Tu sei qui

Alberi

Pietro Giovannini17 settembre 2017

Mi sono sempre piaciute le piante, ed in particolare gli alberi. Non di rado mi capita di fermarmi per strada accanto a qualche albero speciale, semplicemente per guardarlo. L’altra sera eravamo a tavola con Gigi Rosso e, a un certo punto lo sento dire: “per me un albero è come una persona, è un essere vivente e merita rispetto”. Proprio così: merita rispetto e attenzione, anche solo l’attenzione di non toccarlo, il rispetto di non sprecarlo.

Le piante sono lente a crescere e veloci a morire: l’anno scorso mi è morta una metasequoia che amavo molto, così dalla sera la mattino: semplicemente in primavera non si è più svegliata. Adesso ne pianterò un’altra, sotto cui potrò entrare a prendere il fresco solo tra vent’anni (se tutto va bene), quando cioè avrò 52 anni (Matteo Roagna, il vivaista, mi ha detto “a 25 anni pensavo di sapere tutto sulle piante…ci ho messo 30 anni per capire che non ne so niente ancora oggi”).

Prima di abbattere un albero bisognerebbe pensarci mille volte, perché lui è lì da molto prima di noi e questo è un suo diritto acquisito; e soprattutto ogni volta che tagliamo una pianta diventiamo più poveri, perché in quel punto dopo c’è il vuoto.

Girando ogni giorno per queste colline, conosco molti alberi venerabili, come vecchi saggi che ti parlano con le foglie e con la corteccia ti danno pace e sicurezza: la di Nizza, il Platano di Vittorio Alfieri ad Asti, il viale stregato di Cherasco, la quiete austera di Roascio, il bosco di castagni di Montaldo Roero, le due querce di Roncagliette, salendo per andare a casa. e mille altre. 

Ogni tanto vedo una foto d’epoca (anni ‘30) con venti uomini attorno al platano gigante della Vaccheria, appena abbattuto, con il tronco vecchio di centinaia di anni che ancora sovrasta questi piccoli fieri coglioni, facendoli sembrare ancora più piccoli e ancora più coglioni, e mi vengono in mente gli alberi storici di Paroldo, Bonvicino, Diano che oggi non ci sono più perché malati, bruciati, o semplicemente spenti, e i viali di tante città, abbattuti perché pericolosi, e i boschi della Liguria che ogni estate bruciano accidentalmente.

Ogni anno della nostra vita dovremmo piantare una pianta, un albero per lasciare un segno, un ricordo, una promessa. Con tanta gente assetata di immortalità che si butta in politica perché magari poi un giorno gli dedicheranno una via, e altri che scrivono, compongono, dipingono, progettano per tentare di lasciare traccia di sé, beh, se avete un pezzo di terra, un giardino, un campo, o se c’è un colle, un bricco, un poggio che vi piace, piantateci un albero, accuditelo, andate a farci il merendino di Pasqua o la camporella estiva, e guardatelo crescere per voi e per tutti noi, con le radici nella terra e i rami allugati verso il cielo, metafora della nostra vita e di tutte le nostre aspirazioni.

Mi vengono in mente il prof. Tolkien (che ha inventato la bellissima figura dell’Ent, il pastore degli alberi) a 80 anni, in posa orgoglioso vicino al suo albero preferito, e Alice che si sveglia sotto una pianta dopo la sua meravigliosa avventura, e la casa sull’albero sogno di ogni bambino, e la foresta di sequoie giganti della California, con il Generale Sherman, l’albero più grande del mondo che, anche se lo vedi una volta, dopo non riesci a pensarlo, tanto è impossibile.

Oppure il grande Cedro del Libano di La Morra, a Monfalletto, messo lì a dimora per festeggiare le nozze di Costanzo Falletti nel 1856.

Quello sì davvero un bel regalo di matrimonio.