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anViagi 148L’Editoriale

Guardie e Ladri

Pietro Giovannini15 aprile 2015

South Baintree, sobborgo industriale di Boston, 15 aprile 1920.

Cinque uomini armati assaltano il calzaturificio Slate and Morril.

Durante la rapina muoiono il cassiere Frederik Parmenter e la guardia giurata, Alessandro Berardelli, raggiunti da vari colpi di pistola calibro 32. I banditi fuggono a bordo di una Buick blu scuro, ritrovata poi abbandonata due giorni dopo.

L'America è appena uscita dal primo conflitto mondiale per entrare nel Proibizionismo: la mafia, soprattutto quella italiana, è sempre più spavalda, ricca e impunita.

La violenza in città come Chicago e New York è quasi fuori controllo.

E così negli States sono le navi cariche di emigranti ad essere molto malviste: migliaia di disperati infatti sbarcano ogni giorno in fuga da un’Europa povera, dissanguata da una guerra che ha fatto 10 milioni di morti e ora devastata dalla Spagnola...

Ogni giorno i giornali riportano notizie di furti, violenze e omicidi, spesso commesse dagli immigrati.

L'opinione pubblica è stanca e impaurita e chiede a gran voce sicurezza e i giornali gli vanno dietro: la campagna stampa cresce ogni giorno fino a diventare una vera e propria ondata xenofoba contro i wops, i with out papers, che non sono i moderni clandestini, ma semplicemente tutti quelli che non hanno ancora i documenti americani: cioè gli stranieri.

La stragrande maggioranza di questi wops sono italiani.

 

Contemporanemante in Europa –e ancora di più in America– è esplosa anche la psicosi del pericolo rosso: in Russia infatti la Rivoluzione dei Bolscevichi ha vinto e Lenin –pur impegnato ancora in una terribile guerra civile– ha saldamente il potere nelle mani. E così ovunque si schedano i comunisti e gli anarchici (che hanno poco a che fare tra loro… ma nei dossier di polizia finiscono sempre insieme).

In Italia il fascismo alle porte sfrutterà proprio il cosiddetto biennio rosso per salire al potere.

A finire sotto tiro della polizia (che va davvero per le spicce) sono le Unions, i sindacati che chiedono condizioni di lavoro migliori e salari più equi, e gli attivisti operai, visti tutti come pericolosi rivoluzionari potenziali.

Il 3 maggio il tipografo Andrea Salsedo precipita dal 14mo piano del Ministero di Giustizia dove la polizia lo sta interrogando. Salsedo era anarchico, accusato di stampa di volantini sovversivi: la polizia parla di suicidio, gli anarchici e la comunità italiana parlano invece di Omicidio di Stato. In segno di protesta viene indetto un grande comizio per il 9 maggio a Brockton.

Ma la polizia si muove in fretta: non c'è tempo da perdere e soprattutto qualcuno vede l'occasione di prendere due piccioni con una fava. Anzi tre. E così l'8 maggio (il giorno prima del comizio, che infatti non avrà mai luogo) casualmente gli agenti fermano e perquisiscono su un tram due italiani; gli trovano una pistola e vari volantini anarchici nel cappotto: ce n'è abbastanza per arrestarli.

Uno fa il calzolaio, l'altro il pescivendolo, sono due attivisti politici e sicuramente sono ostili al sistema. Ma dal giorno dopo i due diventano i rapinatori del calzaturificio, gli spietati assassini di due onesti lavoratori.

I due italiani, in America dal 1909, si sono conosciuti in Messico dove entrambi erano scappati per evitare di finire in una guerra mondiale che gli era aliena: uno viene dal foggiano, l'altro dal cuneese, sono sui trent'anni e sono ovviamente, convintamente anarchici.

E infatti questa non è la storia di un banale processo per rapina.

Questa è la storia dei due più celebri prigionieri politici mai giustiziati negli Stati Uniti d'America; questa è la storia di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti.

 

La perquisizione/arresto non è stata un colpo di fortuna, la polizia ha ricevuto una soffiata ma il tutto appare come poco più di un pretesto, perché i due anarchici italiani sono da tempo sotto sorveglianza, esattamente da quando sono tornati dal Messico.

E così la scelta di arrestarli quel giorno non è stata per nulla casuale: cosa desiderare di meglio di due anarchici italiani e pure codardi per offrire quel capro espiatorio che l'opinione pubblica desidera e intanto far capire al movimento anarchico che con lo Stato, con lo Stato americano, d’ora in poi non si scherza?

E allora poco importa se la pistola trovata (non sapremo mai se la mise la polizia o meno) abbia un calibro diverso dal 32 della rapina, se Vanzetti -indicato come il guidatore- non abbia manco la patente, se da quel giorno nessuno parli più degli altri tre complici, se il console italiano fornisca un alibi di ferro a Sacco e un innocente ragazzino di 13 anni giuri che Vanzetti era a Plymouth col suo carretto del pesce quel giorno: lo Stato ha i colpevoli perfetti, quelli che vuole, quelli che gli servono. Non deve cercarne altri.
E quindi va avanti imperturbabile e inesorabile.

