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Ucraina: terra di confine in giochi di guerra molto più grandi.
Perché gli Americani non la fanno sempre dentro al vaso… o -se preferite- perché stavolta i Russi non hanno tutti i torti!
Questo è un testo che mi riporta all’adolescenza quando si era prigionieri della logica dei due blocchi, in piena guerra fredda con i Russi “cattivi” perché nemici e gli Americani “buoni” perché ci proteggevano…
Oggi (ma forse anche ieri) non è più utile -e sicuramente non è interessante- classificare gli Stati in buoni e cattivi, ma giova molto di più capire il perché di certe azioni e soprattutto il perché di certe reazioni.
Al centro del discorso c’è la politica estera americana degli ultimi vent’anni e in questa prospettiva di “azione” (quindi di iniziativa degli Stati Uniti) ci sono le marginali “reazioni” russe.
Se qualcuno, prigioniero di un mondo binario a due categorie: bianco/nero, buono/cattivo, russo/americano, correrà a domandarsi se sono pro o contro l’occupazione della Crimea, beh se ne faccia una ragione: questo non è un articolo per distribuire la medaglia di eroe della settimana.
Io non ho nessuna simpatia per Vladimir Putin e credo che ci sia comunque ancora più libertà in America che in Russia; questo non mi impedisce però di vedere le cose da un punto di vista diverso del TG5 e di capire che Putin -antipatico fin che si vuole- può avere a volte anche ragione mentre i nostri cari Yankees -sempre così politicamente corretti, multirazziali e easy- spesso fanno (o fanno fare) delle vere e proprie porcate politiche e diplomatiche. Il Kosovo da solo ne resta la prova lampante.
In ogni caso ecco qua cosa penso io di tutta ‘sta storia: si parte da un po’ lontano…
Se qualcuno ha notato un cambio di marcia tra la politica estera di George W. Bush e quella Barack Obama (ma metteteci pure anche Bill Clinton) probabilmente soffre di allucinazioni. Anzi, con l’arrivo dell’inesperto Presidente democratico (è questa infatti l’ovvia critica che più spesso gli è stata mossa) le linee guida della politica estera americana si sono perfino rafforzate e seguono ormai esclusivamente dottrine di egemonia militare e di depotenziamento dei possibili rivali.
E questo avviene ormai da oltre venti anni cioè dall’inizio delle guerre jugoslave.
Nel trienni 1989-1991 la Guerra Fredda finì e l’Unione Sovietica la perse. L’URSS ha pagato la cosa in modo pesantissimo, con la propria dissoluzione e con la distruzione del proprio sistema economico (inefficiente ma a suo modo stabile).
Ma a Washington evidentemente non bastava.
La Federazione Russa da sola conservava gli armamenti nucleari sovietici (impegnandosi con le ex-Repubbliche a mantenere la loro integrità in cambio) e quindi, nelle agili menti militari d’oltreoceano, restava comunque questo soggetto il nemico: povero, allo sbando, nel caos politico ed economico ma pur sempre ancora potenzialmente letale.
E allora cos’è successo?
Rileggiamo gli anni dal 1991 ad oggi in maniera critica e senza fare sconti a nessuno (né ai russi che ci mettono sempre del loro, ma nemmeno agli americani o peggio alla cara e vecchia Europa) e proviamo a mettere i fatti in fila.
1991: inizio delle Guerre Jugoslave (cioè del più forte alleato russo in Europa) e Prima Guerra del Golfo (iniziata da Saddam con l’invasione del Kuwait). Risultato, dopo alcuni anni: dissoluzione della Jugoslavia e creazione di una base militare US in Kosovo, presenza di numerose nuove basi militari US nel Medio Oriente e stallo in Iraq per assenza di una exit-strategy.
