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anViagi 152Sbagliando Strada

Da Nizza a Incisa (e ritorno) attraverso la Val Sarmassa

Pietro Giovannini2 maggio 2016

Il nostro viaggio alla scoperta del Monferrato astigiano parte da uno dei suoi centri più suggestivi e dinamici: la città di Nizza, che ha insieme mantenuto il fascino del “vecchio Piemonte” di portici, botteghe in legno, mercati e tanto dialetto.

La piazza del Comune, cuore dell’antico centro storico, è la nostra base di partenza: qui la torre campanaria del Palazzo civico (detta il Campanon) svetta sopra di noi; il Palazzo, che ha subito numerosi restauri nel corso dei secoli, risale al 1353 ma ha assunto la forma attuale nel 1883-84 quando ne è stata ripristinata la merlatura e innalzata la torre, alta 28 metri (in sostituzione della precedente) sormontata da un tronco di piramide ornato di colonne agli spigoli.

La piazza, denominata Martiri di Alessandria, è circondata da palazzi del 1700-1800 di bella fattura, tra cui il Palazzo De Benedetti di notevole pregio architettonico. Fate due passi sotto i portici della via Carlo Alberto, la “via Maestra”, ricca di negozi e “boiserie” dei primi del ‘900, vero centro commerciale della città, quindi dalla piazza Comunale imboccate via Pistone e poi via Gioberti, alla fine della quale, al n° 39, incontrerete la Casa delle Tre Palle, così detta perché tre palle di cannone sono murate sulla facciata, a ricordo dei numerosi assedi subiti nel XVII sec. dalla città. 

  • Il palazzo civico con il Campanon nel centro di Nizza Monferrato. Photo: .
  • Palazzo De Benedetto nel centro di Nizza Monferrato. Photo: .
  • Il parco della cascina Cremosina. Photo: .
 

Prendete poi per via Spalto Nord verso il quartiere detto del Castello; questi toponimi testimoniano il fatto che fino al 1647 Nizza fu città fortificata (il presidio più importante della valle Belbo), ed era, nella sua forma triangolare, circondata da mura; questo era lo Spalto a nord, guarnito ad occidente dal Castello, posto a difesa della Porta di Belmonte sulla confluenza del rio Nizza con il Belbo. Delle massicce mura rimangono ancor’oggi tracce nelle cantine delle case lungo il rio.

Nizza detta della Paglia venne fondata (convenzionalmente nel 1225) come villa-nuova dopo che Alessandria in guerra con Asti aveva distrutto il territorio circostante con relative fortezze (battaglia di Calamandrana). Gli abitanti dei sette (sempre il sette nella storia/leggenda della fondazione di una città) castelli distrutti si riunirono attorno alla Abbazia di San Giovanni in Lanerio e costruirono la nuova fortezza a cuneo, alla confluenza del Belbo col tributario Nizza, con e strette vie a castrum romano parallele tra loro, ortogonali alla via maestra che conduceva alla porta principale della città. La nuova città, geograficamente al centro di importanti vie di comunicazione, si sviluppò velocemente, con i tetti di paglia delle sue case che le diedero il nome con cui è nota ancora oggi in dialetto. Innumerevoli gli assedi, i saccheggi e le distruzioni di cui la più significativa resta quella del 1647 fatta dagli Aragonesi che rasero al suolo la fortezza e le mura (di cui infatti restano poche evidenze).

Usciamo da Nizza verso la vicina campagna e come cavalieri medioevali risaliamo la strada che dall’Abbazia extra-muros portava allo scomparso castello di Lanerio. Giriamo quindi seguendo le indicazioni Bricco-Cremosina-Sernella, e saliamo verso la collina; dalla cima, la cascina Cremosina, storica cascina appartenuta ai Conti Corsi di Viano, domina il belvedere sulla città. Fate ora una piccola deviazione per strada Vallerasca, proprio sul crinale tra valle Belbo e Sernella, per raggiungere a piedi la Chiesetta della Madonna della Neve o del Bricco (1757-58), sorta proprio sui resti del castello di Lanerio. La chiesetta, panoramica e amena, è eletta volentieri a meta per scampagnate e pic-nic primaverili: l’iscrizione sulla parete destra ricorda il voto dell’abate, che edificò a proprie spese l’altare in marmo, per essere miracolosamente scampato ad una grave caduta da cavallo.

Tornate sui vostri passi e dalla Cremosina scendete per strada Sernella, che si immette (tenete la sinistra) nell’omonima fondovalle; la valle è ricca di salici posti a tenuta degli argini del rio, di pioppi e di prati tenuti “a fieno” macchiati dal giallo del “dente di cane”, il fiore del tarassaco e merita di essere percorsa fino a Castelnuovo Calcea.

