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Giulia Colbert, la marchesa dei poveri e del Barolo

Diego De Finis30 aprile 2015

È uno strano caso del destino che la rappresentante più popolare della famiglia Falletti, nell’immaginario collettivo, degli abitanti di Barolo e non solo, sia legata in egual misura alla nascita del moderno vino Barolo, molto prestigioso e certamente non per tutte le tasche, nobile sotto ogni punto di vista, e all’attenzione verso i più poveri e sfortunati, gli ultimi della società.

La marchesa Giulia Vittorina Colbert de Maulévrier nacque in Vandea, in Francia, da una famiglia imparentata con Luigi XVI, il re francese decapitato dalla Rivoluzione e con il celebre ministro del Re Sole, Colbert. solo per questi legami, alcuni membri vennero giustiziati nella Parigi giacobina. La futura marchesa si rifugiò in Olanda insieme alla famiglia per tornare in Francia con l’avvento dell’impero di Napoleone. È cresciuta con un’educazione da anciènt regime, ovvero legata da una parte ai valori e ai precetti della chiesa cattolica dall’altra alla fedeltà alla monarchia. Le testimonianze dell’epoca affermano il suo carattere molto forte che probabilmente ne hanno fatto il personaggio complesso e carismatico a tutti noto. Conobbe il marito Carlo Tancredi Falletti alla corte di Napoleone a Parigi e le nozze furono celebrate nella capitale francese il 18 agosto del 1806.

Curiosamente l’ultimo discendente dei Falletti fu apprezzato consigliere di Napoleone, che lo nominò Conte dell’Impero e successivamente dei Savoia, tornati sul trono piemontese dopo il Congresso di Vienna. a questo punto la nobile coppia decise di trasferirsi definitivamente a Torino, dove Palazzo Barolo, la loro dimora, divenne presto un prestigioso salotto di intellettuali e personalità di rilievo, come Cesare Balbo, Federico Sclopis, Camillo Benso Conte di Cavour, gli Alfieri, i Della Rovere, i Marchesi di Saluzzo.

Proprio quel palazzo ispirò la vena caritatevole di Giulia Colbert, certamente di ispirazione fortemente cristiana, ma con venature illuministiche. La marchesa doveva essere caratterizzata da una fede autentica che la portava verso la dedizione al prossimo. In via delle Orfane di fronte alla dimora nobiliare poteva vedere il tribunale e certamente venne a conoscenza del misero destino delle carcerate. intenzionata a portare loro un po’ di dignità utilizzò la sua influenza per entrare nel carcere femminile dove divenne punto di riferimento sia per le detenute che per i secondini. il suo obiettivo era quello di impartire alle prime un’educazione cristiana e di alleviare la loro condizione di miseria attraverso il miglioramento delle condizioni igieniche generali. Inoltre introdusse in carcere i cappellani e il lavoro perché le detenute fossero recuperate al vivere civile.

Per comprendere meglio il suo carattere e le motivazioni che la spingevano basta citare il passaggio di una sua lettera scritta dopo la morte del marito:

 

"In nome di colui (il marito, ndr) che è finito come un pezzente, io devo dedicarmi a tutti i miserabili. Io devo scontare i secolari privilegi degli avi, devo saldare i debiti che essi hanno contratto coi paria e con gli sfruttati, devo pareggiare l’implacabile conto che ciascuno ha con la propria coscienza. Una voce cara e indulgente mi incita. Io non avrò più altra dolcezza che obbedire a quel comandamento".

 

Presto il suo progetto, da impegno personale si trasformò in un ampio programma sociale. Studiò le istituzioni carcerarie europee e nel 1821 divenne sovrintendente del carcere femminile delle forzate, messole a disposizione dal governo. In questo modo riuscì a estendere la sua opera trasformando quel centro in un carcere modello, grazie anche al supporto delle Suore di San Giuseppe, provenienti da Chambery.

