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anViagi 151La Storia

La società piemontese nell'Impero romano

Diego De Finis22 febbraio 2016

Come abbiamo già visto il Piemonte ai piedi delle Alpi sotto Augusto viene incluso nell’Italia romana e soprattutto letteralmente ricostruito. Il primo imperatore di Roma cambia faccia alla regione, (che ovviamente allora non aveva i confini di adesso). Tutti i centri che portavano il nome di Augusta erano stati fondati dall’imperatore: fra questi l’attuale Torino, ovvero Augusta taurinorum, che prende il posto dell’antico centro celto-ligure Taurasia. Anzi si può dire che Torino nasce capitale visto che fin da subito è il centro regionale più imponente con ben 72 insulae, isolati regolari, studiati per una sistemazione urbanistica ottimale. Gli antichi romani erano degli architetti straordinari e i resti delle loro città che ancora oggi possiamo ammirare lo dimostrano. Alba Pompeia aveva 52 insulae, Libarna 43. 

Dal punto di vista amministrativo la nostra regione viene divisa in due parti (che comprendervano anche parte della Lombardia) la parte a nord del Po chiamata RegioXI Transpadana e quella a sud denominata Regio IX Liguria. Gli stessi romani dunque divisero il territorio seguendo una differenziazione culturale emersa prima della romanizzazione, con i Liguri preponderanti a sud e i Celti a nord. In generale si può notare che la parte a sud del Po è ricca di centri, quella a nord è caratterizzata da una minore presenza urbanistica. 

Una delle spiegazioni di questa trasformazione tanto profonda della geografia piemontese sotto Augusto sta nell’esigenza della sistemazione dei veterani della guerra civile. Il vincitore deve premiare i soldati delle legioni che lo hanno seguito e condotto alla vittoria contro Marc’Antonio. Augusta Taurinorum è la città che diventa il principale sbocco per tutti costoro che ottengono terre e proprietà. Dunque alla rivoluzione urbanistica corrisponde anche quella sociale. Anche Augusta Bagiennorum nasce ex novo per ospitare soprattutto veterani, al posto dell’antica Bagienna. I Bagienni fra l’altro pagarono l’errore di aver appoggiato il contendente sconfitto, ovvero Marc’Antonio. Due città che invece già esistevano, come Alba Pompeia e Hasta vengono però completamente rinnovate nella loro urbanistica. Ad Asti possiamo ancora oggi vedere uno degli ingressi romani della città caratterizzato da torri monumentali poi ereditate dal medioevo. 

In questo senso la presenza delle mura appare come un vero e proprio rebus. Torino, Alba Aosta e Novara le avevano, Asti, Bene Vagienna, Pollentia no. Hasta è un caso particolare con ingressi monumentali che probabilmente erano collegati da palizzate in legno. Durante il primo periodo imperiale le mura all’interno del territorio romano non servivano a nulla, I romani erano e si sentivano al sicuro nei loro confini. Si ritiene che siano state edificate per ragioni propagandistiche. Va anche detto che nelle fondazioni delle mura di Alba sono state trovate tracce di spazi interni utilizzati probabilmente a scopi militari, ma magari erano utili alle milizie che si occupavano semplicemente dell’ordine pubblico. 

Da un punto di vista sociale il tessuto urbanistico del Piemonte romano sembra differente da quello rurale. Nelle campagne molto probabilmente sopravvivono le tradizioni, gli usi e i costumi preromani (che come abbiamo visto vengono poi trasmessi anche al medioevo). In particolare persistono i piccolissimi nuclei formati da un gruppo di poche famiglie che possiamo trovare tutt’ora in diverse zone collinari e montagnose. C’è stato anche lo sviluppo di villae, ovvero aziende agricole che non diventavano latifondo, almeno nella prima parte del periodo imperiale. Si trattava di imprese medie e piccole, presenti soprattutto nelle zone di produzione vitivinicola, che impiagavano un numero limitato di schiavi. Il quadro per certi versi è simile a quello odierno.

La società piemontese durate la prima fase dell’Impero Romano è dinamica e permette anche una certa mobilità sociale. Nella zona si sviluppa una classe dirigente, fatta di grandi proprietari che attraverso vaste reti clientelari riescono a giungere ai vertici dello Stato. La carica più importante, anche se nell’impero puramente onorifica, era il consolato. E alcuni piemontesi riuscirono ad ottenerlo come il vercellese Quinto Vibio Crispo, ricordato da alcuni autori dell’epoca come Svetonio e Giovenale. Lo storico Tacito scrisse di lui:

 

“Per ricchezza, potenza e ingegno era annoverato fra i famosi, piuttosto che fra gli onesti”.

 

Abile nell’arte oratorio, con pochi scrupoli si è fatto strada nella Roma di Nerone, anche attraverso intrighi e delazioni fino a diventare, sotto Vespasiano Proconsole d’Africa. I torinesi Caio Rutilio Gallico e Quinto Glizio Agricola furono più volte consoli; il primo nel periodo in cui governavano Vespasiano e Domiziano, il secondo sotto Traiano.

Questi, insieme ad altri erano comunque appartenenti alla classe dirigente, a famiglie agiate che disponevano di mezzi per raggiungere i vertici dell’impero. La mobilità sociale invece è dimostrata soprattutto dai liberti. Il caso di Pertinace, figlio di un liberto di Alba Pompeia divenuto imperatore anche se solo per pochi mesi è eccezionale, ma mette in luce le possibilità che ha avuto da giovane grazie al fatto che il padre doveva essere un commerciante piuttosto agiato. I liberti erano ex schiavi liberati. Alcuni di costoro grazie alla propria intraprendenza sono riusciti a fare fortuna e a conquistare anche posizioni di un certo rilievo nella società romana-piemontese. Paradossalmente la loro provenienza li ha in certo modo agevolati, infatti coloro che magari erano stati schiavi di uomini potenti, diventati liberi, godevano del loro patronato e della loro influenza costruendo così in parte la propria fortuna. Poteva anche capitare che degli schiavi stessi, avessero un’importanza superiore al loro rango sociale, magari grazie al fatto di rappresentare sul territorio "padroni" potenti e influenti. 

Dal punto di vista religioso si è diffuso in Piemonte il culto imperiale, ovvero l’abitudine di venerare gli imperatori, probabilmente anche come forma di piaggeria. Le divinità romane sono giunte senza traumi sul territorio della pianura Padana, anche perché spesso hanno occupato il posto dei culti precedenti. 

Purtroppo questa situazione di dinamismo sociale ed economico non durò a lungo. Il Piemonte romano a partire dalla fine del II secolo d. C. Conobbe una lunga a profonda crisi economica che accompagnò il territorio fondamentalmente fino alla caduta dell’impero. Ma di questa fase parleremo dettagliatamente nella prossima puntata.