  • Chiesetta sul bricco a Noche, frazione di Vinchio. Photo: .
  • Il monumento a Davide Lajolo a Vinchio. Photo: Diego De Finis.
  • La chiesa parrocchiale di San Marco a Vinchio. Photo: Diego De Finis.
  • Il tumulo dove un tempo sorgeva il castello di Vinchio. Photo: Diego De Finis.

Se però, ben prima, imboccate strada Praiotti, una ripida erta ci conduce a Noche (frazione di Vinchio), inerpicandosi tra acacie, sambuchi, lillà e rose selvatiche; sullo sfondo spuntano ora i paesi vicini, arroccati ai loro castelli, mentre, man mano che si sale, la vista si apre alle numerose vallette contigue alla Sernella. Soprattutto al tramonto, i campi arati, i prati le vigne e i gerbidi assumono tonalità morbide e  particolari, ricordando le tele di Klimt. Proprio come con le sfumature del paesaggio, qui ogni valletta esprime anche un particolare crü della Barbera. 

Da Noche prendete a sinistra per Vinchio, a cui giungerete in un paio di chilometri: il borgo agreste è mosso dall’alta torre del campanile della parrocchiale e dal tumulo un tempo sede del Castello. Il Castello molto importante durante tutto il medioevo venne progressivamente abbandonato e cadde in rovina per essere abbattuto a metà Ottocento. Ne possediamo però una descrizione dettagliata ad opera del De Canis (Corografia Astigiana – 1816) e una suggestiva incisione del Gonin (tratta dall’Album delle Principali Castella Feudali della Monarchia di Savoia – 1842-1860).

L’area retrostante il Municipio (eretto proprio a discapito degli ultimi ruderi) è attrezzata come simpatico punto panoramico e merita senz’altro una visita fino in cima.

Vinchio è anche famoso per la produzione dell’ottimo asparago, detto “del Saraceno”. In effetti la leggenda vuole che proprio qui Aleramo abbia fermato un’invasione di saraceni facendone strage (un toponimo Valletto della Morte, una piccola forra che si apre a sinistra su strada Braglia, sarebbe il luogo esatto dello scontro) e un po’ tutto (a partire dall’origine del nome del paese, da “Vinci” per vittoria) richiama quindi la battaglia coi Saraceni a partire dalla annuale rievocazione storica di fine aprile. Vinchio è noto soprattutto per essere con il dirimpetto Vaglio Serra la terra di elezione della migliore Barbera d’Asti, che ha nella denominazione Nizza e in un rigido disciplinare di produzione la sua effettiva certificazione di qualità. Inoltre è il paese di Davide Lajolo, giornalista, scrittore e partigiano che ha definito con efficacia il paese “Vinchio è il mio nido”. Da leggere almeno Il voltagabbana e il ciclo di racconti I më, oltre a fare un giro lungo i luoghi di Lajolo, tra i cosiddetti Bricco dei Tre Vescovi (si toccavano le tre diocesi di Asti, Alessandria e Acqui) e Bricco dei Saraceni.

Spicchiamo dunque il volo da Vinchio e percorriamo la bellissima strada di cresta verso Belveglio, nel cuore della Riserva Naturale della Valle Sarmassa (un termine dialettale che ricorre spesso in Piemonte ad indicare fondovalli umidi, legato all’etimo celto-ligure is/ar per acqua); il Parco ha una superficie di 200 ettari ed è fiancheggiato da numerose valli laterali, che si addentrano ripide tra le colline aprendo nuove pagine all’immaginazione del viaggiatore: ricco di boschi di querce, acacie e castagni, nonché di fossili marini affondati nel terreno sabbioso, vi consigliamo assolutamente un’escursione.

La cresta della collina ci conduce fino al piccolo paese di Cortiglione, di origini romane, un tempo costituiva praticamente un’unica fortificazione sormontata dal possente castello dove oggi sorge l’acquedotto. I ruderi delle mura meridionali ci permettono di immaginarne le dimensioni ma l’intero borgo venne distrutto definitivamente, come moltissimi altri, forse nelle due guerre per la Successione del Monferrato, anche se non abbiamo notizie certe su quando effettivamente la distruzione sia avvenuta.

Da Cortiglione la strada costeggia il parco fino ad entrare nell’abitato di Incisa, paese importante con un grande passato del Basso Medioevo. Fu infatti potente Marchesato, posto a cuscinetto tra le mire espansionistiche del Monferrato, di Asti e di Alessandria.