Il suo progetto sociale si allargò con una scuola per le ragazze povere nel Borgo Dora, aperto nel 1821 e l’istituto del Rifugio nel quartiere Valdocco di Torino del 1823. I decenni successivi furono caratterizzati da un impegno titanico per migliorare le condizioni delle classi sociali più povere, grazie anche al marito Carlo Tancredi, che fu sindaco di Torino fra il 1825 e il 1829 e ricoprì cariche politiche per 22 anni. Il suo equilibrio e la sua intelligenza politica lo misero in buona luce agli occhi dei Savoia. I coniugi Falletti nel 1830 incontrarono il patriota Silvio Pellico, reduce dal carcere dello Spielberg, grazie all’amicizia con Cesare Balbo. Per lo scrittore piemontese fu una fortuna perché, ostracizzato dall’alta società che lo considerava comunque un sovversivo, era isolato. I Felletti gli affidarono la biblioteca del castello di Barolo e Carlo Tancredi sostenne economicamente la pubblicazione delle sue opere. Silvio Pellico è stato al servizio di Giulia Colbert fino alla sua morte avvenuta nel 1854, aiutandola nelle attività sociali. Invece il marito lasciò la marchesa presto, poiché la sua salute fu gravemente minata dai suoi sforzi per limitare i danni provocati a Torino dall’epidemia di colera del 1835. Tre anni dopo morì assistito dalla moglie Giulia, nominandola sua erede universale. 

La Marchesa Giulia Colbert proseguì il suo impegno sociale con l’apertura in un’ala del suo palazzo di una Sala d’asilo per i bambini delle famiglie povere. fondò due organizzazioni per l’educazione delle giovani fanciulle (le Maddalenine) e delle bambine orfane (le Giuliette). È del 1857 il laboratorio di San Giuseppe una scuola di tessitura e ricamo per le ragazze povere. 

Il suo legame col vino Barolo (allora non si chiamava così) corre parallelo a queste vicende e nasce dall’interessamento del re Carlo Alberto che chiese alla marchesa un po’ dell’ottimo vino prodotto dalle vigne intorno al castello di Barolo. La scena cui assistettero i torinesi pochi giorni dopo la richiesta del sovrano doveva essere tanto impressionante da entrare nella leggenda popolare. Esattamente 325 carri attraversarono la città per dirigersi a palazzo reale, ognuno portava una carrà di vino (una piccola botte utilizzata nel XIX secolo da 26 ettolitri). Una per ogni giorno dell’anno, salvo i 40 della quaresima, durante la quale bisognava, secondo la marchesa, astenersi dall’alcol. Presto la fama di quel vino valicò anche le frontiere del piccolo Piemonte. I Falletti lo offrivano ai loro invitati e secondo i registri di cantina arrivarono a esportarlo anche a Istambul. Giulia Colbert nel 1843 chiese la collaborazione dell’enologo francese Oudart che da 1843 offriva i suoi servigi a Camillo Benso Conte di Cavour. Il suo obiettivo era quello di dare vita a un vino che potesse rivaleggiare con le bottiglie d’oltralpe. Questo impegno profuso fino agli ultimi giorni di vita l’hanno proiettata nell’olimpo dei fondatori del Re dei vini, del Barolo come lo conosciamo oggi.

Dopo aver speso circa 12 milioni di lire (una cifra astronomica nel XIX secolo) per portare avanti tutte le sue attività sociali Giulia Colbert morì il 19 gennaio del 1864 nel suo palazzo di Torino. Non aveva figli e il marito l’aveva nominata erede universale. Tutte le sue ricchezze e proprietà furono destinate a finanziare l’Opera Pia Barolo l’ente che per diversi decenni proseguì quell’impegno sia a Torino che nel paese delle Langhe. Il castello Falletti ha ospitato dal 1875 al 1958 il Collegio Barolo, una struttura formativa e scolastica per i ragazzi bisognosi con attitudine verso gli studi.

Così, nella maniera più luminosa, si è conclusa la secolare storia della potente famiglia dei Falletti di Barolo.