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Acqui Terme: la città ritrovata

Redazione5 febbraio 2018

La poesia di Acqui è nella sua quotidianità, in quel vivere un po’ in disparte -provinciale ma con un tocco da gran dama, cittadina ma con la campagna nel cuore- e un po’ sopra le righe al tempo stesso, come se il mondo passasse accanto e appena scalfisse la quotidiana alternanza dei riti sociali che diventano appuntamenti inderogabili di una vita intera: la passeggiata in corso Italia, la sosta nella pasticceria liberty, il saluto a monsignor Galliano - il parroco del Duomo, un’istituzione già al tempo della Grande Guerra - il dialetto così caratterizzante, con quelle “o” belle tonde che individuano subito l’Acquese di antica razza rispetto a chi è immigrato dal contado, la languida bellezza di certe vie e di certi quartieri medioevali o rinascimentali, il “tour” termale con la sosta ai Bagni di fronte alla grande piscina - fu la più imponente d’Europa per decenni - poi alle Terme Militari, poi al “Gianduja” per un po’ di liscio, quindi al fontanino dell’acqua marcia e al ritorno, immancabilmente, tutti da “Canelin” per il gelato o il torroncino.

  • Corso Italia a Acqui Terme. Photo: Rodolfo Graziani.
  • Piazza Italia a Acqui Terme. Photo: Rodolfo Graziani.
  • Acqui Terme, Porta Schiavia. Photo: Rodolfo Graziani.
  • La scalinata di Porta Schiavia. Photo: Rodolfo Graziani.

È l’immagine - forse finanche un po’ stereotipata - del bel luogo del tempo che fu, dove “passare le acque” voleva dire signore e carrozze, treni di prima classe che sbuffavano sulla ferrovia del buon Saracco (fu Presidente del Consiglio agli albori del nostro secolo e ancora oggi gli Acquesi lo considerano il loro “padre della patria”), locali di lusso dove la belle époque era realtà quotidiana, teatri e varietà, cappelli Borsalino e ombrellini per il sole. E sullo sfondo loro, gli Acquesi, sornioni e dissacratori, ironici e criticoni, sempre pronti a dire di questo o di quello con arguzia bernesca e a lanciare motti e frizzi su chi si atteggia a comandare e chi si umilia a servire chi comanda.

È questa la vera Acqui, Acqui dei suoi poeti, Acqui che vive nel dialetto oscuro e immaginifico dell’indimenticato Carasa, Trilussa monferrino in versione melanconica che in versi pieni di suggestione ha cantato l’antichità di questa terra, l’alta sapienza delle sue donne e le ricchezze e le miserie della sua gente.

Acqui dalle molte facce, dai molti profili: Acqui romana e termale, Acqui umbertina con i suoi palazzi belli squadrati che disegnano geometrie di portici, Acqui del ghetto e del cimitero ebraico, Acqui della chiesa e dei patrizi, Acqui dei Paleologi di Bisanzio che nel suo castello tennero splendida corte e che hanno lasciato traccia di sé in tante opere d’arte disseminate in edifici pubblici e privati, spesso purtroppo di difficile accesso.

  • Il fregio del portale del Duomo di Acqui. Photo: Rodolfo Graziani.
  • La facciata del Duomo di Acqui. Photo: Rodolfo Graziani.
  • Arco di accesso dal Duomo a Acqui Terme. Photo: Rodolfo Graziani.
  • L'abside, la parte romanica del Duomo di Acqui. Photo: Rodolfo Graziani.
  • Colonnato all'interno del Duomo di Acqui. Photo: Rodolfo Graziani.
  • Acqui Terme, porticato interno nel Vescovado. Photo: Rodolfo Graziani.

Sotto il mastio della fortezza antica (Co u to casté, za furtessa temia / retage ‘d glorie e passion d’atre età, / ‘ndaua ch’detava l’aurei du Suria / s’cond ch’u drumiva o cmé ch’l’ava disna) ecco quello che per secoli fu il cuore della città, il quartiere-simbolo dello sviluppo, della decadenza e della rinascita acquese: la Pisterna.

Per la Pisterna la poesia acquese ha trovato i suoi momenti più ispirati, i suoi tocchi di più sincero affetto: “Te t’hai n’avgiaia, ch’la passa l’amsira / perssa ‘nt la cua del Vegg Testament/ e nein archiv ‘d memorie un prichira / l’ura o l’indisse di toi prim mument.” La Pisterna è da sempre, perché è l’anima di Acqui e dell’acquesità: poco importa se l’origine vera di questo insediamento si colleghi alla presenza dei Liguri Stazielli come vorrebbe la storia piuttosto che al leggendario arrivo dei dispersi Troiani mandati in esilio dal pie’ veloce Achille e approdati chissà come alle rive di Bormida. La Pisterna - l’antica pustierla, la piccola porta che interrompeva l’irregolare tracciato delle mura medioevali - è la trasposizione visiva dell’anima di Acqui, un po’ chiusa su se stessa, fascinosa prima pur nella trascuratezza e ancor più oggi che rivive di rinnovato vigore, collegata sì al mondo “di fuori” ma con il filtro ben calibrato di un uscio che si schiude più per l’amico o il conoscente che per la massa.