  • La loggia che ospita l'organo della chiesa di San Vittore e Corona. Photo: Diego De Finis.
  • Il fonte battesimale ligneo della chiesa di San Vittore e Corona. Photo: Diego De Finis.
  • Palazzo Serbelloni Busca, oggi municipio di Incisa, con il monumento ai caduti . Photo: Diego De Finis.

Da sempre il borgo è diviso tra Villa (la parte alta posta su una rocca quasi interamente circondata dal Belbo) e le frazioni ai piedi della collina. Con lo spostamento del Municipio (nel 1904) nel quartiere basso di Ghiare, il paese si è fortemente espanso verso Nizza e Castelnuovo Belbo.

Imboccate a sinistra via Martiri della Libertà, e subito incontrate la Chiesa dei Santi Vittore e Corona: la costruzione è un bell’esempio di architettura settecentesca neoclassica, con all’interno un affresco del pittore Ivaldi da Ponzone, detto “il Muto” e un bel fonte battesimale, chiuso da una bussola lignea. Passato il Belbo troviamo la piazza mercatale col Foro Boario (oggi un centro convegni polifunzionale) e il Palazzo Serbelloni-Busca, sede del Municipio.

Saliamo dunque al notevole Borgo Villa, cioè Incisa Alta, che conserva molto del retaggio medioevale e più ancora delle ricostruzioni tardo cinquecentesche. La Rocca si presenta quasi come un cilindro a strapiombo sul Belbo e quindi fu sempre facilmente fortificabile. Giunti in cima, ci si imbatte nella notevole Chiesa di N.S. del Carmine, un tempo dell’omonimo convento delle Carmelitane (oggi edificio privato, adiacente la facciata); l’opera, in stile gotico-lombardo, a tre navate, venne eretta forse nel 1314 e ci offre con uno splendido rosone in cotto sulla sobria facciata, mentre l’abside poligonale e il campanile romanico quadrato ne caratterizzano la parte posteriore; all’interno massicci piloni quadrilobati sorreggono le volte a crociera: gli affreschi del 1487 sono ancora molto leggibili (anche grazie ai recenti restauri) e l’intero edificio conserva un fascino medioevale, complice forse la tenue illuminazione naturale.

  • A sinistra il convento delle Carmelitane dopo la chiesa di Nostra Signora del Carmine. Photo: Diego De Finis.
  • La facciata della chiesa di Nostra signora del Carmine col rosone in cotto. Photo: Diego De Finis.
  • Particolare di un affresco quattrocentesco nella chiesa di Nostra Signora del Carmine a Incisa. Photo: Diego De Finis.
  • Lo stemma dei marchesi di Incisa sula pavimento della chiesa di Nostra Signora del Carmine. Photo: Diego De Finis.

Sull’adiacente via del Comune si affaccia il Palazzo Leardi-Angelieri con un grazioso portale in arenaria e una severa fuga di finestre. Potete posteggiare la macchina e proseguire a piedi nel borgo. Proseguendo si raggiunge via delle Mura dove i resti della cinta esterna ancora incutono timore: tra i due imponenti torrioni circolari, spicca un caratteristico loggiato a due ordini di archi. Si passa quindi davanti alla quattrocentesca Porta di Valcalzare, unica sopravvissuta nella cerchia esterna delle mura e, dopo un ultimo sguardo dall’alto su via del Carmine, si prosegue fino alla parte più alta del paese dove sorge oggi la facciata neo-gotica del Palazzo Incisa-Beccaria, detto il Castello Nuovo. L’antico munitissimo Castello sorgeva alle spalle del palazzo ed era protetto da una sua cerchia di mura (il castrum) ma venne lesionato da una mina nell’assedio del 1514 ad opera del marchese Guglielmo IX del Monferrato, per poi essere ridotto in rovina con tutto il paese anch’esso durante le Guerre per la Successione del Monferrato un secolo più tardi. Rimane visibile la pianta della Torre che spunta in mezzo alla folta vegetazione del parco.

La contrada tra queste due cinte murarie era detta de barbacanis (oggi via Umberto I), e va ricordato che anche la parte bassa lungo il Belbo era fortificata e detta burgo Glarearum cioè della ghiaia (oggi appunto Ghiare). Incisa appariva dunque quasi come una miniatura della Torre di Babele con le successive cerchie di mura a risalire la Rocca fino al Castello marchionale. Dal borgo alto si può scendere a piedi attraverso via Pozzomagna che vi riporterà dal Municipio nuovo.

