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Pian dei Grilli a Fraconalto

Pietro Giovannini26 ottobre 2016

“Pietro! Lo sapevo che eri tu”.

Provincia di Alessandria, domenica uggiosa in bilico tra pioggia e sole pallido diciamo l’antitesi del tempo ideale per una gita.

In più sto lasciando il microclima delle Langhe per l’Appennino… dove -si sa- piove un casino, ché l’unica cosa che sei sempre sicuro di trovare sono l’acqua e i funghi: Ponzone, Sassello, Rossiglione, Bosio, Busalla… luoghi mitici bisbigliati a mezza bocca tra fungaroli manco parlassero del Klondike!

Comunque mi porto in zona agilmente, seguendo il confine vero della Langa che da Neive costeggia il Tinella, per arrivare al Belbo a Santo Stefano e da qui lungo il fiume a Canelli e Calamandrana dove la via antica della Garbazzola e la soprastante Serra sono davvero le ultime colline delle Langhe. Scollinando la strada corre poi nel canalone di Castel Boglione (uno dei posti più brutti del mondo) e da qui, sotto Montabone (sempre memorabile il night club “La Tana” in un convento del ‘400), fino a Terzo, alle porte di Acqui, su quella Bormida di Spigno che ne segna il confine orientale.

La mia cara Langa, il Sinai delle colline, finisce qui.

Oltre, ecco appunto l’Appennino di decine di paesini di pietra, appesi ai costoni ripidi e spesso incolti di una collina che è montagna nella forma prima ancora che nell’altitudine.

Il tempo tiranno mi fa tagliare il sali-scendi delle valli Erro e Orba per la via maestra di Acqui-Visone-Ovada.

Però a Prasco giro per il paese, e poi mi infilo in una valletta meravigliosa, verdissima e intatta che corre a Olbicella oppure risale a Cremolino, borgo castellato stupendo con annessa fama da funghi (il ristorante del paese ha un menu apposta!). Menzione per la chiesa romanica trasformata in santuario alle porte del paese: l’unica chiesa che ho visto in vita mia con due absidi, una per lato!

Attorno a Cremolino potrei peregrinare verso Trisobbio e Rocca Grimalda, deliziosi borghi a corona della ligure Ovada (ligure nell’accento, nei colori e nella planimetria del centro… conosco la geografia!) ma significherebbe non arrivare più.

Quindi tiro dritto e attraverso la cittadina sull’Orba (che ha alcuni locali piacevoli e una vecchia trattoria -a me dedicata- in cui invece ritrovi davvero il Piemonte) per salire velocemente a Belforte-Tagliolo-Lerma.

A Lerma si dovrebbe forse posare un fiore sulla tomba di Moana Pozzi che riposa in una lapide senza nome nel piccolo cimitero abbellito da immancabile chiesa romanica devota a San Giovanni. Il Piota scorre lì accanto, con la leggenda delle sue pepite d’oro che attira sempre un buon numero di impavidi cercatori. La rocca col castello Spinola è notevole, il ricetto poi un incanto impreziosito dalla gentilezza di una signora -improvvisata guida- così sorridente da farmi pensare che di ligure conservi solo l’accento! Noto anche un’insegna invitante da rimandare a futura cena… insieme ad un giro del Parco delle Capanne di Marcarolo in cui si entra appunto da Lerma.

Il paese dopo è un confine, di quelli impalpabili e sottili che però restano: Casaleggio Boiro, un nome anonimo e curioso forse, dove però in tempi antichi finiva il Monferrato e iniziava la Marca Obertenga. Agli Obertenghi si sostituì nei secoli la Repubblica di Genova che trovò -credo- comodo fortificare gli Appennini dall’altro lato (il famoso Oltre Giogo), in modo da tenere Monferrato, Visconti, Gonzaga e Savoia un po’ più lontani…

Casaleggio ha un borgo castellato, antico e isolato su uno sperone roccioso, che sembra uscito dal Signore degli Anelli… e un lago artificiale azzurro e silenzioso che potrebbe essere alpino.

Il Piemonte Obertengo -per chi non lo sa- sono il Gavi e il Tortonese, genuinamente ligure il primo e impasto meticcio di lombardo, emiliano e genovese il secondo. Per dire: io non li capisco a parlare, e me la cavo bene sia col piemontese che col genovese!

Oggi comunque mi giro il Gavi ma non ve lo racconto tutto sennò ci va un mese!

Cito solo en passant San Giacomo, la parrocchiale di Gavi, che vale il viaggio e la gemma dell’Abbazia di San Remigio di Parodi Ligure, ahimé abbandonata agli zingari che sembra un raduno di camper usati invece che un luogo di cultura vecchio mille anni.