Ecco il segreto per capire Acqui!

Chi è affezionato o costretto al turismo d’assalto, alla visita “mordi e fuggi” vada da un’altra parte. Acqui si assapora lentamente, come lentamente si degusta un calice di Brachetto abbinato a una scelta importante di piccola pasticceria locale. Certo, per un’occhiata sommaria e superficiale anche il classico giretto - duomo-bollente-terme-funghi-formaggetta-amaretti-acquedotto-farinata e via - può andar bene, ma rischieremmo di partire avendo intravisto molte cose senza capire nulla del motivo per cui queste cose sono lì, senza cogliere il loro legame con una realtà - storica, artistica, eno-gastronomica, folclorica - molto più complessa, unica e meritoria di una sosta meditata.

  • L'ingresso al castello dei Paleologi. Photo: Rodolfo Graziani.
  • Il massiccio castello dei Paleologi di Acqui. Photo: Rodolfo Graziani.
  • Un particolare del castello dei Paleologi. Photo: Rodolfo Graziani.
  • Le mura del Castello dei Paleologi. Photo: Rodolfo Graziani.
  • Il Parco nei pressi del castello di Acqui con alcuni resti archeologici. Photo: Rodolfo Graziani.
  • Il teatro all'aperto di Acqui in piazza della Conciliazione. Photo: Rodolfo Graziani.

E poi oggi non vale più l’alibi dei decenni passati, di chi veniva ad Acqui con l’atteggiamento un po’ spocchioso degno dei viaggiatori inglesi del gran tour di metà Ottocento: città bellina, per carità, fascinosa, ricca di tesori nascosti ma addormentata in un’inedia cronica che tradotto significa poche infrastrutture, poca attenzione all’arredo urbano, decadenza di palazzi e di chiese, scarsa o nessuna cura per i particolari storici o anche solo pittoreschi che tanto piacciono a chi vien da fuori.

Finalmente, l'abbiamo già detto altre volte, finalmente ecco Acqui ca bogia (che si muove), che si veste della festa e si rifà il trucco un po’ sbiadito dalle usure del tempo.

I ciottoli di fiume sostituiscono l’asfalto nelle contrade antiche, le isole pedonali si allargano sempre più, parchi e aiuole e fiori in ogni angolo e fontane insistono sull’immagine molto pertinente di città giardino; non c’è palazzo storico che non abbia rinfrescato con gusto e garbo la propria facciata, non c’è edificio ecclesiastico che non sia stato restaurato; il Premio Acqui Storia - dedicato alla memoria dei martiri della divisione Acqui trucidati dai Tedeschi a Cefalonia - e l’Antologica estiva di pittura e Acqui in palcoscenico e tante altre iniziative culturali ne arricchiscono le attrattive; pure il complesso termale ha approntato - grazie a un accordo di programma che vede protagonisti anche Comune, Provincia e Regione - una generale riqualificazione.

Insomma, Acqui oggi vale il viaggio, anche se venite da lontano.

Un primo possibile itinerario potrebbe partire dalla centrale piazza Italia per introdursi, dopo pochi metri percorsi lungo corso Italia, su dalla scalinata della Schiavia che conserva la caratteristica porta urbica, eretta dal Comune a fine XII secolo anche se in gran parte risalente, nelle forme attuali, al Settecento. Un’originale inquadratura permette di cogliere subito la silhouette del campanile del Duomo - che una pia leggenda vuole progettato dal patrono San Guido in persona il quale, cadendo dalle impalcature, avrebbe anche riportato una brutta caduta - e il grande portico che occulta in parte la facciata ancora romanica, mentre alla nostra destra in via Cardinal Raimondi si susseguono alcuni tra i più antichi palazzi acquesi, come Casa Sigismondi, dei primi decenni del Cinquecento ma con rifacimenti neoclassici, e soprattutto Casa Marenco, all’interno della quale si trova un mirabile soffitto a cassettoni dipinti, realizzato tra il 1484 e il 1498 per conto del vescovo Costantino Marenco che ha voluto qui effigiare motti e stemmi delle famiglie aristocratiche di Acqui e del Monferrato.