Intanto alcuni stati ex-sovietici escono dall’orbita russa per avvicinarsi a quella americana: su tutti la Georgia e in parte l’Azerbaijan. Con la seconda guerra del Golfo poi basi militari vengono concesse in Tagikhistan e Kirghizistan e se non erro anche in Uzbekhistan
La Russia nel frattempo è ancora allo sbando totale, anche se il dopo-Eltsin ha iniziato a riportare un po’ d’ordine. Putin (che sale davvero al potere nel 2000) sta cercando di rimettere in piedi i cocci di un’economia in mano agli oligarchi e alle multinazionali straniere, una sorta di far-west economico e sociale che i Russi ricordano unanimamente con odio e vergogna.
In quegli anni il rublo si svaluta del 60% per due volte e la gente è quasi alla fame.
Le condizioni dell’esercito sono pietose (si leggano i reportage di Anna Politkovskaja in proposito, non certo tenera con Putin) e ovviamente la politica estera non è una priorità in questa fase: c’è per una decina d’anni un sostanziale appeasement alle decisioni americane e quando la Russia non ci si accoda ne subisce le iniziative come il bombardamento della Serbia, l’associazione alla NATO di Ucraina, Georgia e Baltici, o la seconda Guerra del Golfo.
Del resto nel 2001 l’appoggio dato da Mosca agli americani (con il via libera in Afghanistan prima e Iraq dopo) in chiave anti-terrorista serve anche a Putin per chiudere il capitolo ceceno con la seconda spietata guerra che in pratica distrugge il piccolo stato caucasico (ma resuscita l’orgoglio russo).
Gli anni dopo il 2001 vedono però un crescendo di ostilità americana verso le sfere di influenza russe, frutto di dottrine militari aggressive che il Presidente Bush sposa in pieno. Ecco che il Kosovo si dichiara indipendente (una follia che si comprende bene oggi con il caso Crimea), ecco che le Rivoluzioni Arancioni scoppiano in molte ex-repubbliche sovietiche (Ucraina, Georgia, Kirghizistan) mentre tensioni sorgono in tutti gli Stati con minoranze russe (dall’Estonia alla Moldavia per la Transnistria, e ancora la Georgia con l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud).
L’accerchiamento al vecchio nemico si sta compiendo, almeno nell’ottica russa.
Ricordo a chi legge che nel 2001 subito dopo l’attentato di New York e precisamente quando è stato colpito il Pentagono, le testate nucleari sono uscite e si sono posizionate pronte al lancio (è quello che si chiama codice viola) e che al Presidente in volo sull’Airforce One è stata aperta la famosa valigetta atomica. Le testate russe sono immediatamente uscite anch’esse e per un quarto d’ora la linea rossa è stata davvero rovente. Questo è successo perché l’unico Stato che può distruggere gli Stati Uniti è ancora la Russia e perché i militari sono abituati a ragionare per ordini e tattiche.
L’ovvia evidenza che il dirottamento di aerei civili nulla poteva aver a che fare con un attacco militare russo non ha sfiorato minimamente quelle menti elastiche che invece -come da manuale- si sono attenute alle vecchie procedure: il Pentagono, cioè il centro della Difesa americana, è stato colpito? Presto, fuori i missili! …e nessuno a pensare “ma quelli sono ancora e sempre puntati contro i russi! Cosa c’entrano i russi con questa storia?
Con la stessa ineffabile logica, nelle stesse ore un incrociatore bloccava il porto a New York e i sommergibili nucleari uscivano dalle loro basi…
Circa un mese dopo (a novembre) mi trovavo per caso al piccolissimo aeroporto di State Collage in Pennsylvania (che è forse più insignificante perfino di quello di Cuneo) e all’ingresso un vecchio della Guardia Nazionale armato di un fucile da caccia (giuro! sembrava un film comico) montava la guardia con fiero cipiglio…
Questo per dire le assurdità americane che nulla hanno da invidiare alle altrettanto ridicole milizie di volontari filo-russi che vediamo oggi agire in Crimea.
