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Gli eretici di Monforte fra storia e leggenda
L'episodio della persecuzione dei Catari di Monforte è un enigma storico che ha interessato e affascinato storici, scrittori, intellettuali di vario genere. Rappresenta certamente per il paese langarolo un episodio centrale e importantissimo, che lo lega alla città di Milano, dove il gruppo di eretici che viveva nelle Langhe venne distrutto (in tutti i sensi).
In realtà gli enigmi sono principalmente due: chi erano gli eretici di Monforte? E per quale ragione sono stati perseguitati? Infatti posto che l'episodio risale quasi certamente all'anno 1028, la persecuzione delle eresie in maniera sistematica da parte della chiesa non era usale in quel periodo, anzi l'episodio dei Catari di Monforte rappresenta forse la prima persecuzione di eresia in occidente, secondo i canoni che saranno codificati diversi secoli dopo.
Per provare a rispondere alle due questioni principali, che rappresentano in fondo il succo di questo episodio storico utilizziamo la tesi di laurea di Enrico Botto che nel 2007 studiando le fonti disponibili, ha compiuto un'analisi accurata e attenta.
Ma cosa è accaduto presumibilmente nel 1028 d. C? Il vescovo di Milano Ariberto giunse a Torino nell'ambito di un'indagine sulle diocesi del nord Italia e venne a conoscenza del gruppo di eretici stanziato a Monforte. A raccontarci questa vicenda ci sono due fonti (a parte naturalmente chi ne ha scritto successivamente) gli storici Rodolfo il Glabro e Landolfo Seniore. Non ci sono certezze sulla datazione delle loro opere, ma secondo gli studiosi Glabro era il più vicino cronologicamente ai fatti. Eppure il suo racconto è poco attendibile, infarcito di luoghi comuni e superstizioni, anche se può tornare comunque utile. Il testo di Landolfo è utilissimo, preciso sui fatti e sulle tesi teologiche tanto che alcuni storici ritengono abbia avuto accesso agli atti degli interrogatori dei monfortesi.
Ariberto convoca gli esponenti della setta langarola e secondo Landolfo a parlare è Girardo, che spiega le teorie seguite del gruppo. Entrambi gli storici concordano sul fatto che, conosciute le loro convinzioni il gruppo, arroccato nel suo castrum (ormai è certo che dovevano avere un castello), venne assalito dalle milizie di Asti in particolare e sconfitto. I prigionieri furono portati a Milano. Perché la loro posizione fosse esaminata più attentamente. A Milano c'è una via Monforte che sembra testimoniare la presenza del gruppo di eretici. Ma chi erano? La definizione di Catari non compare in nessuno dei due testi citati, anzi non compare alcuna definizione. Gli storici medievali dell'epoca in genere definivano quasi tutte le eresie come manichee e quella di Monforte non è sfuggita a questo destino. In realtà si tratta di una grossolana approssimazione. Intorno all'anno mille non c'è ancora una controversistica sviluppata sulle eresie. I riferimenti erano ancora quelli dei primi secoli del Cristianesimo, in particolare Agostino d'Ippona uno dei principali padri della chiesa che polemizzò fortemente contro i manichei, che non erano nemmeno un'eresia cristiana, ma un'altra religione, fondata da Mani in oriente che considerava Gesù un profeta. Il manicheismo ha contaminato il cristianesimo (brutalmente considerava il mondo diviso fra due principi opposti, il bene e il male). Le caratteristiche dottrinarie, secondo l'analisi di Enrico Botto, potrebbe avvicinarli ai Pelagiani o ai Patarini: è molto probabile che la polemica portata avanti dallo stesso Landolfo Seniore contro i catari (non riferendosi però ai monfortesi), intesi come estremisti che cercavano la purezza soprattutto nei costumi sessuali, abbia successivamente fatto includere gli eretici langaroli in un movimento che in realtà si è sviluppato molto più tardi, magari con caratteristiche simili.
Forse avrebbe offerto maggior onore storico a questo gruppo se li si fosse chiamati con un nome originale “monfortesi” per esempio. Nel suo racconto Landolfo Seniore scrive che Ariberto:
“sentì parlare di una non ancora udita eresia, che da non molto si era concentrata nel castello sopra il luogo detto Monforte”.
