Tu sei qui
Nuto, l'amico e il personaggio di Cesare Pavese
Nuto è uno di quei preziosi personaggi che possono rappresentare la chiave per interpretare i reconditi pensieri di uno scrittore, le sue insicurezze, ma soprattutto la sua vita, quella biografica e soprattutto quella intellettuale. ovviamente questo vale nei confronti di Cesare Pavese l'amico, scrittore e creatore di Nuto.
Normalmente i personaggi letterari sono frutto di pura invenzione. Magari quelli più importanti rappresentano qualcuno realmente esistito, ma che nella pagina scritta diventa appunto personaggio, insomma assume una vita propria. Per Nuto (ma non solo, il suo destino è simile a quello di Placido Canonica raccontato da Beppe Fenoglio, guarda caso entrambi scrittori langaroli) è diverso perché Giuseppe Scaglione, noto anche col soprannome di Pinolo, è realmente esistito, ed è stato uno dei più cari amici di Cesare Pavese fino agli ultimi giorni dello scrittore.
Nella storia della letteratura la figura di Nuto può ricordare per certi versi quella di Socrate nei dialoghi di Platone. Il protagonista degli scritti del filosofo greco ne era stato anche il maestro, ma è vero che era già morto quando l'allievo iniziò a scrivere.
Il nome d'arte oppure se vogliamo, quello del personaggio di carta oltre la persona reale, era un'abbreviazione di Benvenuto, un caloroso saluto col quale un giorno Cesare Pavese lo aveva accolto a Torino nel suo studio.
Nuto era diventato personaggio pavesiano con la poesia Fumatori di carta ed è noto soprattutto per essere il coprotagnista dell'ultimo romanzo di Cesare Pavese, La luna e i falò, scritto pochi mesi prima della morte.
Lo scrittore e il falegname hanno attraversato tutta la vita insieme, senza mai perdersi di vista. Non è facile immaginare cosa rappresentasse quella figura per Cesare Pavese, che da persona lo aveva fatto diventare anche personaggio, donandogli dunque un'esistenza a parte, trascendente, quell'eternità che solo la grande letteratura riesce a offrire. Difficile immaginare si tratti solo di amicizia e riconoscenza. Su questa figura si sono spesi fiumi di inchiostro naturalmente. Molto probabilmente per Cesare Pavese rappresentava il legame col paese, con la terra del mito e dell'infanzia, con quella provincia dalla quale allo stesso tempo era attratto e respinto. Franco Vaccaneo nel suo libro Fumatori di carta, parla di Nuto come di una sorta di Virgilio, il personaggio che nella Divina Commedia aveva condotto per mano Dante nell'Inferno; dunque una guida che permetteva allo scrittore di entrare nel mondo di Santo Stefano Belbo, nella vita quotidiana, fatta dei ritmi calmi e cadenzati della campagna, che Pavese non aveva di fatto mai assimilato. Nuto era anche il suonatore di clarino, passione musicale che lo rendeva il protagonista delle feste di paese e dunque anche artista.
L'ultima volta in cui Pavese e l'amico si sono incontrati a Santo Stefano Belbo era l'8 luglio del 1950. Era appena uscito La luna e i Falò e lo scrittore, come faceva spesso, aveva omaggiato Nuto con una copia fornita di una dedica speciale, che tuttavia nascondeva un'ombra. Pavese infatti aveva scritto:
"A Pinolo questo libro, l'ultimo che avrò scritto, dove si parla di lui, chiedendo scusa delle invenzioni"
Giuseppe Scaglione rimase turbato da quella dedica e convinse l'amico a modificarla così davanti alla parola ultimo pavese aggiunse un forse. Impossibile capire appieno il significato di questa dedica. Pavese in quel periodo stava vivendo una tormentata storia d'amore con Constance Dowling ed era tentato dal mondo del cinema, forse voleva semplicemente dedicarsi a questo campo artistico. oppure già aleggiava l'ombra angosciosa della fine che avvenne quasi due mesi dopo. Cesare Pavese morì suicida a Torino domenica 27 agosto. Il giorno prima Giuseppe Scaglione si era recato a Torino per motivi di lavoro. Aveva avuto il pensiero di telefonare all'amico, ma purtroppo non l'ha fatto.
Giuseppe Scaglione, nato nel 1900 a Santo Stefano Belbo, è morto esattamente 90 anni dopo, nel paese langarolo.