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anViagi 152La Storia

La decadenza del Piemonte romano

Diego De Finis27 aprile 2016

Nell’ultima fase dell’Impero Romano, il Piemonte subisce un processo di crisi in primo luogo economica, ma anche sociale in generale. Il fenomeno non riguarda solo la regione a nord ovest della penisola, ma tutto l’impero romano, naturalmente il Piemonte ha avuto le sue peculiarità.

A partire dal terzo secolo d.C. l’economia subisce una stagnazione evidente. Le città nate nel periodo augusteo si fermano, non crescono più. Non c’è sviluppo urbanistico, tanto che oggi i resti archeologici della città romane piemontesi riportano alla luce in sostanza la pianta urbanistica realizzata sotto l’imperatore Augusto. Le cause di questa stagnazione sono molteplici e intrecciate l’una all’altra tanto da essere difficile definire quali siano cause e conseguenze. Alla crisi economica corrisponde inevitabilmente una crisi sociale.

Il paradosso è che la crisi prende il via cronologicamente da quello che è considerato il periodo aureo dell’impero romano, a dimostrazione che i segni della decadenza erano presenti in nuce già in quella fase. Marco Aurelio, l’imperatore filosofo, considerato fra le figure più eminenti nella storia dell’impero romano passa l’ultima fase della propria vita guidando gli eserciti in una costante e impari lotta per respingere le invasioni di popolazioni germaniche che premevano sull’impero. Non è nemmeno certo il luogo della sua morte (se l’attuale Vienna oppure una località in Serbia). Il fatto che il successore, il figlio Commodo, non sia stato alla sua altezza non può essere considerato la causa del disastro di un impero. Questo era diventato troppo grande e dunque incontrollabile. Erano numerose le truppe stanziate nelle province esterne. Questo ha fatto sì che l’impero che ha comunque sempre avuto una forte caratterizzazione militare cadesse sempre di più sotto il controllo dell’esercito. Da questo punto di vista il brevissimo impero dell’albese Pertinace, che era stato uno dei più fidati generali di Marco Aurelio rappresenta per certi versi una cesura. Veniva dall’esercito dove aveva fatto una carriera brillantissima, ma cercò inutilmente di ripristinare la dignità del Senato e delle istituzioni civili, di rimettere ordine nelle casse dell’impero. Il tentativo fallì proprio perché cercò di intervenire su nervi scoperti dell’amministrazione imperiale come lo strapotere del corpo dei Pretoriani, che infatti lo uccisero nel 193. A partire dalla sua morte iniziò una guerra civile che si concluse con l’affermazione quattro anni dopo di Settimio Severo e della sua dinastia. L’esercito romano non digerì la morte di Pertinace che considerava un suo rappresentante, non è un caso che l’imperatore che uscì vittorioso dalla guerra interna istituì il culto divinizzato del predecessore assassinato. Divenne evidente il carattere ormai militare del governo, gli imperatori erano decisi spesso dagli eserciti e spesso dovevano affermarsi in sanguinose guerre civili. Il territorio era diventato troppo grande e i tentativi di dividerlo dal punto di vista amministrativo crearono le basi (o il pretesto) per gli ambiziosi cesari di diventare l’unico imperatore, appoggiati dalla propria fetta di esercito.

Di qui la crisi che ha colpito tutto l’impero e anche ovviamente il Piemonte. Le frequenti guerre hanno dissanguato le risorse economiche dei territori, senza contare  che il passaggio degli eserciti rappresentava una vera disgrazia per le popolazioni locali. La necessità di mantenere truppe in armi, costrinse gli imperatori a incrementare la fiscalità su tutto l’impero. Nella precedente puntata abbiamo parlato del dinamismo sociale che caratterizzava la società piemontese nella prima parte dell’impero. Questo dinamismo si bloccò. Gli organi di autogoverno locale vennero a poco a poco esautorati per lasciare il posto a rappresentanti del potere centrale nominati da Roma. Inoltre i fattori già descritti più altri come frequenti e devastanti epidemie (secondo gli storici romani già Marco Aurelio in punto di morte parlava delle epidemie che affliggevano l’impero) mandarono in crisi l’economia rurale. Se il Piemonte romano a partire da Augusto era stato caratterizzato dalla presenza di piccoli e medi proprietari terrieri, nel corso dei decenni ora descritti si è affermato il latifondo in mano a pochi uomini facoltosi molto ricchi. Le condizioni di vita sempre più difficili hanno eroso la piccola proprietà e anche la qualità della vita. Il Piemonte si è sempre di più spopolato a cause della situazione economica e delle devastanti epidemie.

Oltre alla peste antonina,malattia che devastò l’impero sotto Marco Aurelio, si è registrata un’altra devastante epidemia intorno al 250 d. C che portò un ampio spopolamento del territorio anche in Piemonte. A tutti questi fattori si sommò una progressiva insicurezza. Sono stati trovati numerosi tesoretti di epoca tardoimperiale. Si tratta di piccole casse sigillate piene di preziosi che le persone facoltose trasportavano i un territorio diventato ormai sempre più insicuro sia a causa della criminalità interna che delle incursioni barbariche. La forza di Roma, che si era basata fino a questo periodo di decadenza, sull’intoccabilità del proprio territorio (tanto da rendere sostanzialmente superflue le mura) nel tardo impero vacillava. 

