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L’alluvione che ha colpito il Nord Italia (la seconda in sette anni) è stata senz’altro un evento eccezionale, imprevedibile e difficilmente (è il caso di dirlo) arginabile. Ma c’è appunto un ma. Troppo spesso in Italia l’evento catastrofico coincide con l’emergenza¹, con il fare il possibile quando è troppo tardi, con il più classico dei salvare il salvabile. Raramente si sente parlare, e ancora di più agire, per prevenire o almeno per prevedere eventualità catastrofiche.
Oddio non è che il nostro paese sia messo benissimo rispetto alla collezione delle possibili sciagure naturali: siamo per tre quarti zona sismica, abbiamo gli unici vulcani attivi d’Europa, disponiamo di valanghe e mari tempestosi come pochi, non difettiamo appunto né di alluvioni, né di incendi, né di trombe d’aria e insomma, a parte gli uragani tropicali, e forse una pioggia di meteoriti, non ci manca proprio nulla… eppure ogni volta tocca sentire innanzitutto lo stupore del chi l’avrebbe mai detto, ma come si poteva pensare ecc.
Esiste in Italia una grande coscienza civile che mette immediatamente in moto la macchina dei soccorsi e la gara di solidarietà ed effettivamente -lo vediamo ancora in questi giorni- a migliaia arrivano i volontari della Protezione civile, delle Misericordie d’Italia e delle mille associazioni che fanno davvero l’impossibile.
Ma esiste in Italia anche una cattiva coscienza o forse un’incoscienza che fa in modo che di questi problemi si parli sempre dopo. Eppure la messa in sicurezza dei fiumi non dovrebbe essere un argomento secondario specie in zone pianeggianti, fortemente industrializzate, dove il danno diventa esponenziale e i rischi di depressione economica altissimi.
Nel ‘94 le valli del Tanaro, della Bormida e del Belbo furono le aree più colpite, si contarono 54 morti, e si rischiò di trasformare un’isola felice in una zona depressa. Con la solita spedita routine vennero annunciati i lavori per la messa in sicurezza del bacino che sono partiti solo anni dopo (molti pare ancora siano da appaltare) e sono tutt’ora in corso… eppure questa volta, malgrado sia piovuto quasi quanto 7 anni fa, l’unico bacino che non ha dato problemi è stato proprio quello del Tanaro! Togliere alberi nell’alto corso, eliminare strettoie e ostruzioni, alzare gli argini di un metro è bastato ad evitare il peggio…
Arriveranno poi gli scolmatori, i canali di sfogo, le aree ad allagamento programmato… ma intanto le norme elementari che una volta venivano osservate da tutti per una buona convivenza con i fiumi sono state sufficienti.
E nessuno mi leva dalla testa che se le stesse cose fossero state fatte per gli altri fiumi i danni oggi sarebbero minori e almeno l’elenco delle vittime più corto.
Ad Alba quando il Tanaro centrò in pieno la Ferrero fu come se il Po avesse spazzato via Rivalta e Mirafiori a Torino, e si temette il peggio. L’immagine simbolica della volontà di reagire la diedero il lunedì i dipendenti dello stabilimento, presentandosi tutti (dai dirigenti agli operai) a spalar fango; l’immagine concreta di una capacità di voltare pagina la diede l’azienda stessa riaprendo la linea dei Rocher un mese dopo l’alluvione…
Tra le tante storie di questi giorni, tra mille interviste da tv del dolore, mi ha colpito la dignità di un valdostano, con la casa distrutta (anzi col paese distrutto) che chiedeva allo Stato di ripristinare prima di tutto le strade, le scuole, il municipio e poi se era possibile di aiutare in qualche modo anche lui. Penso che la Valle d’Aosta e il Piemonte riusciranno ancora a voltare pagina, e il migliore segnale per le persone colpite deve essere la vicina stagione turistica invernale.
Non lasciamo che un’isola felice diventi un’area depressa, e speriamo che la gara di solidarietà diventi prestissimo una gara di sci.
¹ Tutt’oggi, passiamo dall’emergenza “Sassi dal Cavalcavia” a quella “Bullismo a Scuola”, dagli “Assalti in Villa” a “Ultras Scatenati”, “dai Rifiuti n Campania” alla “Acqua Alta a Venezia”. Intanto l’area del Vesuvio è una di quelle a più alta densità abitativa d’Europa…