Intanto nei primi anni del terzo millennio, la gestione autocratica di Putin ha riportato ordine in Russia: l’economia -complice il prezzo del petrolio- tira e Putin ha concentrato di nuovo in mano statale -attraverso Gazprom- il controllo del gas e del petrolio, che inizia ad essere usato anche come arma politica, come nella prima Crisi ucraina.
Arriviamo così agli ultimi anni: nel 2008 il Kosovo viene riconosciuto da UE e US (dopo un referendum identico a quello previsto per la Crimea) con una forzatura diplomatica che di fatto sancisce la legittimità della secessione di una regione occupata da una minoranza (che ovviamente nella regione è maggioranza): la Russia ha protestato duramente ma alla fine reagirà solo riconoscendo (sulla base degli stessi principi giuridici) Abkhazia e Transnistria (regioni popolate da russi in Georgia e Moldavia); Russia e Bielorussia hanno intanto formato una federazione e abolito ogni frontiera (l’area di libero scambio si allargherà poi al Kazakhstan con l’Unione Euroasiatica del 2010), sempre nel 2008 la Georgia con un colpo di mano ha tentato di riprendersi la regione secessionista dell’Ossezia del Sud (in molti dicono su input americano) proprio durante le Olimpiadi di Pechino… ma stavolta la Russia non è stata a guardare e l’esercito è intervenuto immediatamente: in dieci giorni era già tutto finito ovviamente.
Nel 2013 Saakashvili ha perso le elezioni e la Georgia, con un Presidente filo-russo, Margvelashvili, torna in buoni rapporti con la Federazione Russa.
Intanto nel 2010-2011 sono scoppiate le Primavere Arabe, che tanto primavere non erano, visti gli esiti!
È poi arrivato l’intervento in Libia (US con francesi e inglesi a ruota) del cui fallimento potremmo parlare a lungo.
Quando l’Egitto nel caos sembra assumere posizioni filo-russe (oggi anche più evidenti) ecco che scoppia a orologeria la crisi siriana: un’altra guerra civile senza quartiere in cui il presunto uso di armi chimiche necessiterebbe di un altro intervento (ancora americani e francesi)…
Ma Putin (da Primo ministro, il Presidente è ancora Medvedev) stoppa tutti dichiarando che se il problema sono le armi chimiche, Assad è disposto a consegnarle ai caschi blu. Retromarcia generale con Hollande che rimane col cerino in mano.
È per questo intervento pacificatore oggi Putin è candidato al Premio Nobel per la Pace, cosa che fa un po’ specie comunque, ma gli va dato atto di aver stoppato una guerra già bell’e pronta. Non entro qui nel merito del regime criminale di Assad e delle migliaia di morti civili che continuano ad avvenire nell’indifferenza russa e occidentale, segno che lo scopo di tutti non era certo fermare la guerra civile.
Infatti faccio notare in Siria c’è l’unica base militare russa nel Mediterraneo: si trova a Tartu… cosa dite: è un caso?
Così come è un caso che i soli dittatori (spregevoli, per carità nessuna simpatia per Lukashenko, Gheddafi o Assad) ritenuti pericolosi per la pace nel mondo sono sempre quelli filo-russi (Iran in testa).
Mentre ad esempio il “fido alleato” pachistano, che ha ospitato il ricercato numero uno -Osama Bin Laden- proteggendolo per anni con la complicità dei servizi segreti, beh è un modello di sviluppo? Ricordo che il Pakistan, grazie agli americani, ha l’atomica…
E soprattutto qual’è la exit-strategy americana a tutte queste guerre “per la democrazia” che hanno fatto in questi anni?
L’Afghanistan, l’Iraq, la Libia di oggi non mi sembrano modelli di sviluppo credibili. E i paesi arabi, Tunisia a parte, stanno virando verso il fondamentalismo con buon pace della “Primavera”.
Questo non significa che i precedenti regimi andassero bene o che non sia stato opportuno abbatterli, ma mette qualche dubbio sull’onestà intellettuale dell’azione e soprattutto sul reale interesse americano affinché quelle popolazioni stiano poi meglio.