Diocleziano (imperatore fra il 284 e il 305) riformò la gestione amministrativa dell’impero prendendo atto della nuova situazione. Egli trasformò tutto il territorio dell’impero in province, in sostanza si chiudeva definitivamente l’amministrazione privilegiata dell’Italia come territorio romano, le nuove province erano soggette a forte imposizione fiscale e a un rigoroso controllo centrale, il Piemonte venne inserito in una vasta area Ligure-emiliana che sotto Teodosio (fine del IV secolo) venne nuovamente riformata, la capitale fu stabilita a Milano e fino alla fine dell’Impero questa città è stata il centro politico e economico per il nord e dunque per il Piemonte. Infatti qui venne stabilità la capitale dell’Impero romano d’occidente proprio da Teodosio e questo portò in Piemonte lo sviluppo economico legato alla presenza di una corte imperiale, ma questo non cambiò la struttura economica agricola basata sul latifondo.

La seconda parte dell’Impero romano rappresenta anche il momento di diffusione del Cristianesimo che si afferma definitivamente come religione maggioritaria a partire da Costantino nel quarto secolo. In Piemonte il cristianesimo sembra arrivare lentamente e un po’ tardi. La più antica lapide che attesta una sepoltura cristiana in Piemonte è datata 401 ed è stata trovata ad Acqui Terme; dall’altra parte nel quarto secolo, anche se la datazione è incerta come le circostanze, ci fu ad Alba il martirio di Frontiniano, un cristiano che si stava spostando verso Roma. Il suo culto è poi alla base della nascita della cristianità albese, ma attesta come la religione fosse vista con sospetto ad Alba Pompeia. Il numero maggiore di iscrizioni trovate in Piemonte è a Tortona e risale sempre all’inizio del V secolo. La nuova religione in Piemonte si è diffusa effettivamente a partire dal quarto secolo, attraverso un’organizzazione  di cui ci è giunta traccia da testimonianze scritte, il centro era Vercelli e il protagonista il vescovo Eusebio che dovette fronteggiare la spaccatura interna fra ariani e “cattolici”. Lui era un fervente antiariano e questo provocò il suo esilio in Palestina, su decisione dell’Imperatore Costanzo II, ariano. Anche da lì Eusebio cercò di guidare il cristianesimo piemontese attraverso lettere per poi tornare a Vercelli dopo l’affermazione di Ambrogio a Milano. In generale come avvenuto anche altrove, il Cristianesimo si è diffuso prima nelle città soprattutto fra chi deteneva le leve del potere, mentre chi viveva in campagna restava tendenzialmente legato a culti e credenze pagani, che infatti spesso si sono trasferiti nel cristianesimo anche quando questo si è affermato ovunque.

La fine del quarto secolo e il quinto hanno rappresentato un periodo oscuro e di crisi profonda per il Piemonte, dal punto di vista materiale. Come abbiamo visto la regione era spopolata da malattie, carestie e crisi economica, tanto che, come altrove ci fu un tentativo di ripopolare il nord ovest con coloni Sarmati, che dovevano, nel progetto imperiale fornire braccia agli eserciti. Si stabilirono nelle città già presenti, ma fondarono anche nuovi insediamenti come Sarmatorium che oggi è Salmour, oppure nella zona dell’Astigiano che oggi si chiama Val Sarmassa. Ma questo non bastò a frenare il disastro. Nel 387 l’usurpatore Magno Massimo attraversò le Alpi per affrontare Teodosio. Il suo esercito fece razzie in tutta la Pianura padana. Nel 402 fu Alarico a invadere il nord ovest, venne fermato dall’esercito romano, guidato da Stilicone, a Pollentia, ma nel frattempo era riuscito ad assediare Asti. Il 405 fu l’anno dell’invasione di Radagaiso; il 410 Costantino III passò le Alpi col suo esercito. L’impero stava crollando e a pagarne le conseguenze erano soprattutto le zone periferiche attraversate da eserciti, continuamente devastate. Questa situazione proseguì fino all’affermazione definitiva di Teodorico, che istituì in Italia un regno Ostrogoto sui resti dell’impero romano d’occidente a partire dal 493. vale la pena citare il regno dei Goti perché fu l’ultimo tentativo nella penisola di utilizzare l’ordinamento romano. Il suo governo, dopo la conquista del potere fu tutto sommato stabile e questo favori un minimo di ripresa economica in un territorio ormai poverissimo. Il centro del nord Italia era Milano, l’imposizione fiscale era pesante ma non priva di elasticità. Il Piemonte era inserito in un quadro amministrativo simile a quello romano, in cui Tortona aveva un importante valore come città d’ingresso nella regione. Ma si trattava comunque di un regno fragile come dimostrato dal suo collasso alla morte del carismatico monarca. É l’alba del medioevo e la esamineremo nella prossima puntata.