Tu sei qui
Acqui fin dalle origini, da quando i Romani la fondarono nell’agro conquistato ai Liguri Stazielli, ha come elemento dominante nel proprio destino, l’acqua; quella fumante, s’intende, ricca di proprietà terapeutiche, che sgorga in due sorgenti, una nel cuore della città e l’altra di là da Bormida ai piedi di Monte Stregone.
Il suo nome antico Aquae Statiellorum ricorda i suoi antichi abitanti ma allude alla dovizia di fonti termali, le stesse ricordate durante il loro primigenio splendore da Plinio, da Strabone, da Seneca e da Tacito. Più dell’etimo e della letteratura, però il passato delle terme acquesi s’erge monumentale nelle residue strutture dell’acquedotto del II sec. d.C., quegli archi e tratti di condotto che un tempo conducevano l’acqua del torrente Erro ad alimentare, oltre a fontane pubbliche e private, soprattutto le piscine dei complessi termali. Una di queste vasche - lunga più di 20 metri e dai bei gradoni originariamente rivestiti in marmo - rimane nascosta nelle cantine di palazzo Valbusa, per gioco del destino a qualche decina di metri dai reparti di cura dell’Albergo Nuove Terme. Meno casuale, storicamente ben più significativa, è la continuità di sito dall’epoca romana al pieno seicento degli impianti “balneari” di piazza Bollente, nel centro urbano. Qui, sotto l’area del tempietto neoclassico e ai suoi piedi, furono rinvenuti tra il secolo scorso e gli ultimi anni, resti di mosaici e di una vasca romani accanto a strutture di terme medioevali, tra cui un’enorme piscina a gradoni. Fu forse l’utilizzo pur discontinuo di questi impianti, unitamente alla presenza della sede vescovile, a stimolare il persistere di Acqui sul luogo del centro romano anche nel barbarico periodo alto medioevale; poi, con i cambiamenti del Mille e la formazione del Comune acquese si ebbe pure per le strutture termali un rinnovo: la loro rinascita in un ambiente storico del tutto mutato.
Risale infatti appunto alla fine del Millecento l’estensione, da parte del Comune, delle mura intorno alla Bollente e lo scavo della grande piscina a gradoni o bagno pubblico che conferì per secoli l’aspetto e il nome medesimo alla piazza. Qui, stando alla tradizione letteraria iniziata tra Duecento e Trecento dal cronista enciclopedico Benzo d’Alessandria e protrattasi oltre il Medioevo, si bagnavano malati d’ogni genere, anche lebbrosi, mentre vicino, in una promiscuità tipicamente medioevale, s’avvicendavano a sfruttare la fonte calda, lavandaie, barbieri, macellai, tosatori, panificatori e altri artigiani. D’altronde, il centro commerciale d’Acqui con le sue botteghe e gli studi professionali, la cosiddetta piazza dell’Archivolto, comunicava tramite la fontana con l’area del bagno e in questo spazio angusto si concentravano, inoltre, l’ospedale di Sant’Antonio e, dal Quattrocento, sicuramente, impianti termali privati e alberghi, come ad esempio quello secolare di S. Giorgio.
Con gli anni attorno al 1480, grazie ai lavori edilizi promossi dal Cardinale Teodoro, fratello del Marchese di Monferrato, le strutture termali di là da Bormida iniziano quello sviluppo che nel corso del XVI secolo porterà a soppiantare completamente quelle cittadine.
Ciò per altri versi troverà come concause sia l’inadeguatezza spaziale igienica dell’area della Bollente per le probabilmente accresciute affluenze, che la politica di Gonzaga, eredi dei Paleologi nel possesso del Monferrato, i quali favoriranno in ogni modo le terme d’Oltrebormida, di loro pertinenza, a scapito di quelle comunali, d’enti religiosi e di privati site entro le mura.
Si giungerà così al Seicento, epoca in cui in città rimarranno in funzione solo il bagno dei Francescani e per breve tempo quello privato di San Giorgio, mentre gli impianti di là da Bormida, progressivamente ingranditesi sino a giungere a 100 e più camerini, nel 1687, dopo una rovinosa frana, verranno completamente riedificati a spese del Duca di Mantova nelle forme che - nonostante le modifiche operate nei secoli - costituiscono tutt’ora l’ossatura delle Antiche Terme.
Il progetto della “Regia fabbrica”, opera dell’arch. casalese G. B. Scapitta, con la sua organizzazione spaziale a quadrilatero porticato attorniante la piscina a cielo aperto avrà un carattere potentemente innovativo sull’architettura termale non unicamente italiana, ma addirittura europea, che solo nella prima metà del Settecento - innanzi tutto a Bath, a Vichy e a Plombières - presenterà soluzioni altrettanto funzionali.
Con il procedere del tempo, la suddetta “fabbrica” e l’area circostante saranno oggetto di diversi interventi. Infatti, già nel 1750, lo stabilimento verrà protetto dalle esondazioni della Bormida e del Ravanasco da una gigantesca barriera in muratura. La prospettiva settecentesca di rendere la città termale luogo di completa rigenerazione e non solo di cura, già implicita nella separazione degli impianti per militari da quelli civili (avvenuta nel 1783), proseguiva nel 1826-27 ad opera di Carlo Felice con l’erezione di una prima “casa pel ricovero de’ poveri” e, quindi, con l’aggiunta di due ali alla fabbrica Regia e la completa revisione dei giardini all’interno a all’esterno della medesima.
La separazione delle terme dei poveri dalle “Antiche” troverà una sistemazione definitiva ed estremamente dignitosa con l’erezione, nel 1847, del cosiddetto “Carlo Alberto” ad opera dell’ing. Lorenzo Gianone. Lo stesso Carlo Alberto, poi, sarà il promotore del ponte sulla Bormida - terminato nel 1850 - fondamentale collegamento con la città, che nella sua crescita urbanistica tardo ottocentesco crescerà proprio lungo l’asse viario (Corso Bagni) creato dall’erezione del ponte. Infine, all’apice di questo tracciato, subito fuori le vecchie mura, ove è l’attuale piazza Italia, nei decenni 1870/80 sorgeranno e prenderanno lentamente forma l’albergo “Nuove Terme” e i suoi impianti; l’altro polo termale d’Acqui, da secoli negletto: tornerà così rinvigorito a risplendere e ad affiancare, com’è tutt’ora, l’area termale d’Oltrebormida.
Gianni Rebora