Al Duomo si arriva in salita, lasciando a sinistra la mole imponente del Seminario Vescovile, ricostruito tra il 1755 e il 1772 dal vescovo Carlo Giuseppe Capra su progetto del Vittone a cui si deve in particolare lo scalone rococò che si incontra non appena varcato lo splendido portone in legno intagliato risalente al 1787, epoca in cui venne radicalmente modificato anche l’ex-convento di Santa Caterina, fondato da San Guido nel 1056.

  • Ingressi all'interno della Pisterna a Acqui. Photo: Rodolfo Graziani.
  • Un vicolo della Pisterna. Photo: Rodolfo Graziani.
  • Porta Cupa a Acqui Terme. Photo: Rodolfo Graziani.
  • Palazzi nella Pisterna di Acqui. Photo: Rodolfo Graziani.

Dodici anni dopo, nel 1068, il venerato Vescovo inaugurò il Duomo, anch’esso molto rimaneggiato in età barocca, soprattutto all’interno. La parte più suggestiva resta quella absidale, con la struttura originaria in pietra arenaria decorata da archetti e lesene, insieme alla cripta, una selva di colonnine diseguali che svelano come piccoli tesori le arche marmoree dei Vescovi del passato. Più che l’interno - maestoso nelle forme a metà tra barocco e neoclassico come lo volle il pittore ponzonese Pietro Ivaldi detto “Il Muto” nel 1863 - soffermatevi ad ammirare il portale marmoreo, capolavoro del maestro campionese Giovanni Antonio Pilacorte (1480) e soprattutto, nella sacrestia capitolare, il celebrato trittico di Bartolomé Bermejo, raffigurante la Madonna di Montserrat, singolare esempio di pittura spagnola intrisa di naturalismo fiammingo. Un veloce accesso interno immette al piano superiore del chiostro dei canonici, con colonne in pietra arenaria dai capitelli antropomorfi di metà Quattrocento.

Il lato sud della piazza è chiuso invece dal Palazzo Vescovile, quattrocentesco e coevo al vicino ex-ospedale di Santa Maria Maggiore, oggi casa di riposo, nel cui cortile è la statua bronzea del Figliol Prodigo, capolavoro di Arturo Martini.

Attraverso antiche stradine che hanno mantenuto il cognome del patriziato acquese (come via Biorci dove si trovano Casa Bicuti e tratti delle mura marchionali) si sale agevolmente al castello dei Paleologi, occupato dal Museo Archeologico.

Qui si condensa la storia di Acqui, da quella remota testimoniata dalle asce liguri o dalle decine di anfore e lapidi romane a quella longobarda e medioevale, fino all’epoca degli assedi spagnoli (1646) e francesi (1746) che distrussero in parte la struttura originaria. Il parco, recentemente sistemato a birdgarden, è un autentico polmone verde per la città e occupa tutti i versanti della collina a scendere verso la stazione ferroviaria, che conserva la particolarità di una decorazione liberty in ghisa di singolare finezza.

  • La Bollente in piazza della Bollente. Photo: Rodolfo Graziani.
  • Piazza della Bollente dalla fontana. Photo: Rodolfo Graziani.
  • Piazza della Bollente in notturna. Photo: .
  • La facciata della chiesa di San Pietro. Photo: Rodolfo Graziani.
  • Il campanile della chiesa di San Pietro. Photo: Rodolfo Graziani.
  • La facciata della chiesa di San Francesco. Photo: Rodolfo Graziani.

Scendendo invece dal castello verso piazza della Conciliazione - oggi occupata in parte da un grandioso teatro all’aperto e in parte da scavi archeologici romani e medioevali - ci immergiamo nel cuore della Pisterna. Ogni casa, ogni cortile, ogni androne riserva sorprese artistiche e i buoni restauri iniziati stanno riportando in luce aspetti e particolari nascosti da secoli. Tra i palazzi signorili - Casa Olmi, Casa Radicati, Casa Blesi, Casa Veggi, Casa Della Porta, solo per citare quelle più importanti - spiccano due piccoli edifici di culto, l’ex-oratorio di Santa Maria degli Angeli, in piazzetta dei Dottori, e soprattutto la chiesa di San Paolo dei Barnabiti, più nota come “Sant’Antonio”, dal nome della confraternita che vi si era stabilita nel secolo scorso, caratterizzata all’interno da un eccezionale arredo ligneo seicentesco (coro, sacrestia, pulpito). Di fronte a noi la Porta Cupa, l’unica ancora intatta dell’antica cinta, permette di uscire dalla Pisterna in piazza San Guido, mentre scendendo in via Manzoni - una stradina su cui si affacciano varie case medioevali e le ex-Scuole Regie - si sbuca nell’ampio, scenografico anfiteatro costituito dalla piazza della Bollente e dall’edicola marmorea voluta da Saracco che la fece costruire dall’ingegner Ceruti nel 1879 unitamente ai portici neoclassici che ci riportano su corso Italia. Qui c’era la sinagoga e tutta l’area della piazza era inserita nel ghetto ebraico, come testimonia la struttura interna delle case più antiche.