 

Quello che lo Stato non ha calcolato è invece l'impatto sull'opinione pubblica mondiale che la macchinazione avrà da subito.

Attenzione, siamo nel 1920: non ci sono tv, satelliti o internet… solo radio e giornali.

Eppure… la notizia fa il giro del mondo e la rete degli anarchici si attiva ovunque: ad ogni manifestazione si riempiono sempre di più le piazze di Parigi, Londra, Berlino ma anche di Sidney, Toronto, Mosca.
Sacco e Vanzetti sono un caso mondiale, forse il primo dopo l’affaire Dreyfuss.

Gli anarchici compiranno anche numerosi attentati dimostrativi presso le ambasciate americane e, inutile dirlo, moltissimi giornalisti seguiranno il processo; tra questi c’è anche un giovane John Dos Passos che ne trarrà il suo primissimo libro di denuncia.

In America intanto la tensione è sempre più alta: il 16 settembre un carretto esplode davanti alla banca Stanley & Morgan: uccide 38 persone e ne ferisce 200. Un attentato stupido e inutile.

Lo Stato del Massachusetts è sempre più deciso a farla finita con i due bastardi anarchici (come li chiama il giudice Webster Thayer) e abbraccia volentieri la linea dura chiesta dal Ministro della Giustizia Palmer.

Il processo è così scontato che è inutile elencarne le contraddizioni, le perizie aggiustate, le testimonianze false, le traduzioni volutamente equivoche.

Il 14 luglio 1921 Sacco e Vanzetti sono riconosciuti colpevoli di omicidio di primo grado e quindi condannati a morte mediante sedia elettrica.

Se possibile l'eco della condanna è ancora più forte del processo (bisogna dire che nel Massachusetts erano dei veri strateghi della comunicazione!): arrivano appelli alla clemenza, richieste di grazia e di revisione del processo da ogni parte del mondo.

Firmano tra i tanti Albert Einstein, HG Wells, Bertrand Russel, GB Shaw, Uptown Sinclair, Dorothy Parker. Anche Mussolini, malgrado si tratti di due anarchici, si adopererà molto, dal 1923 al 1927, per ottenere una revisione del processo o almeno la grazia…

Questo dimostra molto bene quale fosse la reale percezione della cosa in Italia: Sacco e Vanzetti sono stati incastrati perché sono anarchici ma soprattutto perché sono italiani.

Ed proprio questo dirà Vanzetti un giorno alla giuria:  ”Io non augurerei a un cane o a un serpente, alla più bassa e disgraziata creatura della Terra — non augurerei a nessuna di queste ciò che ho dovuto soffrire per cose di cui non sono colpevole.
Ma la mia convinzione è che ho sofferto per cose di cui sono colpevole.
Sto soffrendo perché sono un radicale, e davvero io sono un radicale; ho sofferto perché ero un Italiano, e davvero io sono un Italiano [...] se voi poteste giustiziarmi due volte, e se io potessi rinascere altre due volte, vivrei di nuovo per fare quello che ho fatto già.”

 

Dal 1921, Sacco e Vanzetti resteranno nel braccio della morte per altri sei anni. A nulla varranno gli appelli alla Corte Suprema, né quelli al Governatore Fuller. Non servirà nemmeno che, nel 1925, un altro carcerato -un portoricano di nome Celestino Madeiros- in punto di morte confessi la rapina al calzaturificio, scagionando -se mai ci fossero stati mai dubbi- definitivamente i due italiani.

Sarà tutto inutile: Sacco and Vanzetti must die.

 

È a questo punto del dramma che avviene secondo me la cosa più incredibile e commovente di tutta la storia: Luigina, la sorella maggiore di Bart Vanzetti, decide di partire da Villafalletto, profonda campagna piemontese per Boston! E allora il comitato (promosso ancora da un italiano, Aldino Felicani) che difende i due poveri anarchici le organizza il viaggio.

Siamo sempre negli anni ‘20, Luigina forse sa leggere e scrivere ma di certo non conosce l'inglese; forse è stata una volta in vita sua a Torino, ma manco se li può immaginare una nave, l'Oceano e soprattutto l'America!

Luigina è una povera donna frastornata da accadimenti enormi di cui non ha nemmeno una completa percezione; di una cosa sola è sicura: suo fratello non è un assassino e se può tentare qualunque cosa per salvarlo, lei è disposta a farlo.

E così parte. E dopo dieci giorni di nave arriva a Boston, Massachusetts, Stati Uniti d’America.

Il comitato la attende per accompagnarla dal Governatore Fuller. Luigina non sa cosa sia un Governatore ma sa che quello è l'unico uomo che può salvare il suo Tomlin: quando entra nello studio di Fuller, tra specchi, quadri, bandiere e libri quasi le manca il fiato… è davanti al potere dello Stato, di uno Stato straniero in tutta la sua potenza. E lei è una povera italiana semi-analfabeta.
E tanto cosa potrebbe dire Luigina, che parla solo piemontese e forse un po’ d’italiano al Governatore Fuller dello Stato del Massachusetts?

