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Pinot Gallizio, genio artistico irrequieto

Diego De Finis22 febbraio 2016

La critica d’arte Carla Lonzi, già nel 1963, riferendosi a Pinot Gallizio metteva in guardia i colleghi dall’esuberante personalità dell’artista albese. Lo studioso rischiava “di presentare l’uomo prima della pittura, la vita prima dell’opera: a tal punto di per sé costituisce con singolare evidenza un antefatto alla manifestazione artistica”.

Pinot Gallizio effettivamente appariva come il classico artista, uomo bizzarro, eclettico, sempre controcorrente, a cui potevi perdonare qualche sregolatezza in virtù del suo genio, frutto in gran parte di intuizione e talento. In effetti Giuseppe (Pinot) Gallizio era tanto eclettico da arrivare alla pittura molto tardi nella propria vita, dopo aver cercato con curiosità in tutti i campi dello scibile umano. Nato nel 1902 ad Alba, si è laureato a Torino in chimica e farmacia e successivamente ha avviato l’attività di farmacista nella capitale delle Langhe. Nel 1933 è fra i promotori del primo Palio degli asini di epoca moderna, con il recupero della tradizione medievale della “beffa” agli Astigiani che avevano corso intorno alle mura albesi il loro palio con i cavalli.

Gallizio ha interessi storici e nel campo dei propri studi. Svolge anche attività di archeologo per il museo “Eusebio”. La seconda guerra mondiale lo vede coinvolto prima nell’esercito italiano, in cui viene richiamato, e poi nella Resistenza a partire dal 1943, tanto dal far parte della sezione langarola del Cln (Comitato di liberazione nazionale) Questa esperienza lo fa entrare in contatto con altri importanti intellettuali albesi e langaroli, come Beppe Fenoglio, con cui ebbe un’amicizia molto stretta, Pietro Chiodi, don Natale Bussi e Francesco Morra. L’ambiente culturale albese dell’immediato dopoguerra è particolarmente stimolante. Pinot Gallizio dopo la guerra riprende l’attività archeologica che lo porta a fare importanti ritrovamenti di resti di epoca neolitica nel territorio albese. Inoltre nel 1945 avvia un corso di erboristeria e aromateria enologica e liquoristica alla Scuola enologica; è di questo periodo il progetto di coltivazione di piante officinali e aromatiche nelle Langhe. L’immediato dopoguerra corrisponde anche all’avvio del suo impegno politico nelle istituzioni albesi. Nel 1946 viene eletto consigliere come indipendente della Dc, diventa anche assessore, per dimettersi nel 1947. Nel 1951 ci sono le nuove elezioni amministrative con cui viene rieletto consigliere questa volta come indipendente di sinistra. Resta nell’assemblea fino al 1960. Qui compie alcuni interventi sulla tutela degli zingari, gruppo che conosce dai suoi studi di Antropologia. Non è un caso che il campo nomadi che tuttora si trova sulle sponde del tanaro sia intitolato a Pinot Gallizio.

  • Labirinto Rosa di Pinot Gallizio del 1963; olio su tela. Photo: .
  • Una delle opere del ciclo La Gibigianna di Pinot Gallizio, del 1960; olio su tela. Photo: .
  • Lo studio di Pinot Gallizio con alcune delle sue opere. Photo: .
  • Lichene spregiudicato di Pinot Gallizio; si può ammirare presso il Municipio di Alba. Photo: Diego De Finis.
 

Fino a qui non abbiamo incontrato la pittura. E non l’aveva incontrata nemmeno Pinot Gallizio. La conosce attraverso l’amicizia con Pietro Simondo, artista torinese con cui inizia una profonda amicizia. Gallizio, come suo carattere, impara e sperimenta, utilizzando resine, segatura, trucioli di legno. Un altro pittore molto importante per la sua formazione è Asger Jorn, che nel 1953 fonda il Movimento internazionale per una Bahuaus immaginista. Gallizio resta subito affascinato dalle idee di questo movimento, innovative e di rottura verso il passato. La sua pittura industriale, il cui primo rotolo è del 1955, si inserisce perfettamente nello spirito degli artisti aderenti: accetta la macchina come strumento a disposizione dell’artista, cerca di introdurre la produzione industriale nell’arte e propone un’arte che sia in qualche modo popolare, non elitaria, che rompa gli schemi del passato a partire dallo spazio in cui si crea l’opera artistica. Non a caso Gallizio crea veri e propri rotoli di pittura industriale, non più la tela e li va a vendere al mercato, in spazi normalmente non dedicati all’arte. Ma la sua teoria non sfocia nell’improvvisazione tout court, le sue creazioni sono frutto di studio e ricerca sui materiali e sulla figura; le sue opere realizzate con tecniche “industriali” non sono riprodotte in serie, ne riproducibili. Il concetto della riproduzione dell’arte in serie arriva più tardi da un movimento che dal punto di vista estetico è meno dirompente. Invece Gallizio scriveva nel 1956:

 

“Abbiamo creato una nuova teoria estetica, superiore a quelle esistenti, mediante la considerazione che il non-estetico non è il Brutto e il Ripugnante, ma l’Insignificante e il Noioso”.

 

Gallizio da vita ad Alba a un laboratorio aderente al movimento artistico internazionale a cui partecipano Simondo, Jorn e Enrico Baj e Giors Melanotte, ovvero il figlio Giorgio, con svariate tecniche pittoriche. L’artista albese è vulcanico e da vita a iniziative, mostre, convegni, fra cui il primo “Congresso mondiale degli artisti liberi” nel 1956. Questo stesso anno conosce ad Alba Guy Debord, famoso teorico della Società dello spettacolo, che da vita insieme all’abese e ad altri intellettuali e artisti all’Internazionale Situazionista nel 1957. Il movimento culturale in sostanza propone lo spirito di rottura insito nell’arte di Gallizio, ma esteso in praticamente tutti gli ambiti culturali, e soprattutto comincia ad assumere una connotazione più politica. Gli anni fra il 57 e il 60 sono vorticosi, caratterizzati da mostre internazionali, convegni, allestimenti. L’arte industriale di Gallizio sfocia nella Caverna dell’antimateria, a Parigi, presso la Galleria René Drouin. Lo spazio viene ricoperto da 145 metri di pittura industriale, e diventa esso stesso opera artistica tridimensionale, in cui si entra.

Il 1960 rappresenta un momento cruciale nell’arte dell’abese. Questi viene espulso dall’internazionale situazionista, che adesso considera l’arte stessa un’espressione culturale da superare. Ma Gallizio è allergico a qualsiasi dogmatismo e proprio dal 1960 prende il via una nuova fase della sua esperienza pittorica. I suoi quadri tornano a essere tele, realizzate in maniera più “classica” i colori non sono più gettati. In questo periodo nascono cicli di opere molto importanti come La Gibigianna, la Storia di Ipotenusa e Le notti di cristallo. Gallizio non poteva fermarsi, cristallizzarsi, non faceva parte della sua personalità, e infatti solo la morte per un attacco cardiaco nel 1964 pose fine alla sua esperienza pittorica. Aveva 62 anni dei quali solo 12 passati a dipingere, ma gli sono bastati per diventare uno dei più importanti artisti italiani del XX secolo.