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I circa 500 anni che hanno caratterizzato la nascita del medioevo non sono stati molto felici sotto tutti i punti di vista. Il territorio piemontese ha dovuto letteralmente rinascere dopo una crisi economica profondissima, che implicava la presenza costante di epidemie spesso mortali, terre in parte abbandonate popolazioni sofferenti per la fame e le condizioni igieniche precarie. Un quadro desolante e desolato in cui il territorio non era nemmeno così appetibile per eventuali conquistatori anche se la regione ha conosciuto tante invasioni, in gran parte predatorie.
Per meglio raccontare questo contesto è bene soffermarsi sulla guerra Gotica, narrata con una certa precisione dallo storico bizantino Procopio di Cesarea, che ha assistito di persona a molti eventi. Anche perché i secoli che portano all’anno mille sono stati caratterizzati anche da una certa penuria di documentazione tanto che l’archeologia risulta molto utile per conoscere le condizioni di vita degli abitanti del periodo.
È significativo che la regione che andava da Milano (o meglio Pavia) fino alla Alpi è stata definita da Procopio Liguria, ovvero terra dei Liguri. Fra l’altro i ritrovamenti archeologici attestano che nel VI e VII secolo d.C. si assiste nelle città che sopravvivono a un vero e proprio ritorno all’architettura abitativa delle popolazioni liguri precedenti l’avvento dei Romani; addirittura in Val Sesia si è riscontato il ritorno all’occupazione di grotte preistoriche fin dal termine del V secolo.
Le cronache della guerra possono in parte spiegare in parte essere riflesso di questa situazione di estrema decadenza.
La guerra scoppiò su iniziativa di Giustiniano, imperatore bizantino che intendeva riprendere il controllo del territorio italiano che formalmente faceva parte dell’impero poiché i Goti se ne dichiaravano vassalli. La morte della regina Amalasunta in circostanze poco chiare sotto il regno di Teodato, diede all’imperatore il casus belli per avviare le operazioni militari nel 535. Protagonista da parte bizantina di quasi tutta la campagna fu Belisario che nell’arco di un anno arrivò dalla Sicilia a Roma. Il pacifico Teodato venne sostituito dal più combattivo Vitige, che si arroccò a Ravenna cercando di tornare a Roma. In questa fase la Liguria entrò nel conflitto. Il territorio era già provato per un’incursione dei Franchi del 534 che arrivò fino ad Asti. Seguirono due anni di carestia a cui Teodato cercò di porre rimedio con la regolazione dei prezzi.
Belisario decise l’invio di un contingente imperiale nel nord-ovest in seguito alla richiesta giunta da una delegazione di Milano, guidata dal vescovo Dazio che prometteva di facilitare l’occupazione del nord Italia. Questo (e altri episodi precedenti) mostrano come la popolazione locale fosse tendenzialmente ostile ai Goti e favorevole all’Impero, forse nella speranza che quest’ultimo risolvesse i grossi problemi economici. Nel 537 gli imperiali, guidati da Mundila, sbarcarono a Genova e di qui raggiunsero velocemente il Po per arrivare a Milano quasi senza combattere. Ci fu solo uno scontro con i Goti presso Pavia (città fortificata che diventerà sempre più importante), vinsero ma permisero agli sconfitti di rifugiarsi entro le mura, Milano invece si consegnò ai bizantini. Mundila fece l’errore di lasciare parte delle truppe a difesa dei castelli (castra in latino, probabilmente località fortificate non ancora corrispondenti ai castelli medievali come li immaginiamo oggi) di Bergamo Como e Novara. Vitige rispose mandando a Milano il nipote Uraia e chiedendo l’aiuto dei Franchi che cercavano di trarre il massimo vantaggio da questo scontro: costoro inviarono a sostegno dei Goti i Burgundi, che non si dimostrarono teneri con il territorio ligure. La situazione si ribaltò Uraia riconquistò tutto il nord ovest e pose d’assedio Milano. Un contingente imperiale mandato in soccorso della città restò bloccato per timore di venire sopraffatto. I Goti chiesero la resa dei bizantini, garantendo il rispetto della loro vita. Così la città capitolò, gli accordi furono mantenuti, ma solo per il contingente imperiale: Milano venne rasa al suolo, gli abitanti maschi uccisi, il resto schiavizzati dai Burgundi che tornarono col loro bottino verso la Gallia.