Niente appunto.

E Luigina allora fa la sola cosa per lei possibile: si inginocchia ai piedi di Fuller e piange in silenzio.
Inutilmente.
I segretari la accompagnano subito fuori.
Luigina non vedrà mai più Fuller ma resterà in America fino all'esecuzione dei due condannati per portare in Italia le loro ceneri.
Perché Fuller infatti non darà mai la grazia.

La corte conferma il verdetto di morte il 10 agosto 1927, la sentenza viene eseguita il 22.

L’ultima manifestazione di protesta dura dieci giorni ininterrottamente per terminare con un grande corteo diretto al penitenziario proprio nel giorno dell’esecuzione: per tutta risposta la polizia schiera le mitragliatrici sui tetti del carcere e i reparti a cavallo, pronti alla carica.

Ma di tutto questo Sacco e Vanzetti, chiusi nel braccio della morte, non hanno alcun sentore.

Vanzetti, che per anni ha scritto lettere bellissime a casa, pronuncia invece il suo ultimo memorabile discorso; Sacco -che è più taciturno- scrive solo una lettera al figlio Dante.

È davvero profetico Vanzetti nelle sue ultime parole: "Se non fosse stato per queste cose, io avrei vissuto la mia vita là fuori, parlando agli angoli delle strade con degli uomini disprezzati. Io sarei morto trascurato, sconosciuto, un fallimento.
Ora noi non siamo un fallimento. Questa è la nostra carriera e il nostro trionfo.
Le nostre Parole – le nostre Vite – le nostre Pene – non hanno fatto niente. La presa delle nostre Vite – vite di un buon calzolaio e di un povero pescivendolo – ha fatto tutto! Questo ultimo momento appartiene a noi – questa Agonia è il nostro Trionfo! (...)

Quando le sue ossa, signor Thayer, non saranno che polvere, e i vostri nomi, le vostre istituzioni, non saranno che il ricordo di un passato maledetto, il nome di quest’uomo – il nome di Nicola Sacco – sarà ancora vivo nel cuore della gente.
Noi dobbiamo ringraziarvi. Senza di voi saremmo morti come due poveri sfruttati: un buon calzolaio, un bravo pescivendolo...
E mai, in tutta la nostra vita, avremmo potuto sperare di fare tanto in favore della tolleranza, della giustizia, della comprensione fra gli uomini."

Nicola Sacco si siede sulla sedia sereno e grida a squarciagola "Viva l'Anarchia!".

Sette minuti dopo lo segue Bartolomeo Vanzetti, che guarda negli occhi i suoi carnefici e ribadisce ancora per l'ultima volta: "Voi oggi state ammazzando un innocente".

 

Ed è stato un anonimo impiegato del centro di cremazione, il primo americano a mettere per iscritto questa tragica verità.
Difatti l'impiegato deve scrivere il verbale di ingresso delle salme ai forni, annotando i nomi, la data e la causa del decesso (elettroshock) ma poi decide di aggiungere di suo pugno la vera causa: "Judicial Homicide"… per omicidio giudiziario.

Lo Stato del Massachusetts è stato un po’ più lento: ci ha messo appena 50 anni a riabilitare la memoria dei due poveri immigrati (un po' come per i nemici del popolo nell'Unione Sovietica). Ma finalmente, nel 1987, il Governatore Michael Dukakis ha cancellato ogni onta dai loro nomi e oggi un monumento li ricorda anche a Boston.

Nel frattempo in tutto il mondo sono però arrivati libri, canzoni e film. Ma è ancora un italiano a trasformare Sacco e Vanzetti in un ricordo collettivo: si chiama Ennio Morricone e il suo tema per il film di Montaldo è senza tempo, con la voce cristallina di Joan Baez e le parole bellissime di Vanzetti stesso.
Ricordo un concerto straordinario di Morricone in piazza San Marco nel 2007, dove il pubblico tutto si alza spontaneamente in piedi sulle note di "Here's to You".

 

Le ceneri di Vanzetti riposano a Villafalletto, mentre quelle di Sacco si trovano a Torremaggiore, in Puglia.
Una parte delle ceneri è però rimasta in America, dicono –contro ogni regolamento– mescolate tra di loro.

Luigina morì prima di vedere riabilitato suo fratello. Sua sorella Vincenzina -che all'epoca aveva appena cinque anni- fu invece invitata alla cerimonia assieme a quel ragazzino di 13 anni che, da subito e inutilmente, aveva scagionato Vanzetti.

Ed io ancora non capisco perché in Italia ci siano così poche vie intitolate a Sacco e Vanzetti, che mai nulla di male fecero ad altri uomini e morirono innocenti giustiziati dal potere di uno Stato che li voleva morti comunque, e così tante invece per Francesco Crispi che fece sparare sulla folla di Milano dal gen. Bava Beccaris.

In ogni caso, come canta Joan Baez nella celebre ballata, davanti alla tremenda ingiustizia che subirono, alla dignità con cui l'affrontarono e all'eredità morale che hanno lasciato al mondo, davvero la morte è una piccola cosa.