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Nella puntata precedente abbiamo fatto una lunga cavalcata lunga 150 anni circa per raccontare il ruolo politico di primo piano che hanno avuto i duchi piemontesi (soprattutto torinesi) nel regno longobardo. Una cronaca necessaria che però ci dice poco su quel regno e su come sia cambiato al suo interno il nostro territorio di riferimento.
Il problema con i Longobardi è quello delle fonti. Ce ne sono poche scritte e certo l'ormai noto Paolo Diacono non può colmare tante lacune relative a questo oscuro (in quanto poco noto) periodo storico. Inoltre ci non restano nemmeno tante testimonianze, certo tante sepolture, soprattutto quelle della necropoli di Collegno, che ci offre uno spaccato degli usi dei Longobardi soprattutto nella prima fase del regno. Quasi nulla è stato conservato dal punto di vista architettonico, probabilmente in questo campo non hanno brillato, limitandosi a occupare quanto era rimasto ancora dal periodo romano. Queste valutazioni non ci aiutano, ma non si può ignorare un periodo storico durato circa 200 anni come fosse un buco nero, oppure derubricarlo a momento poco felice nella storia italiana. Anche perché per quanto riguarda la nostra angolazione, quei due secoli sono stati piuttosto importanti. Se guardiamo per esempio alla storia di Torino possiamo constatare che è in questi secoli che si è consolidato il culto di San Giovanni Battista come patrono della città e la chiesa ad esso collegata è stata quella utilizzata dai duchi longobardi, come dimostrato dall'assassinio avvenuto un giorno di Pasqua del duca torinese proprio in questa chiesa.
Questo capitolo però non si propone di ripercorrere nuovamente i fatti storici già narrati, quanto di cercare di capire come il regno longobardo ha influenzato il territorio piemontese. In primo luogo va detto che nel corso di questi due secoli il territorio della nostra regione andrebbe diviso in due parti distinte: la zona centro nord orientale, rivolta verso la Lombardia, territorio longobardo a pieno titolo anzi protagonista di quella storia con tre duchi piemontesi divenuti re (due torinesi e uno astigiano). I ducati piemontesi erano in tutto quattro: Torino, Asti, Ivrea e l'Isola di San Giulio, ma anche Vercelli ha avuto un ruolo di primo piano. Non essendo mai diventata sede ducale, conservava comunque nella biblioteca capitolare uno dei più antichi codici longobardi, quello delle leggi emanate da Liutprando nell'VIII secolo, inoltre qui si coniavano le monete del regno. nella seconda metà della storia longobarda infatti è cominciata a circolare moneta, coniata dai re longobardi, a fronte di una lunga stagnazione nell'ultimo periodo dell'impero romano e in quello del regno gotico. Questo è un indice, anche se indiretto di una certa organizzazione oltre che di una ripresa della vita sociale: dei commerci e degli scambi.
Non sappiamo molto della zona a sud ovest, quello che seguendo Paolo Diacono possiamo chiamare distretto delle Alpi Cozie e che comprendeva anche la fascia meridionale del Piemonte e la Liguria. Non risulta ci siano mai stati ducati e certamente nel 726 non faceva parte del regno visto che uno dei più importanti documenti dell'epoca, quello relativo alla fondazione dell'Abbazia della Novalesa va attribuito a Abbone governatore di Susa per conto dei Franchi. La cronaca di Paolo Diacono ci racconta anche che i longobardi conquistano l'attuale Liguria nel 641, ma quanto è durato questo dominio? Le fonti scritte non ci aiutano molto, si può ipotizzare che questa fascia sia stata costantemente contesa fra Franchi e longobardi, zona magari anche di scontri.
La Novalesa non è l'unica abbazia nata in questo periodo su iniziativa franca, ci sono anche fondazioni riconducibili ai longobardi, soprattutto nell'VIII secolo, l'ultimo del loro regno: il monastero di Villar San Costanzo è quasi certamente più tardo, ma ha inglobato una struttura precedente, risalente al secolo a cui facciamo riferimento; San Pietro di Pagno dovrebbe essere frutto dell'iniziativa di re Astolfo; San Michele di Lucedio venne fondata da un certo Gauderis appartenente al ducato di Torino. Inoltre va ricordata la fondazione della basilica di Santa Giustina a Sezzadio su iniziativa di re Liutprando.
Probabilmente l'eredità più importante che che hanno lasciato i longobardi è quella di aver costruito un regno omogeneo, in cui essi stessi si sono riconosciuti. Giunti in Italia come invasori, nella prima fase probabilmente loro stessi hanno continuato a considerarsi tali. La necropoli di Collegno ci offre la testimonianza di sepolture pagane in cui insieme al defunto venivano seppelliti tutti i suoi averi (in una sono stati trovati anche i resti di un cavallo). L'analisi dei loro resti mostra anche come col passare del tempo la costituzione fisica sia diventata sempre più quella di contadini e lavoratori piuttosto che di guerrieri, come all'inizio. Se i longobardi si sono col tempo mischiati ai nativi italici lo stesso processo si è registrato in senso inverso. i codici legislativi longobardi erano aperti a tutti (al contrario di quelli del regno gotico) e sempre più spesso i nativi hanno chiesto di essere giudicati secondo la legislazione longobarda, che a sua volta si è evoluta. I re favorivano questa assimilazione. Non è un caso che nella prima fase del regno franco i nomi di persone comuni che emergono da quegli antichi documenti sono quasi tutti longobardi. Al loro arrivo, la zona a ovest di Milano veniva vagamente definita Liguria, quando i Franchi conquistano il regno longobardo nel 774 gli abitanti della Pianura padana si denominavano in linea di massima lombardi. Le condizioni economiche erano migliorate rispetto a 200 anni prima, la società era strutturata e regolata. Forse è stato questo il risultato più importante ottenuto dai longobardi.