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Trattoria del Belbo – da Bardon

Pietro Giovannini15 giugno 2017

Ricaldone, un piccolo paesino del Monferrato alessandrino, non ha nulla di particolare tranne credo il cimitero. Qui riposa un poeta, nato nella campagna verso Cassine, dove infatti venne registrato il 21 marzo del 1938.

Sua madre Teresa, già separata de facto dal marito, rimase incinta a Torino del figlio della fam. Micca presso cui faceva la cameriera; per evitare lo scandalo se ne tornò al paesello natìo a partorire e gli diede il nome del marito, anche se poi il bambino visse sempre e solo con la madre, prima a Ricaldone e poi a Genova.

Lo chiamò Luigi.

Per essere nato il primo giorno di primavera, Luigi aveva un carattere decisamente ombroso: la sua naturale malinconia gli fece però scrivere delle canzoni indimenticabili che restano inconfondibili e reggono alla prova del tempo. Lui -invece- non resse alla prova della vita.

Lo trovarono morto nella camera 219 dell'Hotel Savoy di Sanremo, che non aveva ancora 29 anni.

Era il 27 gennaio del 1967 e Luigi Tenco si sparava un assurdo colpo in testa dopo l'eliminazione dal Festival di Sanremo.

Tenco mi è tornato in mente ascoltando la bella versione di "Lontano lontano" che Gerardo Balestrieri ha registrato sul nuovo album "Cover", un album che lascia da parte fisarmonica e piano per rileggere alcuni successi degli ultimi 60 anni in chiave post punk. Godibilissimo e originale come sempre, qui però Gerardo registra davvero una chicca con le parole stupende di Tenco tirate a due voci, a rimbalzare tra cuore e cervello.

Ancora una volta tra Genova e Ricaldone, tra Piemonte e Liguria.

A Ricaldone quel gennaio del '67 pioveva e si gelava. Pochissimi si presentarono al funerale del suicida... ci andò un suo amico di sempre, Fabrizio De André, che scrisse la meravigliosa "Preghiera in Gennaio" per quel ragazzo dalle labbra smorte, a cui Dio, il Dio di Misericordia, soffocherà il singhiozzo tra le sue braccia, perché l'inferno esiste solo per chi ne ha paura.

Gerardo oggi posa un altro fiore simbolico su quella tomba, scandendo alla Johnny Rotten che "lontano lontano nel mondo tu sarai tra le braccia di un altro e ad un tratto chissà come e perché ti troverai a parlargli di me".

Come ho fatto io oggi, in questa campagna che sa di salsedine, tra le colline di Nizza e quelle di Acqui, dove in un mare di vigne si annega la mia nostalgia.

 

A Cassine, stupendo borgo medioevale della nobiltà monferrina, ci sono altre tre cose importanti da ricordare: la chiesa di San Francesco, gioiello romanico intatto che vale il viaggio, le vigne del mio amico Alberto di Grésy, che qui fa la Barbera "Montecolombo" -forse la più grande espressione di questo vino- e infine e soprattutto qui a Cassine ci abita Gino Bardone!

Chi è Gino? Gino è l'Oste come dovrebbe essere, anzi com'è, visto che la sua trattoria è aperta da 60 anni sulle rive del Belbo lì, tra Nizza e Canelli, in un lembo del comune di San Marzano Oliveto. Gino, con suo fratello Andrea, ha ereditato il mestiere dai genitori, il mitico Bardon (che da qualche anno cucina più su) e sua moglie Anna, che invece ancora comanda in cucina.

Però da sposato Gino abita a Cassine che quindi per me, fosse anche in cintura di Torino, resta un borgo fatato. Siccome lui la strada Cassine-San Marzano se la fa tutti i giorni, non credo sarà un problema per nessuno spostarsi mentalmente e fisicamente (e se avete fame) dalla casa all'òsto.

Bardon è uno dei miei locali preferiti, uno dei primi nuovi incontri che feci nel lontanissimo 1997, da giovane curioso di cucina e giovane incosciente editore. Era luglio, si crepava di caldo come sempre e quella trattoria semplice adattata ad una bella casa colonica come altre mille della vallata e posata su uno sperone sopra il Belbo, mi fece subito un'ottima impressione.

Mangiai benissimo e scoprii, nelle domande di routine, che però dietro la mise dimessa e un po' timida da ragazza per bene, la trattoria nascondeva la più bella delle perversioni: una cantina infinita, costruita anno dopo anno (e che anni) dalla famiglia con pazienza, sacrifici e tanta passione. Era davvero il suggerimento di Giacomo Bologna messo in pratica (…costruitevi una bella cantina…)

Mai ci fu sorpresa per me più bella: un po' come quando una bella ragazza per bene di cui sopra si dimostra anche particolarmente disponibile e magari perfino intraprendente...

Custode e anfitrione di questa meraviglia era -ed è- appunto Gino stesso, l'unico per altro in grado di trovare le bottiglie più incredibili in quel guazzabuglio di scatole, scaffali, casse, magnum sparsi che rappresenta un altro suo marchio di fabbrica. Non immaginatevi infatti una cantina ordinata magari con le luci a terra e i numeri ad ordinare le file: quelle le lasciamo ai servizi di moda e ai blagueurs della Langa!