Un amico mi dice sempre che gli americani sono bravissimi a fare la guerra ma sono negati a fare la pace.
Sembra davvero essere così!
Le elezioni presidenziali russe del 2012 sono segnate da una forte instabilità interna con proteste di piazza e repressioni.
Diventano volti noti in occidente il blogger Navalny e le Pussy Riot per le quali si crea una campagna di difesa internazionale (giusta ma di nuovo ad orologeria non credete?). Altro fronte caldo nell’opinione pubblica occidentale: i diritti delle ONG e dei gay su cui Putin ha dato un pesante giro di vite.
Arriviamo quindi ai giorni nostri e alla crisi ucraina: che i disordini siano scoppiati a orologeria con le Olimpiadi esattamente come nel 2008 è un’evidenza.
Che la crisi tragga le sue ragioni più profonde dallo stato di corruzione, povertà e insoddisfazione della popolazione è altrettanto evidente.
Stupisce però come gli ucraini di colpo si sollevino e invece, che ne so, i vicini bielorussi (che non se la passano molto meglio) no.
Che il motivo scatenante della sollevazione di piazza sia la mancata associazione all’Unione Europea mi suona un po’ strano: ero a Leopoli l’anno scorso e non vi ho percepito tutto questo anelito di libertà e questa voglia di Europa (ed è la città più occidentale di Ucraina).
Sicuramente però è stata una crisi apprezzata a Washington e pure in Unione Europea, che infatti hanno soffiato sul fuoco.
Restano per me legittimi dubbi di manipolazione delle folle e dell’opinione pubblica.
Si scopre oggi che a sparare sulla folla e sui poliziotti erano gli stessi cecchini “bypartisan” e che questa “notizia bomba” non ha impensierito Catherine Ashton e nemmeno le nuove autorità ucraine. Né tantomeno i nostri solerti mass-media che infatti l’hanno quasi ignorata.
Ma allora come mai tutto sto casino proprio per l’Ucraina?
Non sarà mica in relazione all’esistenza dell’unica base navale russa del Mar Nero, a Sebastopoli?
Magari non è proprio così ma, con i precedenti di Kosovo e Siria, è sicuramente così che la vedono a Mosca.
L’accordo raggiunto tra Putin, la troika europea e Yanukhovich (nuove elezioni, tregua e stop alle occupazioni di ministeri e regioni) è stato stracciato il giorno dopo senza che US e UE avessero niente da dire. Yanukhovich è fuggito e la piazza ha preso il potere.
I russi riducono tutta la protesta a colpo di stato fascista, mentre gli occidentali fingono di non vedere nemmeno gli estremisti di Svoboda e Settore Destro.
Sono entrambe due visioni polarizzate e faziose.
Tra i primi atti del nuovo Parlamento (cioè il vecchio, in cui tutti sono saltati sul carro vincente, scaricando Yanukhovich) ecco l’abolizione il russo come lingua ufficiale accanto all’ucraino, sapendo benissimo che il 40% almeno della popolazione parla solo russo.
Le province orientali sono subito insorte e le ali estreme (non ripeto qui un’analisi della composizione dell’opposizione ucraina al Partito delle Regioni di Yanukhovich) di piazza Maidan hanno minacciato spedizioni punitive…
Beh, a quel punto un intervento russo non era proprio impossibile, né tantomeno inatteso.
mi vien quasi da dire che è stato fatto di tutto per tirarli dentro!
È strano infatti che, mentre le unità russe si infiltravano in Crimea, la UE e gli Stati Uniti se ne stavano zitti e fermi per due giorni, quasi che non aspettassero altro.
È altrettanto strano che i russi fossero belli e pronti con divise senza distintivi, personale di pronto intervento che si è materializzato in poche ore ovunque.
Soprattutto è davvero singolare che in una situazione di oggettiva alta tensione non sia scoppiato nessun incidente, neanche un colpo di fucile né uno scontro tra soldati russi e ucraini.