Andare alla Bollente, toccare e assaggiare l’acqua che sgorga alla incredibile temperatura di 75° C dalle viscere della terra significa compiere un rito laico profondamente radicato nell’immaginario collettivo acquese. Solo adesso siete veramente sgaientò, “scottati”, e solo adesso potete a tutti gli effetti entrare a far parte della vita e dell’ambiente cittadino.

Dunque disponetevi - da bravi Acquesi - allo struscio quotidiano passando sotto l’arcone della torre urbica - caratteristica per essere una costruzione senza fondamenta, ma semplicemente appoggiata alle case circostanti - ed entrando in corso Italia e nelle vie pedonali che circondano questa arteria zigzagante, ottenuta dalla copertura cinquecentesca di un rio. Siamo nell’antico borgo di San Pietro - il nome deriva dal Santo titolare dell’omonima basilica protoromanica che, malgrado gli scempi perpetrati per secoli, ha riottenuto un aspetto abbastanza fedele all’originale dopo un restauro non sempre filologico operato negli anni Trenta - e non mancano esempi di intatto medioevo o di leggiadro rinascimento, anche se l’impostazione delle case e delle corti risente sempre più di interventi sette-ottocenteschi.

A quell’epoca risalgono, ad esempio, l’ex-teatro Dagna e l’attuale chiesa di San Francesco che ha sostituito quella duecentesca originale: all’interno gli appassionati di pittura troveranno tra le altre cose una tela del Moncalvo raffigurante l’Immacolata Concezione, mentre i chiostri rinascimentali, pur se bisognosi di importanti restauri, hanno conservato intatto il loro fascino. Di fronte alla chiesa si apre la piazzetta Levi, dove si fronteggiano palazzo Lupi - oggi sede del Comune - seicentesco ma molto rifatto in clima di revival storico, e palazzo Robellini, dal bel portico colonnato cinquecentesco e dalle trecentesche cantine in cui è ospitata l’Enoteca Regionale, dedicata alle molte doc acquesi e principalmente al Brachetto, il vino dolce per eccellenza di queste terre, ideale accompagnamento di dolci non troppo zuccherosi, di creme sontuose e macedonie ai frutti di bosco.

  • L'ingresso alle Terme di Acqui. Photo: Rodolfo Graziani.
  • Le nuove terme di Acqui. Photo: Rodolfo Graziani.
  • Acqui, il municipio. Photo: Rodolfo Graziani.
  • Le rovine dell'acquedotto romano. Photo: Rodolfo Graziani.
  • La sala storica di un antico caffé ad Acqui. Photo: Rodolfo Graziani.

Gli scavi archeologici hanno messo in luce una bella vasca pubblica di età romana con parte della tubatura in piombo che la riforniva. L’acqua era convogliata alle condutture cittadine dal grandioso acquedotto di cui restano ancora le imponenti arcate nei pressi del fiume Bormida, subito dopo il ponte che unisce la città storica al quartiere Bagni.

Ma qui si apre un’altra storia, un altro percorso, tra terme e piscine, acque calde e fredde e crateri di fango terapeutico. Andare ad Acqui vuol dire anche - anzi, vuol dire in primo luogo - andare alle terme, a fare le inalazioni o i fanghi sfruttando quelle qualità insite nell’acqua di antica origine vulcanica che già i Romani seppero apprezzare. Una cura che non è degenza ma vacanza, che non pregiudica ma anzi tonifica le mille opportunità di cultura, svago, divertimento che la città può offrire. Da non perdere le restaurate Antiche Terme (oggi Lago delle Sorgenti), tra gli stabilimenti più belli e affascinanti d’Italia.

Eppure Acqui non sarebbe Acqui senza un territorio alle spalle, la grande chiostra di paesi e frazioni che la circondano, le cascine dove si producono le robiole di latte caprino e il miele, il filetto baciato di Ponzone e le acciughe di Montechiaro, i boschi dove si raccolgono i funghi e i tartufi, le abbazie di Spigno e di Sezzadio, il Museo di arte sacra di Ponzone, le erbe aromatiche e curative di Molare e di Spigno, la chiesa bramantesca tra le terrazze di tufo di Roccaverano, i Polentoni della Valle Bormida, il ricordo di Luigi Tenco a Ricaldone, di Giacomo Bove a Maranzana, di Giuseppe Baretti a Rivalta Bormida.

Sono frammenti importanti di storia, di arte, di cultura locale che finalmente stanno coagulandosi per dare al territorio un’immagine nuova e al tempo stesso rispettosa delle proprie radici, delle proprie tradizioni, del proprio passato.

 

Gigi Gallareto