Qui siamo nel caos primordiale dove Yquem riposa accanto al Grignolino, dove i Barolo e i Barbaresco stanno lì dove sono stati posati magari 40 anni fa, con le loro due brave dita di polvere.

Con Gino è stato, come mi capita spesso, amore a prima vista.

Gino per altro è sempre stato un fan sfegatato di anViagi e, dietro quel sorriso gioviale, ha un grande cuore generoso e altruista, un cuore che a volte fa anche le bizze.

A Gino perdono anche di essere gobbo fino al midollo. Ma va detto che se i gobbi fossero tutti come lui, la Juventus non starebbe così sulle palle al mondo.

Sono innumerevoli le bottiglie stappate da lui con me, quasi tutte memorabili, nessuna mai pagata per cosa valeva davvero ma quasi regalate e soprattutto sempre condivise con altri ospiti quando non con Gino stesso. Se penso a una bottiglia straordinaria bevuta da Bardon, la prima oggi è un Barbaresco "Tettineive" di Scarpa che io datai attorno all'88, sbagliando di appena...dieci anni!

Ma ce ne sarebbero mille altre.

Da Gino (scusa Anna ma io lo chiamo così il tuo ristorante) a volte mangio solo il carrello dei secondi che credo sia vietato almeno in 18 Stati americani... un tripudio di Piemonte che non disdegna Bollito, Finanziera, Costine accanto a Stinco, Stracotto, Coniglio e Pollo... sì, di solito assaggio tutto! E dopo, se avanzano tempo e spazio, magari torno al siringhino di Pasta e Fagioli come un odierno Capannelle piemontese...

Intanto il tempo passa e le due figlie di Gino sono già instradate per mia gioia al mestiere di famiglia: Alessandra ai fornelli e Annalisa in sala. Citazione poi doverosa per Antonio, lo storico cameriere del locale e per il bravissimo Andrea Cavallo ai fornelli di casa.
Tra l’altro… ma che posto è la cucina di Bardon? C’è più Piemonte in quella stanza che a Palazzo Reale!

 

Cos'è la felicità? Resta -credo- una domanda senza risposta. Però a volte ci si va molto vicino.

Un giorno Gino mi telefona verso la fine di settembre, erano le sette di sera e io ero in auto a Isola, direzione Alba.

"Senti Pietro, mi avevi detto di avvisarti quando avevo le cocone (gli Ovuli o Funghi Reali)…me ne hanno appena portata una cassetta."

"Cazzo! Ma… e il tartufo?"

"Quello ce l'ho sempre." (NB: le vallette di Calamandrana sono una specie di miniera d'oro per i Trifolao)

"Dammi il tempo di prendere Cristina e arrivo.”

"Ci mancherebbe, vieni quando vuoi, che ti aspetto."

Fu la mia prima e più grandiosa Insalata Reale, un letto di funghi e tartufi che copriva la carne cruda (la loro è eccezionale) che mi aspettavo di evocare l'anima di Vittorio Emanuele II e vedere il tavolo ballare di gioia! A seguire poi tajarin coi porcini e cappelle al cartoccio (la vera morte del porcino) …e Cristina si mangiò pure la lepre! Alle 11 eravamo già a letto semi-incoscienti come manco se avessimo corso la maratona.

 

Cos'è la tristezza? Questa è una domanda a cui ognuno può dare la sua personale risposta, basata -ahimè- sull'esperienza diretta.

Sono da Gino per una cena con amici carissimi della Russia, e lui ci ha preparato un privé in saletta.

Quando arriviamo c'è Andrea a salutarci e non vedo Gino. Iniziamo la cena e quando mi alzo a scegliere un vino lo incontro: ha una faccia seria e gli occhi rossi -che lui non ha mai- e mi dice "Hai saputo di Mario?" ho un brivido: chiedo "Mario chi?" "Mario della Fioraia" "No, cos'è successo?" ma ho già bell'e capito "un infarto, è morto sul colpo" e me lo dice che sta per morire pure lui. Mi siedo e mi manca il fiato: Mario era un amico oltre che un altro dei miei ristoratori preferiti: ho voglia di piangere ma ho il tavolo pieno di ospiti venuti per fare festa. Gino resta lì con me, mi mette una mano sulla spalla, senza dire altro.
I miei amici si accorgono che qualcosa non va ma poi la serata prosegue: alla fine Tolia farà un brindisi per tutti i nostri nonni che non sono mai tornati dalla guerra e mezzo tavolo scoppierà a piangere lo stesso.

Dai Russi ho imparato che gli stati d'animo possono cambiare repentinamente e la cosa non è sconveniente o sbagliata.

È semplicemente nostra sorella la vita, come la definì con malinconia Boris Pasternak.

Come a un festival, dove a volte si canta e si ride, e a volte invece si muore.

Però, con Bardon, la vita è più bella!