Da Kiev evidentemente c’è l’ordine di non reagire in nessun modo, mentre da Mosca c’è l’ordine di occupare in maniera soft la Crimea, contando sull’appoggio della popolazione locale (subito sollevatasi in imitazione delle strategie occidentali) e delegando proprio ad essa (ai più facinorosi di essa) occupazioni simboliche, scontri fisici e servizio d’ordine.
Una sorta di aiuto invocato, atteso e celebrato con mazzi di fiori e bandiere (un po’ come l’arrivo dei tedesci a Vienna tra due cortei di austriaci inneggianti al Terzo Reich, per fare un paragone che non piacerà affatto ai russi, ma non è lontano dalla dinamica delle cose)
Sembra quasi che Putin stia giocando a fare la guerra, deridendo le democrazie europee, inani, inconcludenti e sempre divise e concentrandosi sull’umilizione degli americani, attraverso una tattica diplomatica attendista ma contemporaneamente molto detemrinata.
In pratica Putin sta dimostrando che anche lui può usare le armi moderne dell’intelligence americana: il soft power, le piazze telecomandate, il peacekeeping…
Infatti è la Crimea che ha chiesto aiuto, è la Crimea che vota il referendum secessionista, è la Crimea che si è organizzata in milizie autonome che fanno servizio d’ordine e cacciano le autorità ucraine. Sembra una replica -a parti invertite- della farsa del Kosovo!
Provate un po’ a pensare se il Messico diventasse una repubblica filo-russa e magari il Texas occidentale o la California meridionale volessero la secessione dagli Stati Uniti perché gli ispanici non sono abbastanza tutelati (non c’è il bilinguismo etc) e chiedessero più autonomia e magari preferissero riunirsi al Messico (che del resto ha poi ceduto queste terre agli US appena centotrenta anni fa… non è poi così diverso dalla cessione della Crimea all’Ucraina)…
Cosa farebbero gli Stati Uniti?
Non credete che manderebbero di corsa l’esercito (come a Panama e Granada)?
O invece farebbero finta di niente in nome dell’autodeterminazione dei popoli?
Ora quello che aggiungo è questo: purtroppo pur avendo i russi in questa crisi ragioni da vendere (o almeno l’attenuante della chiara provocazione) e interessi strategici vitali, ne usciranno malissimo (sanzioni, isolamento internazionale, svalutazione del rublo etc) e questo era secondo me il risultato previsto o comunque messo in preventivo da parte americana. Putin dovrebbe assumere consulenti di immagine a tenpo pieno.
Resta da capire (ma ormai sono stufo di chiedermelo ogni volta) quale sia invece l’interesse dell’Unione Europea ad emarginare e isolare politicamente la Russia.
Resta da capire dove gli interessi comunitari coincidano con quelli americani e dove invece collidano e alla fine sia sempre la UE a rimetterci (come per le crisi nel Medio Oriente, Caucaso, Jugoslavia e Nord Africa, tutte regioni vicine all’Europa, o in Europa).
Ad esempio, Putin vuole creare un’area di libero scambio euro-asiatica con ex-repubbliche sovietiche? Io dico “Benissimo!” (ma invece agli americani non piace)
Che differenza c’è col NAFTA (l’area libera tra Messico USA e Canada) o con la UE?
Anzi per certi versi l’Europa ha un interesse convergente su questo progetto e l’Ucraina potrebbe diventare una sorta di cerniera tra le due aree, un’area fluida che la renderebbe economicamente solidissima invece che sull’orlo del fallimento come si trova ora.
Questo è un interesse europeo divergente da quello americano per esempio…
In ogni caso è evidente che un’Ucraina divisa, sull’orlo della guerra civile, con la Crimea secessionista e l’occupazione militare russa sulla parte orientale non è precisamente la migliore delle soluzioni politiche o economiche, né tanto meno un biglietto da visita appetibile per le già complicate politiche (e finanze) comunitarie.
E così a me pare che a Washington abbiano già preso due piccioni con una fava.