Tu sei qui
Nel giro di pochi mesi sono stato quattro volte al Ristorante Roma di Viarigi.
Per chi non sa dove si trova Viarigi ed è troppo pigro per cercarselo sull’atlante e troppo arcaico per usare google, dirò che è un bellissimo paesino del Monferrato sul confine astigiano verso il monferrato casalese. Tra gli altri vini, vi si produce anche il Ruché che è senz’altro il vino tipico astigiano che meriterebbe maggior fortuna e interesse, invece di continuare a cianciare di Grignolino che se doveva diventare una star internazionale a quest’ora il tempo lo ha avuto… Il Ruché invece potrebbe risultare vincente in quel piccolo e trascurabile mercato che è… l’Asia, dove amano proprio quei gusti di rosa e viola, lo speziato dei profumi, quel leggero abboccato e quella facilità di beva che, scevra di tannino e acidità, lo renderebbe perfetto per i wine bar, le feste e pure molta della cucina asiatica.
Insomma Viarigi tra qualche anno potrebbe pure essere famoso, insieme ai vicini Montemagno, Castagnole Monferrato, Scurzolengo, Portacomaro, Refrancore e Grana…ovvero le sette colline (bellissime, direi amene se non fosse aggettivo abusato) dove si produce questa chicca, se solo -ripeto- ci credessero tutti un po’ di più.
Queste sono pure grandi terre di tartufi perché ricche di boschi (e per fare un tartufo ci vuole un albero, per trovarlo ci vuole un cane) e luoghi pieni di storia ed arte: il romanico astigiano è punteggiato di chiese campestri dal fascino caldo dell’arenaria scolpita, oltre a una distesa di castelli, palazzi e torri nobiliari.
Proprio qui a Viarigi la Torre (detta dei Segnali) è il biglietto da visita del paese, dove la brava e simpatica Francesca Ferraris, sindaco da un paio d’anni, è riuscita pure ad aprirla e renderla così fruibile turisticamente!
Ho incontrato Francesca per Turris, un progetto che ho ideato e che ha visto la luce recentemente: Turris è una rete di comuni turriti, dove però le torri devono essere appunto fruibili e lei ne è stata entusiasta. Tralasciamo Turris, il Ruché, l’arte e la storia per tornare all’argomento iniziale: la cucina.
Il Roma rientra nella meravigliosa tradizione delle trattorie di famiglia che sono il segreto e l’anima del vecchio Piemonte. Una targa sul muro celebra i 40 anni di attività di Luciana Garlasco (tutt’ora ai fornelli eh? mica in pensione…) che è la nonna di Cristina, la ragazzina che mi serve la carne cruda (ma che carne abbiamo qui? siamo davvero dei privilegiati inconsapevoli!).
In mezzo tra le due generazioni ecco Susanna col marito Mauro, una certezza costruita sul lavoro, la gentilezza e la qualità.
Il fatto che per mille ragioni diverse, tutte plausibili ma certo non sufficienti, io non fossi mai stato al Roma, fa di me un parìa da evitare e recludere alle sagre di paese del fritto misto.
Il Roma fa parte di quei locali in cui mentre finisci il Bonèt o stai pagando una cifra con cui a Milano non ti passano mezza schifosissima apericena (e che Dio li strafulmini anche solo per il nome insulso e triste, perfetto però per una cosa insulsa e triste), quei locali -dicevo- in cui già pensi a quando tornerai la prossima volta.
I peperoni con la bagna caoda leggera, carnosi e croccanti sono un motivo valido anche per andarci a piedi, l’insalata russa carica di maionese limonosa mi ha riportato all’infanzia (anche se qui aggiungono le olive che io non amo, mentre giustamente evitano l’orrendo uovo sodo che non c’entra nulla, ma nulla, con la ricetta) mentre i ravioli quadri monferrini, serviti con il sugo del brasato sono il vero Patrimonio Unesco di Viarigi (che qui inspiegabilmente non arriva).
Di solito, dopo enne antipasti tutti bissati, non arrivo al secondo che comunque schiera bolliti, brasati, conigli e tutto il classico ricettario di una trattoria che si rispetti. Tutti eseguiti con la necessaria pazienza di una cottura lenta che mal si sposa col ritmo dei giorni nostri, ma che poi a tavola ci rende tanto felici.
Parafrasando Saint-Exupéry, “è il tempo che hai perso per il tuo brasato che ha reso il brasato così importante per te” (e per me).
Quello che resta indimenticabile di questa trattoria è la semplicità con cui ti prendono per mano e ti accompagnano in Paradiso.
Il rifugio di Gran Burrone, per chi arrivava dalle Terre Selvagge, era la Prima Casa Accogliente (chi sa, ha capito; chi non sa… si arrangi). Io lo vedo così Viarigi e il suo Roma: la Prima Casa Accogliente affacciata sulla pianura selvaggia, il primo avamposto di quella civiltà contadina che da tempo immemore continua ad accogliere viandanti affamati di gusti dimenticati e pure giornalisti nostalgici come me… che cercano bottiglie di ratafià e drogherie che tenevano la porta aperta alla primavera, e regine di corriere e paracarri… per citare un signore che nel dubbio abita a due colline di distanza e si gode anche lui zitto-zitto ogni giorno questo splendido, indimenticabile, unico Monferrato.