Dalla piazza Capitano Bezzi (su cui si affacciava anche il primo Municipio del paese) arriviamo alla piazza della Chiesa di San Giovanni Battista con l’elegante facciata settecentesca (in luogo di una più antica chiesa andata perduta). La chiesa danneggiata da cedimenti e da un recente terremoto è stata finalmente completamente restaurata e merita assolutamente una visita. Una curiosità: è anche il Santuario della Virgo Fedelis, Protettrice dell’Arma dei Carabinieri; ogni anno i cadetti di tutta Italia vengono qui benedetti in diverse suggestive cerimonie, prima di prestare il giuramento.

Il legame con la Benemerita risale al Carabiniere Giovan Battista Scapaccino, nato qui nel 1802, che divenne la prima Medaglia d’Oro al Valore Militare del Corpo dei Carabinieri, ucciso in uno scontro a Les Echelles in Savoia con i rivoluzionari mazziniani. Nella piazzetta c’è (finalmente) anche un piccolo ristorante e soprattutto una Bottega animata dall’entusiasmo e dalla rara gentilezza di Antonia e Roberta. Oggetti d’arte, laboratori per bambini, memorabilia dell’Arma, saponi artigianali e, last but non least, le chiavi delle chiese per poterle visitare. Antonia anima anche il Gruppo Storico di Incisa, dove anche i turisti possono partecipare, diventando Dame e Cavalieri per un giorno (l’8 Luglio).

  • Una loggia sulle antiche mura di Incisa. Photo: .
  • Piccola loggia laterale del Castello nuovo a Incisa. Photo: Diego De Finis.
  • La facciata della chiesa di San Giovanni Battista. Photo: Diego De Finis.
  • La struttura a tre navate della chiesa di San Giovanni Battista. Photo: Diego De Finis.
  • Particolare dell'altare in marmo della chiesa di San Giovanni Battista a Incisa. Photo: Diego De Finis.

Proseguite quindi attraverso le vie Nazario Sauro e Umberto I, per ammirare in quest’ultima l’austera facciata di Palazzo Bezzi, interamente in mattoni a vista, con portale sorretto da colonnine semicircolari. In fondo alla via lo scorcio panoramico ci mostra la strada del ritorno, ancora il Parco della Val Sarmassa e il piccolo borgo di Vaglio Serra. Usciti dalla Riserva (questa volta nella valle) si svolta a sinistra per il paese; a destra tornereste a Vinchio e soprattutto alla Cantina Sociale dei due paesi, costruita esattamente sul confine, dove si producono ottimi vini (ad ottimi prezzi!).

Vaglio Serra, anticamente era una stazione postale fortificata di epoca romana (in latino il recinto di difesa munito di fossati e palizzata o muro si dice appuntp “vallum” cfr. Vallo di Adriano). Piacevole il centro del paese, abbellito dalle vestigia del Castello (oggi palazzotto settecentesco, sede del Municipio), bella la Chiesa di San Pancrazio, con a lato quella dei Batù, cioè la Confraternita dei Battuti, cui spettava il compito di spostare il Santo Patrono, durante le processioni. Sempre spettacolare il balcone sui bosci di Incisa e sui vigneti di Nizza che ben giustifica l’elezione di queste colline a Patrimonio Mondiale nella lista Unesco.

Da Vaglio la strada scende ripida verso Nizza della Paglia tra belle cascine in mattoni e ville ottocentesche che ben rispecchiano la ricchezza agricola della zona.

  • Un campo di asparagi sotto una vigna a Vaglio Serra. Photo: Diego De Finis.
  • La confraternita dei battuti a Vaglio Serra. Photo: Diego De Finis.
  • La cantina sociale di Vinchio e Vaglio Serra. Photo: Diego De Finis.
  • Il municipio di Vaglio Serra, un tempo palazzo settecentesco. Photo: Diego De Finis.
 

In alternativa vi proponiamo un’escursione in mezzo alla campagna monferrina davvero piacevole: la strada che da Incisa arriva al borgo Impero (con la curiosità delle tre chiesette delle confessioni cristiane) risale poi sulla collina di fronte per correre in cresta tra pioppeti, boschetti di querce e campi coltivati in perfetta assenza di case e borgate (SP243) fino ad Oviglio da cui attraverso il borgo medioevale di Bergamasco e una parallela via dei campi (regione San Colombano) si giunge a Castelnuovo Belbo e da qui si ritorna facilmente a Nizza. È questa una famosa zona tartufigena immersa in un polmone verde di boschi spontanei che sono appunto l’habitat perfetto per il Tuber magnatum Pico. Inoltre la fertile piana alluvionale del Belbo è il regno del Cardo Gobbo, ovvero la gloria di Nizza Monferrato (a Incisa lo chiamano storto per le solite questioni di strapaese): infatti è proprio questa ampia e umida distesa che matura, sepolto nella terra, a novembre, il Cardo gobbo, fedele compagno della Bagna Caöda, entrambi protagonisti, con il tartufo, di bellissime manifestazioni autunnali.

