Tu sei qui

anViagi 157Sbagliando Strada

Arturo Martini e la scultura viva

Pietro Giovannini7 febbraio 2018

Oggi diamo poca importanza forse alle avanguardie italiane della prima metà del ‘900, ma esse ebbero un ruolo centrale nel rinnovamento artistico di tutto il mondo.

Una di queste era capeggiata da Arturo Martini e dal suo manifesto Per una scultura viva.

Ad Acqui ricordo bene una grande esposizione a lui dedicata nel 2002, in un’area post industriale (l'ex-stabilimento Kaimano), che come architettura rimandava a certi angoli di Tribeca a New York o di Covent Garden a Londra: le sottili colonne di ferro stampato e le pareti di mattoni delimitavano infatti ampi spazi bianchi di grande luminosità dove la plasticità e la fisicità dell'esposizione trovavano il loro giusto equilibrio.

Accanto alle opere straordinarie di Martini, il visitatore poteva ammirare lavori di Fontana, Marini e Melotti, oltre alle opere di Alberto Viani, assistente e successore di Martini alla Cattedra di Belle Arti di Venezia.

Ma è nella personalità e nella vita di Martini da cui la mostra traeva ispirazione e fondamento e ripercorrendone, grazie a alcuni efficaci pannelli didattici, appunto la vita e la filosofia artistica.

Eccolo quindi ritratto ad Acqui, città a cui fu sempre molto legato, per realizzare le sculture della Tenuta di Monterosso di Arturo Ottolenghi, mecenate e benefattore cittadino. Villa Ottolenghi, su progetto di Piacentini, in cui una giovane e ricca coppia realizzava il proprio nido all’insegna del mecenatismo con una comunità di artisti liberi, è un esempio perfetto di quelle avanguardie.

Eccolo soprattutto teorizzare lucidamente ma con enorme sofferenza la morte della statuaria perché “oggi gli scultori non fanno che tentare qualche variazione sui temi ai quali, uno per uno, gli antichi hanno già dato scacco matto. L'Ottocento? L'Ottocento ha esaurito tutto. Dopo l'Ottocento poteva benissimo venire la fine del mondo”.

E così, mentre muore la statua, rappresentazione dell'eroe, ormai inutile in un mondo senza più eroi, senza dei e senza miti, ecco che “rinasce” la scultura finalmente liberata dai canoni, non più rappresentazione ma pura forma, linguaggio animato e vitale, in antitesi proprio alla statua, appunto solo modello e per questo ormai estinta.

Da questa scelta si campo si sviluppa tutta la filosofia artistica di Martini impegnato a polemizzare e a teorizzare sulla carta (e subito dopo nella pietra) il frutto delle sue conclusioni.

Una vita davvero particolare quella di Martini, iniziata nella povertà di una famiglia di Treviso nel 1889 (era terzo di quattro figli, la mamma cameriera il padre cuoco, ma non erano i tempi di Masterchef), che lo vide finire terza elementare solo a 12 anni da pluri-ripetente. Potrebbe essere l’inizio di un fallimento esistenziale e invece, già l'anno successivo, Arturo scopre la sua passione, prima timidamente poi sempre più in maniera ossessiva.

E così ad appena 17 anni visita l'Esposizione di Belle Arti di Milano e a 18 si iscrive alla Scuola Libera del Nudo dell'Accademia di Venezia. Andrà poi a Monaco, e quindi nell'11 espone a Venezia, poi si sposta a Parigi dove frequenta Modigliani, De Chirico, Savinio, Medardo Rosso e incontra anche Picasso.

All’epoca era Parigi il centro di attrazione dell’arte europea: da Mucha ai Balletti Russi, dai futuristi ai metafisici, da Matisse a Braque, ogni fermento artistico parlava francese.

Poi la prima esposizione di opere importanti a Cà Pesaro, e il primo viaggio a Roma per le serate futuriste; dopodiché nel 1916 viene richiamato per la guerra; a congedo avvenuto si dedica all'attività di scultore a tempo pieno con fama crescente: nel 1929 insegna all'ISIA di Monza plastica decorativa, nel 1931 vince il Primo Premio per la Scultura (100.000 lire di allora) per sette grandi opere, con cui comprerà l'ex-convento di via Quintana a Vado Ligure dove installa il proprio laboratorio; nel 1936 partecipa alla Biennale Di Venezia, nel 1938 inizia anche a dipingere.

Martini era un eclettico in grado di passare dal bronzo al legno dalla pietra al marmo.

Diventa così uno degli artisti simbolo del rinnovamento che il fascismo vuole rappresentare sulla società italiana e le commesse pubbliche iniziano a sommergerlo.

Nel dicembre del 1941 al povero pluri-ripetente ragazzo di Treviso viene affidata la Cattedra di Scultura presso l'Accademia delle Belle Arti di Venezia.

Come accaduto per il filosofo Giovanni Gentile (ucciso dai partigiani e archiviato stupidamente come fascista), anche Martini viene un po’ ostracizzato nell’immediato dopoguerra ne soffre e alla fine si spegne per trombosi cerebrale a Milano all'età di appena 58 anni, non prima però di avere aperto nuovi orizzonti alla scultura italiana.

I suoi meriti vengono per fortuna subito riconosciuti in tutta Europa e numerose retrospettive nel corso di questi decenni ne hanno tracciato il percorso completo.

Una vita intensa sempre all'avanguardia ma con la sensazione intima di essere già in ritardo, di aver perso comunque il momento primo, di essere sì passato oltre le Colonne d'Ercole, ma in un mondo che ormai aveva già scoperto tutto.

E che di porte verso l'ignoto non aveva più bisogno.