Dopo questa disfatta Belisario, nel 539, mando un nuovo contingente imperiale con l’obiettivo di controllare (senza provocare) l’esercito dei Goti. I bizantini si stanziarono così a Tortona, centro che si confermava nevralgico per le comunicazioni col Piemonte. A questo punto entrarono in scena i Franchi di re Teodeberto. Questi si era reso conto che i due belligeranti erano molto deboli e che poteva facilmente batterli così passò le Alpi con 100.000 uomini. Così Procopio ci descrive il popolo che circa 200 anni dopo ha dato vita al primo impero cristiano d’occidente:
“...Poiché questi barbari, comunque fatti cristiani, molto conservavano dell’antica loro religione, immolando vittime umane e praticando altri empi sacrifizi dai quali usano trarre auguri”.
L’esercito dei Goti era stanziato a Pavia e venne facilmente sopraffatto anche perché inizialmente riteneva che i Franchi fossero giunti lì per aiutarli; gli imperiali subirono lo stesso destino: i primi fuggirono verso Ravenna i secondi in Toscana. I vincitori rimasero però con l’amaro in bocca poiché
“...quella regione affatto priva di abitanti non offriva loro altro se non dei buoi e l’acqua del Po”.
L’esercito invasore fu colto da fame e dissenteria tanto da essere decimato di un terzo, Belisario mandò una lettera al Re Franco per invitarlo alla ritirata prima che loro inviassero un nuovo esercito. Teodeberto tornò così in Gallia. La Liguria era praticamente abbandonata a se stessa tanto che il generale bizantino riuscì a convincere i contingenti dei Goti sulle Alpi a passare all’impero senza combattere anche perché tagliati fuori dai collegamenti col loro esercito.
Dopo la sconfitta di Vitige a Ravenna i Goti scelsero come loro guida Ildibado. La nuova base del loro territorio era Pavia, ma a causa di una lite familiare questi uccise Uraia che era considerato dai Goti praticamente un eroe, Ildibado pagò con la vita il misfatto. La causa gotica sembrava persa, ma a farla risorgere ci pensò un nuovo e carismatico re, Totila, che dal 541 avvio la riscossa del suo popolo. Le operazioni belliche si spostarono nel centro e sud Italia, anche perché forse quelle erano zone ancora appetibili da conquistare. La Liguria uscì di fatto dal conflitto per diventare, insieme al resto del nord Italia, vassalla dei Franchi a cui era dovuto un tributo. Questa era la situazione nel 550, la guerra gotica si concluse nel 554 e tutta la penisola passò sotto il controllo dell’Impero bizantino, ma solo formalmente. Di fatto, soprattutto il nord Italia, era totalmente lasciato a se stesso, infatti, in seguito all’ennesima invasione, i Longobardi partendo da est occuparono tutta la pianura Padana per fondare qui il loro nuovo regno nel 570.
Questa vicenda mostra quali fossero le condizioni in cui si trovava il Piemonte (e non solo naturalmente) in quel periodo storico. Certamente la guerra, con le sue devastazioni ha aggravato la situazione di estrema indigenza della popolazione. In un quadro di questo genere, di estrema insicurezza, si è verificato un naturale processo di migrazione dalle città romane che si trovavano tutte in pianura ed erano spesso indifendibili, verso le alture, dove la difesa risultava più facile, all’interno di edifici fortificati (castrum) che diventeranno poi i castelli medievali. Il medioevo comincia a prendere forma proprio dall’esigenza di proteggersi e sopravvivere. Il castello e il paese ad esso collegato prendono il posto della città. Alcune di queste scompaiono letteralmente (ad esempio Pollentia o Augusta Bagiennorum, l’attuale Bene Vagienna si trova non a caso sulla cima di una collina), altre vivono un momento di spopolamento e decadenza, ma riescono a superare i secoli bui fino all’anno mille, grazie anche alle mura romane che le proteggono (anomale nelle città dell’antica Roma), poi riemergeranno come centri di potere importanti: ricordiamo Alba, Asti oppure Torino. Abbiamo visto che Novara era un centro fortificato importante e che Tortona conservava la sua importanza per la sua posizione geografica. Le città che sopravvivono alla decadenza seguita alla caduta dell’impero sono anche in generale le sedi episcopali. Probabilmente non è un caso: in mancanza di un vero e proprio potere civile, i vescovi diventano presto punti di riferimento non solo per la vita spirituale, ma anche per quella materiale.