Tu sei qui

Langa

Pietro Giovannini17 settembre 2017

L’auto scivola lenta tra le curve delle colline. Il sole del mattino brilla su tutte le Langhe fino al mare. Il notaio è seduto accanto al guidatore e scruta attento ogni curva, ogni casa, ogni collina.

Ad intervalli regolari commenta un paese, una frazione, una cascina: “qui avevo un cliente, si chiamava Rovero…”, “in quella valletta andavamo per marenche”, “quella cascina era di due fratelli, amici di mio padre”. Conosce palmo a palmo tutte le Langhe: le ha girate in lungo e in largo per 90 anni, vuoi per lavoro, vuoi per piacere: la caccia, i clienti, le trattorie, una successione, un pranzo di leva, etc.

Il notaio è mio nonno.

 

Andiamo in Liguria, mito e passione di ogni langhetto (che altro non è se non un ligure senza mare), a mangiare il pesce con la puerile scusa di un estratto conto bancario… infatti di solito si parte alle 10 e mezza, si fa una strada diversa ogni volta (questa volta passiamo da Cortemilia, Scaletta Uzzone, Cairo, Carcare e Savona) e si arriva puntuali per pranzo, senza nemmeno provare a passare in banca “va beh, sarà per la prossima volta…” mi dice poi speranzoso. Dopo pranzo, una veloce puntatina a casa –giusto per dire che ci siamo andati– e via verso Alba, che tanto della spiaggia non ce ne può fregare di meno!

Al ritorno come all’andata riparte il flusso dei ricordi: “sono almeno trent’anni che non passavo da Pezzolo, c’era ancora la strada da asfaltare”, “a Scaletta viveva un mio compagno di scuola, che poi è morto in guerra”, “da ragazzi avevamo tre zie che avevano tutte e tre un’osteria qui intorno, una a Bosia, una a Castino e una in quel paese lì prima…” “Borgomale?” “sì ecco, Borgomale! Eh, ormai conosci le Langhe meglio di me!”.

Ovviamente è solo una battuta, anche perché lui per andare al mare partiva dall’ufficio al sabato pomeriggio con Silvio (il segretario di suo padre), prendevano la bici e si sparavano 90 km di sterrata alle 5 del pomeriggio, per tornare la sera della domenica a notte fonda e andare a lavorare al mattino, felici come pasque.

“Al passo della Bossola mi ricordo ci siamo fermati con Millo (suo fratello)¹ che c’erano un sacco di funghi, e li abbiamo presi tutti, avremo avuto sedici anni…”, “da Paroldo veniva una parente di Tilde, la –tata– di tua mamma”, “qui a Murazzano avevo un cliente ma poi i fratelli han litigato tra loro e non si parlavano più, così una volta con la scusa di una firma li ho fatti venire giù tutti e due all’insaputa per vedere se la piantavano lì. È andata bene e la loro madre mi ha voluto a pranzo un giorno che ha fatto i tajarin e la lepre apposta per festeggiare!” etc etc.

Quando parla delle Langhe mio nonno ritorna giovane: non ricorda tutto, solo le cose belle, quelle che gli sono sempre piaciute, come la caccia, la cucina, l’armonia, la riconoscenza. E pensare che da giovane gli piacevano le bestie e voleva fare l’allevatore… ma ha finito per fare un altro mestiere, dove l’onestà è sempre premiata (chissà se lo è altrettanto nel commercio?) e lo ha fatto bene, tutta la vita.

 

Eccoci ad Alba, davanti a casa.

Lo vedo scendere: “Vuoi una mano?” “Figurati, faccio da solo” e aprirsi la porta come un ragazzo; poi mentre sale le scale si riprende i suoi novant’anni e arranca tra il corrimano e il bastone.

Lo guardo: eccolo lì Italo Ferrero, classe 1912, nato al Mango, secondo di cinque figli, sposato da 60 anni con Ida Liuzzi, tre figlie e due (splendidi) nipoti, notaio ad Alba per 35 anni.²

Uomo di Langa.

 

E, caro nonno, sappiamo benissimo tutti e due che – anche tra 20 anni – non conoscerò mai le Langhe meglio di te. Anche solo per questo, e per tutto quello che hai fatto e fai ogni giorno per me, questi 50 numeri di anViagi sono per te. Auguri!

 

¹ Camillo partì negli Alpini, dicendo a suo fratello: “Meno male che hanno preso me per la Russia: io ho le gambe lunghe e tu sei così mingherlino… in quattro falcate vedrai, arrivererò a Mosca”. Invece, come quasi tutta la Cuneense, non è tornato. È lui il fratello di Fulvia che “la guerra la fa davvero, non come Italo che la fa per finta”, ma questa è un’altra storia.
Mia nonna –ovviamente– a Fenoglio quella frase non l’ha mai perdonata, ma da bambino la ricordo, come fosse ieri, piangere sulle lettere di Millo dopo oltre trent’anni.

² Mio nonno è morto lunedì 11 aprile del 2005, alle 3 del pomeriggio. Dopo colazione, si è addormentato, ha perso conoscenza e si è spento come una candela. Solo il giorno prima gli avevo portato l’ultimo numero della rivista: deve essere stata l’ultima cosa che ha letto. Era una persona pubblica e così in chiesa –io che non amo parlare al microfono– ho voluto ricordarlo davanti a tutti, leggendo cosa avevo scritto la sera prima. Invece per mia nonna, quest’anno, non sono riuscito nemmeno a finire una poesia, davanti alla cappella del cimitero, con i miei familiari. Questo libro (con molte altre cose) è dedicato a loro due.