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Il Castello Visconteo e le Ricostruzioni dell’800
Il castello di Cherasco fu costruito nel 1348. Secondo un cronista saluzzese Missere Luchino Visconti avrebbe iniziato la costruzione quello stesso mese di marzo del 1348 in cui la città si era arresa alle sue truppe. Nulla del resto ci vieta di credere che la preoccupazione maggiore di un principe, che ha appena conquistato un baluardo così lontano dal centro del suo potere, sia quello di difendere il suo acquisto garantendo sicurezza alle sue truppe e ai loro comandanti.
Da quel tempo il castello è stato sempre il centro della difesa di Cherasco, il perno da cui si dipartivano le mura verso la pianura e il giro dei bastioni sulle valli del Tanaro e dello Stura. Il castello fu coinvolto continuamente nelle vicende belliche, positive o negative, della storia della città, con tutte le conseguenze: distruzioni parziali, ricostruzioni, adeguamenti a nuove tecniche militari, modifiche legate all’uso specifico di abitazione di comandanti, di quartieramento militare, di prigione. La tradizione lo vede soprattutto come prigione, con tanto di segrete, di pozzi senza fondo, di sale di tortura e ricorda in particolare la breve residenza che nel castello prese la regina Giovanna d’Angiò, tramandando la tragica fine di un suo giovane e casuale amante.
Ma il castello che si vede oggi è notevolmente diverso da quello originario, che ci viene descritto nelle cronache, o rappresentato nelle scarse testimonianze di incisioni (Borgonio, Sclopis, Bagetti) e pitture. L’odierna costruzione è frutto, tardo e dunque già modificato, della cultura neoromanica e neogotica che si sviluppò nell’Ottocento e che offre in Piemonte testimonianze veramente significative.
Il gusto per le testimonianze medievali, coltivato dal Romanticismo e molto anche dalla propaganda risorgimentale nazionalistica viene talvolta a mescolarsi più o meno vagamente con le prime scientifiche ricerche in termini di restauro, determinando spesso delle ricostruzioni che tendevano più a suscitare il sentimento del Medioevo che a ricercare filologicamente la riproposta dell’autentico. Certo i risultati furono notevolmente diversi in un caso dall’altro in relazione alla volontà più o meno salda di restaurare o alla necessità di ricostruire e non si può quindi mettere sullo stesso piano il neogotico di Pollenzo e il restauro della Sacra di San Michele presso Sant’Ambrogio di Susa, la romanica Rocca con Borgo Medioevale di Torino e l’Abbazia di Sant’Antonio di Ranverso presso Buttigliera Alta.
L’interprete più significativo di questo gusto in Piemonte fu certamente Alfredo D’Andrade, pittore, architetto, Soprintendente ai beni architettonici, attento osservatore di quanto succedeva in Europa nei settori di sua competenza, buon conoscitore di quanto Viollet-le-Duc aveva proposto in Francia con i suoi interventi eclatanti di riscoperta e di riproposta di un’architettura non dipendente dal classicismo e dunque “nazionale”, con la sua concezione dell’architetto che vive il cantiere e che sa fondere la sua tecnica con la consapevolezza dell’importanza della mano d’opera.
Proprio sulla scia del D’Andrade si muove il costruttore del Castello Visconteo di Cherasco: Pietro Betta non tenta di nascondere la sua costruzione: parte dalle fondamenta riscoperte o dai pochi muri che sono rimasti in piedi e lascia intravedere il nuovo rispetto all’autentico e, nella facciata interna sul giardino, sceglie di rappresentare una sorta di “palazzo di delizie”, con uno stacco definitivo, ma non traumatico, dalle linee del prospetto sul viale.
Bruno Taricco