Tornati in Nizza, tappa d’obbligo, oltre il passaggio a livello, è la piazza Dante, o della Stazione. Qui grazie alla lungimiranza degli uomini o forse alla distrazione degli speculatori, si può cogliere ancora l’atmosfera dei primi anni del ’900. Infatti la stazione, il chioschetto in ferro della vecchia edicola, i palazzi circostanti, tutto sembra essersi fermato. Proprio qui ha sede il Museo delle Contadinerie della Casa Vinicola “Bersano”, che raccoglie una completissima collezione di attrezzi della civiltà contadine e artigiana. Sempre nel Museo sono esposte anche “Le Raccolte”: cioè stampe ed etichette rare, risalenti fin al 1600. Sempre per iniziativa del fondatore Arturo Bersano, uno dei Padri dell’Enologia piemontese, qui ha sede la Confraternita della Bagna Caoda, che ogni anno in autunno, si riunisce per assegnare il premio Paisan Vignaiolo a personalità internazionali dell’arte, della letteratura e del giornalismo. 

  • L'Enoteca regionale di Nizza Monferrato. Photo: .
  • L'ingresso del Museo Bersano. Photo: .
  • Il cortile di Palazzo Crova a Nizza Monferrato. Photo: .
  • Il campanile della chiesa di San Giovanni in Lanero a Nizza Monferrato. Photo: .
 

Oltre alla Bagna Caöda, Nizza vanta altre glorie gastronomiche quali innanzitutto la Torta Verde – dove al riso si mescolano le erbe dei prati come il tarassaco, il soncino, il papavero – e la Farinata, detta qui Belecaoda, tipico piatto povero della cucina contadina, a base di acqua, olio, sale e farina di ceci.

Il nostro itinerario riprende dalla piazzetta della Chiesa di San Giovanni in Lanero, la cui facciata è un magnifico esempio di neoclassico piemontese, con all’interno la cappella di San Carlo Borromeo. Proseguiamo quindi per via Pio Corsi per giungere al settecentesco Palazzo Crova: costruito su progetto del architetto Di Robilant, presenta delle caratteristiche volte ad arco e decorazioni in terracotta. Nelle splendide cantine ha sede l’Enoteca Regionale di Nizza (con la Vineria della Signora in Rosso), costituita dai comuni di Nizza, Incisa, San Marzano, Calamandrana, Vaglio e Vinchio, per promuovere in particolare la Barbera d’Asti Superiore, la cui sottozona denominata Nizza (con apposito rigidissimo disciplinare di produzione) ne attesta proprio il valore superiore. A pochi passi da qui, si può visitare l’Auditorium della Trinità, una piccola chiesa sconsacrata, restaurata dall’Accademia di Cultura Nicese (l’Erca) e sede di numerose iniziative culturali. Ovviamente non si può perdere l’anima mercantile della città che ritrovate nella piazza Garibaldi o del Foro Boario (anche questo oggi trasformato in salone polifunzionale) durante i frequenti mercati dell’antiquariato (la terza domenica del mese) oltre a quelli agroalimentari settimanali.

La vivacità commerciale e la tradizione enoica rivivono poi nella spettacolare Corsa delle Botti in cui le principali cantine si contendono la vittoria facendo rotolare una botte lungo le vie del centro. Da ricordare poi assolutamente la filiera della carne di vitello Fassone che proprio qui in Valle Belbo trova forse la sua più compiuta celebrazione: dall’allevamento alla macellazione, dalle “Botteghe della carne” (Nizza e i paesi vicini vantano le migliori macellerie del territorio) agli innumerevoli ristoranti, la filiera è lunga appena una manciata di chilometri e sovente si sentono discussioni interminabili tra cuochi e massaie su quale macellaio abbia “oggi” la supremazia della qualità… non fatevi ingannare: sono tutti buonissimi!

E una piccola capitale del gusto come Nizza Monferrato non poteva che avere la sua gloria proprio in questo settore: al fondo di via Carlo Alberto, nella piazza XX Settembre trovate il busto del padre dell’industria conserviera, Francesco Cirio, che era nato povero proprio qui nel 1836. Un Museo a lui dedicato è invece nel Municipio della vicina Castelnuovo Belbo, attraverso quella piana degli orti e del cardo che ben lo rappresenta.