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Nel decimo secolo il centro della politica in Piemonte è stata Ivrea, capitale di una marca (Marca di Ivrea, nota anche come Marca d’Italia) che riuniva sotto il suo controllo il territorio del Piemonte attuale; si può dire che l’attuale suddivisione regionale sia stata anticipata dal re Guido di Spoleto quando ha costituito la marca di Ivrea. A una prima occhiata si potrebbe pensare che la nascita di questa marca, ampio territorio che racchiudeva le precedenti contee carolingie, rappresenti un segno di accentramento del potere, di migliore organizzazione. In realtà è segno del forte indebolimento del potere centrale, in questo caso dei re d’Italia, e della nascita di nuclei di controllo locali, come questo, che però non riuscivano ad avere un reale controllo di un territorio spesso sottoposto a rapine e scorribande di gruppi armati più o meno grandi.
La Marca di Ivrea è stata costituita da Guido da Spoleto che divenne re d’Italia nell’888 l’anno della deposizione dell’ultimo sovrano carolingio Carlo il Grosso. Da questo momento fino al 962, anno di incoronazione di Ottone I come titolare dell’impero Carolingio la corona d’Italia passa per nove sovrani, sempre in lotta con altri contendenti oppure contro signori ribelli. Il potere centrale risulta quanto mai debole, sostenuto solo dalle armi degli eserciti, mai saldo.
La Marca di Ivrea segna l’ascesa degli Anscarici, il primo marchese, Anscario, il capostipite, al momento della nomina era conte di Torino, il titolo è poi passato ai discendenti come fosse un suo possedimento, in questo periodo, col potere centrale debole, i potentati locali si affermano come dinastie ereditarie. Infatti quando nel 936 il re Ugo di Provenza decise di spodestare Anscario II dovette affrontarlo sul campo di battaglia a Spoleto; poi il fratello Berengario II riuscì a reinsediarsi a Ivrea per diventare re d’Italia fra il 950 e il 962.
Per mostrare l’estrema fragilità del territorio del regno d’Italia nel X secolo basta raccontare la cronaca delle scorribande degli Ungari. La prima è registrata nell’899, questo gruppo di armati era costituito da allevatori seminomadi originari delle steppe asiatiche che si era stanziato nelle pianure del Danubio. Le loro incursioni erano micidiali anche perché velocissime, grazie ai cavalieri. La prima volta, entrando da est si spinsero fino a Pavia. L’allora re Berengario I decise di inseguirli mentre si ritiravano verso i loro territori; la battaglia si svolse nei pressi del Brenta e fu vinta dai predoni, Berengario perse esercito e corona, rivendicata da Ludovico di Provenza. Gli Ungari ebbero così la strada spianata per saccheggiare tutto il nord Italia: Vercelli venne saccheggiata e il suo vescovo, Liutwardo, ucciso. Nel 900 tornarono sul Danubio. Vennero richiamati in Italia proprio da Berengario, che voleva recuperare la corona e non aveva un esercito valido. Così le devastazioni ripresero indisturbate fra il 901 e il 904, l’anno dopo il re spodestato tornò in sella e per un po’ cessarono le incursioni. Quella successiva arrivò nel 919 questa volta dalla Francia. In seguito Berengario utilizzo nuovamente i predoni come mercenari contro un altro rivale Rodolfo di Borgogna. Le incursioni sono continuate periodicamente fino al 955, anno in cui gli Ungari subirono una pesante sconfitta dall’esercito di Ottone I a Lechfeld.
Alle scorrerie degli Ungari, nella parte occidentale della penisola, si sono aggiunte anche quelle dei pirati saraceni. Non che i pirati abbiano razziato solo una precisa zona italiana, ma qui potevano contare su un solido insediamento da cui partire all’assalto, Frassineto in Provenza, vicino all’attuale Saint Tropez. I pirati saraceni erano predoni, le loro incursioni non avevano obiettivi politici o religiosi, arrivavano dalla Spagna diventata territorio musulmano e fra loro comparivano anche cristiani. La loro attività predatoria è stata particolarmente insidiosa anche perché non contrastata. Qui vale lo stesso discorso fatto con gli Ungari, uno dei tanti pretendenti alla corona del Regno d’Italia, Ugo di Provenza, privo di sufficienti forze armate ingaggiò i predoni come forza mercenaria per presidiare i valichi alpini. Le conseguenze sono facilmente prevedibili: fra il 912 e il 920 l’Abbazia della Novalesa è stata abbandonata dai monaci in fuga dalle scorrerie. Così mentre il monastero veniva distrutto, i religiosi si rifugiavano prima a Torino poi a Breme in Lomellina. Le cronache registrano assalti dei saraceni un po’ ovunque, finché nel 972, dopo il rapimento di Maiolo, abate di Cluny, una spedizione congiunta del conte di Provenza e del marchese di Torino portò alla fine dell’insediamento di Frassineto.
Proprio Ugo di Provenza, per evitare un eccessivo accentramento del potere nelle mani di una sola famiglia (gli Anscarici) decise di smembrare la Marca di Ivrea dopo aver sconfitto in battaglia il marchese Anscario II. Di qui in avanti nacquero quattro marche più piccole che hanno segnato la direzione della politica piemontese medievale a lungo. Una striscia di terra fra il Monferrato e in generale la zona sud del Piemonte e della Liguria fu affidata a Aleramo (e ai suoi successori, gli Aleramici); la parte sud orientale al conte Palatino Oberto, fondatore degli Obertenghi (con la zona di Tortona e dell’Oltrepo Pavese insieme alla Liguria orientale); La parte centrale e occidentale a Arduino il Glabro, da cui sono derivati gli Arduinici, poi confluiti nei conti Savoia; infine la Marca di Ivrea con gli Anscarici, ridotta di dimensioni ma pur sempre comprendente la parte settentrionale della regione. Arduino e Aleramo erano Franchi, Oberto longobardo, le loro marche hanno dato l’avvio a dinastie nobiliari importanti. D’ora in avanti non sarà facile seguire un’analisi storica organica del territorio piemontese. Ma occorre ancora osservare il tramonto della Marca di Ivrea, che ha espresso due re d’Italia, ce ne occuperemo nella prossima puntata.