In sostanza potrebbe aver ragione lui: la comunità langarola aveva elaborato una visione del cristianesimo tutta sua. Non ci sarebbe nemmeno troppo da stupirsene: un diploma imperiale del 967 d. C. descriveva le terre aleramiche come “cortes in desertis locis”. Le Langhe dovevano essere per lo più spopolate, ricche di boschi, territori selvaggi che dovevano difendersi dalle incursioni di predoni di vario genere, non solo pirati saraceni. Non è inverosimile che si costituissero comunità anche eterodosse, magari approfittando di contatti non frequenti con i grandi centri di potere. In questo senso può aiutarci Rodolfo il Glabro, che all'inizio del suo racconto parla di Castrum... in gente longobardorum. Il riferimento ai Longobardi non c'è nell'altro racconto che è successivo di circa un secolo. Non va escluso che quella comunità non fosse assimilata almeno nel 1.000 al resto degli italici. Lo ha evidenziato anche Maurizio Rosso nel suo romanzo Il castello dei Catari. I Longobardi quando invasero il nord Italia intorno al 570 erano sostanzialmente pagani, poi si sono cristianizzati. Poteva essere questo un nucleo che aveva seguito un suo percorso?
Cosa professavano gli eretici di Monforte? Landolfo Seniore, da particolare risolato alla loro spinta alla castità, non solo i consacrati ma anche i laici avrebbero dovuto vivere in castità, anche se sposati. Erano vegetariani, professavano una comunione dei beni interna alla comunità e sembra praticassero una forma di eutanasia. Non mi dilungo qui sulle questioni puramente teologiche, mentre riguardo alla guida della comunità, restano troppe ambiguità.
A Milano si consuma la fine degli eretici di Monforte in maniera alquanto strana. Erano prigionieri, ma non reclusi. Landolfo fa pensare che il Vescovo Ariberto abbia provato a convincerli a convertirli sulla giusta via. Cosa succede allora? Cominciano a predicare le loro idee a diffondere il loro credo, in particolare fra i contadini della città lombarda. Questo irrita soprattutto i maggiorenti laici che, “Heriberto nolente”, (contro la volontà di Ariberto) costrinsero il gruppo a una scelta drammatica, o la croce (la conversione al cristianesimo ortodosso) o il rogo. Alcuni scelsero la croce, la maggior parte si gettarono fra le fiamme.
L'episodio ci mostra un vescovo riottoso alle maniere forti, alla violenza. In questo caso sembra che il potere secolare sia prevalso su quello spirituale. Enrico Botto, sulla scorta di altri storici milanesi ritiene che si tratti di un episodio che testimonia la volontà di indipendenza del potere laico da quello ecclesiastico, con un atto che paradossalmente appare frutto di un atteggiamento fanatico. Ma i maggiorenti laici probabilmente più che la corruzione dello spirito temevano le conseguenze sociali di una predicazione di una setta che fra le altra cose praticava la comunione dei beni fra tutti e cominciava ad affascinare i contadini. Probabilmente questo episodio di persecuzione eretica va spiegato con esigenze di controllo sociale (e non solo questo, ma è un altro discorso).
Discorso a parte merita la figura della contessa Berta. Questa figura è centrale nel racconto di Rodolfo il Glabro, dove appare come una donna che facendo visita a un moribondo fu accompagnata da un gruppo di persone che dissero all'infermo che avrebbero potuto guarirlo se avesse dato loro credito. Il malato non cedette alle tentazioni di queste figure maledette e morì il giorno stesso. La figura della comittissa in Landolfo sembra apparentemente più defilata, salvo leggere che è lei che il Vescovo cerca di convertire soprattutto, dandole così un ruolo preminente su quella comunità. E' molto probabile che fosse lei la guida politica della comunità monfortese anche in virtù del suo lignaggio nobiliare. Il suo nome non è citato da nessuno dei due storici, Gabotto sostiene si tratti di appunto di Berta, vedova di Gerardo di Calliano e madre del Gerardo, colui che parla al vescovo Ariberto nel racconto di Landolfo Seniore. Una figura singolare e misteriosa per l'epoca, se, come sembra, aveva questo forte carisma (secondo quanto emerge dal racconto più immaginifico di Rodolfo il Glabro), probabilmente un altro motivo di eresia agli occhi della società medievale maschilista.
Degli eretici di Monforte non abbiamo altre tracce salvo queste. Euclide Milano, parlando del gruppo in un testo del 1904, menziona all'epoca l'esistenza di una navata dei manichei nella chiesa parrocchiale di Monforte. Si tratta di una traccia ulteriore dell'eresia monfortese giunta fino a un secolo fa? Enrico Botto, che riporta la notizia nella sua tesi, si stupisce di questa circostanza. Va detto che il riferimento alla vecchia chiesa parrocchiale, sostituita dopo pochi anni da quella attuale. Si trovava in cima al centro storico e oggi non esiste più, demolita dopo la costruzione dell'attuale.
Difficilmente si potranno trovare notizie più precise su questo evento storico di grande importanza per le Langhe, salvo che non salti fuori qualche nuovo documento storico. Al di là di ipotesi e congetture la presenza degli eretici di Monforte ha segnato la storia del territorio langarolo, anche se sembra aver lasciato ben poche tracce.