi dello scollinamento, quando la strada gira verso destra, si può trovare leggermente più in alto un edificio diroccato che un tempo era la chiesetta di San Nicola; oggi è tanto rovinato da non suscitare interesse. Il sentiero si inoltra in un bosco particolarmente interessante poiché situato nel territorio delle Rocche, zona geologicamente molto antica, che ospita molte delle preziose piante tartufigene. Qui sono stati trovati alcuni tuber particolarmente grandi, il più famoso dei quali venne inviato da Giacomo Morra al Presidente americano Truman e pesava ben 2,52 kg.! Il sentiero a un certo punto si biforca: si può preseguire lungo la parete della collina e raggiungere l'Edicola del Rivoglio, una curiosa struttura cilindrica di piccole dimensioni realizzata a scopo devozionale, situata in una proprietà privata; all'interno, in una nicchia si trova una statua lignea della Vergine, deteriorata dal tempo, mentre un'iscrizione all'ingresso testimonia la data di realizzazione, il 1750. L'altra diramazione del sentiero conduce in basso, a Monchiero Stazione. Questa strada presenta alcuni punti con dislivelli abbastanza importanti.
Dopo le passeggiate offerte da questo itinerario, una pausa è d'obbligo in una delle numerose strutture ricettive presenti in paese oppure presso la Bottega del Vino. I piatti tipici langaroli possono essere accompagnati qui anche da un bicchiere di Nas-cetta. Si tratta di un vitigno a bacca bianca un tempo diffuso anche a Monforte e Alba, ma oggi limitato solo a Novello. Il vino, ben strutturato, propone note floreali e fruttate.
Per intanto la nostra visita è finita, non ci resta che accomodarci accanto ad un tavolo con qualche bottiglia... e passare dalla teoria alla pratica! Prosit.