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L'epopea della seta a Cherasco

Redazione7 marzo 2017

Nell’economia di Cherasco la produzione dei bozzoli e la produzione della seta ha avuto storicamente un’importanza primaria.

Il Palazzo Salmatoris, l’edificio considerato il più prestigioso della città, nasce dal commercio delle sete. Giovanni Secondo Salmatoris si era arricchito in Francia esportando la produzione locale tra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘600. Il pittore Pierre Bonirote, verso la metà del secolo scorso, chiamato a illustrare la tradizione serica della sua città natale, aveva presentato un episodio del 1536 con due mercanti (de Cherasco en Piémont) che offrivano saggi di sete ai Consoli di Lione; il quadro comparve anche all’Esposizione di Torino nel 1898, nel momento in cui la seta rappresentava uno dei capisaldi della produzione piemontese.

L’allevamento del baco, la filatura, la torcitura erano dunque già tradizionali nel Cinquecento, ma si rinsaldarono e misero profonde radici sotto Emanuele Filiberto, dopo la pace di Cateau Cambrésis, grazie alle provvidenze emanate per la ricostruzione del paese.

La produzione della seta aumentò ancora nel Settecento. La filanda Salmatoris, in capo alla via di San Pietro, ha continue necessità di ingrandirsi e modificarsi, come rivelano i documenti dell’archivio comunale e le tante questioni e liti sollevate dai vicini, spesso infastiditi dai rumori, dagli odori, dal traffico.

Nel periodo francese entrano nel settore molti Ebrei: finalmente possono uscire dal ghetto. Nel 1810 sappiamo che Abraham Debenedetti possiede un filatoio in Cherasco con 10 fornelletti. Ma gli Ebrei crearono soprattutto tante piccole aziende, sparse nelle campagne, per timore delle proteste dei cittadini e proprio questa soluzione salvaguardò il lavoro e gli investimenti anche quando, nel 1814, tornarono i Savoia e ripristinarono le Regie Costituzioni del 1770, con l’obbligo del ghetto e dell’abbandono di attività e proprietà esterne. In realtà i piccoli filatoi sopravvissero: nel 1823 un Lattes Jona conserva addirittura una filanda in Cherasco, nello stesso anno cinque fratelli Debenedetti (Abramo, Giuseppe, Isacco, Leon, Emilio) ottengono un permesso decennale per l’impianto di una filatura e l’acquisto di una casa, nel 1827 David Debenedetti chiede la stessa cosa. Certo qualche protesta si leva, come nel 1831, quando Abraham Levi chiede di impiantare una nuova filanda, e Antonio Fissore di Montaldo annota nel suo diario: “Che cos’è codesta novità? Un Ebreo vuol costringere i buoni ed onesti Cheraschesi a dimenticare il riposo pomeridiano e mettersi a lavorare i cocchetti?”

Anche la filanda Salmatoris passa in gestione ad Ebrei, all’inizio dell’Ottocento. Poi, con la morte dell’ultimo Salmatoris cambia anche la proprietà della filanda che passa ai Seyssel d’Aix, per finire a metà del secolo alla famiglia Denina.

Dopo lo Statuto Albertino (1848) gli Ebrei possono ritornare ad operare alla luce. I Lattes Jona impiantano un opificio a produzione mista: grazie agli organzini di seta di loro produzione ottengono cotone con cui alimentano i loro telai.

Nel 1870 arrivano a Cherasco i Chicco, una dinastia legata già a tanti setifici sparsi per il Piemonte. Rilevano un piccolo filatoio da Salomone Segre e incominciano a potenziarlo con grandi investimenti. Nasce la grande Filanda, davanti al giardino del castello, quella che supererà con facilità la crisi del 1879-80, quella stessa che invece travolse il filatoio Denina. La Filanda Chicco otterrà i suoi risultati migliori in termini di quantità prodotte tra la fine del secolo e l’epoca giolittiana, con circa 350 addetti stabili, più i tanti stagionali. È un momento significativo dell’economia cheraschese. Le ragazze di Cherasco e dei paesi vicini (specie del Roero) lavorando in filanda possono farsi un po’ di dote e trovar marito, i contadini allevando i bachi e vendendo i cocchetti possono ottenere quel po’ di contante necessario per pagare al padrone delle terre la rata di San Giovanni, anche se un po’ in ritardo.

Questa tradizione continuò anche negli anni tra le due guerre mondiali, anche se le avvisaglie di una crisi di trasformazione si andavano addensando. La filanda Chicco sopravvisse anche agli anni ’30, all’introduzione delle fibre sintetiche sul mercato. Dovette chiudere invece negli anni ’50 per l’esaurirsi della materia prima da lavorare, dopo aver tentato di provvedersi di cocchetti nell’Alta Langa, nella val Tanaro e addirittura in Calabria, dopoché era venuta a mancare la produzione cheraschese e della pianura in generale, travolta dalla meccanizzazione agricola e dai nuovi criteri di produzione.

 

Bruno Taricco