Perché la mia meta della domenica in realtà sono Voltaggio e Fraconalto, ovvero i due comuni che -oltre il Gavi- si allungano come un ramo verso la Liguria (a chiudere a oriente il Parco, il cui centro sono i boschi di Bosio).

Voltaggio mi lascia di stucco, il che è di solito difficile.

Una cittadina più che un borgo, se si considera il numero di palazzi importanti che si susseguono nel centro: luogo di delizie della nobiltà genovese che qui trovava forse svago dalla monotonia del mare. A piene mani arte, cultura e un’unità architettonica da proteggere assolutamente. 

All’ingresso del paese (ovvero dalla Liguria, perché davvero qui di Piemonte non c’è nulla) il monastero dei Cappuccini che custodisce una Quadreria di livello nazionale (dove “nazionale” è Italia non Islanda) all’uscita la filanda, proto-industria ottocentesca di apprezzabile stile. In mezzo un borgo di ponti medioevali, palazzi nobili, botteghe e ristoranti e una piazza con i controfiocchi (ho usato fiocchi come eufemismo).

Il fatto che nessuno conosca questo luogo (scusate cari Voltaggini ma mi ritengo superbamente assai informato sul Piemonte, almeno su quello meridionale) non so se sia una fortuna o un errore. Il dubbio me lo ha messo il sorriso dell’ex sindaco che mentre mi serviva un gelato (buonissimo) si perdeva volentieri a raccontare di storia e storie… di quando i Savoia bruciarono il paese (ma non presero Genova) e di come uno dei papà del Barolo, “quel generale che si chiamava come il cimitero di Genova” -Staglieno- fosse (pensa un po’) nato proprio qui!

Su tutto però il ricordo amaro del colpo di mano di Urbanino Ratazzi (non un cuor di leone di solito) che, approfittando di un riordino delle Province, nel 1859 firmò la legge che aboliva la ligure provincia di Novi, collocando tutti i comuni sotto Alessandria, in Piemonte! Ovviamente Rattazzi era di… Alessandria!

A Novi quasi ci fu battaglia nelle strade e il consiglio comunale all’unanimità assunse la denominazione Ligure (come pure fecero molti paesini attorno) come atto di disobbedienza civile e di memoria della propria storia.

La salita a Fraconalto attraversa i cantieri del terzo valico dell’alta velocità Genova-Milano, che passerà proprio qui sotto, per portarmi in quota 700 metri dove si scollina (alla frazione Castagnola) per Busalla, l’alta valle Scrivia e la Liguria vera e propria.

Fraconalto non ha nulla di memorabile se non l’interno della parrocchiale del 1200 (o almeno così mi assicura la Tolla) e potrebbe tranquillamente essere frazione di Voltaggio. Quello che meriterebbe dignità -almeno di Principato- è il Pian dei Grilli.

Qui sono infine arrivato domenica 3 aprile 2016 ad un appuntamento che rimandavo da 15 anni.

La Tolla, la pazza, meravigliosa, unica Tolla mi aspettava lassù dal 2001, in un invito lasciato cadere con la nonchalance delle cose importanti, e che io -da vero picio- ho sempre rimandato.

Non ha importanza dove e perché io e la Tolla ci si veda ma ogni tanto –diciamo– ci incontriamo da qualche parte, e ogni volta lei mi dice sempre: “guarda che ti aspetto”.

Non ci sperava più, credo.

Invece domenica ho portato la mia pancia lassù, solo per lei: non sapevo di Voltaggio, non me ne fregava una cippa di Fraconalto… mi ero svegliato con una certezza in testa: oggi vado dalla Tolla.

Quello che non sapevo (me picio al cubo) era che nel suo locale si mangia da Dio.

Quel Dio che forse anche qui non dà i suoi raggi, proprio come nella città vecchia del porto antico di De André, ma ai cui figli è impossibile non volere bene. 

La Tolla, ho scoperto entrando nel locale, si chiama Maria Vittoria, come l’ha chiamata con ruvido amore sua mamma, Rina, che è lei sputata con vent’anni di più: gli stessi occhi, la stessa ironia, la stessa assenza di cerimonie.

Io e la Tolla ci siamo piaciuti subito, senza bisogno di farci tanti complimenti, e da subito ci rispettiamo.

A qualcuno verrà in mente che quindi sto facendo una marchetta a un’amica.

Bene, quel qualcuno se ne può andare serenamente affanculo, senza passare dal via.

Il Pian dei Grilli è una grande struttura (ampliata negli anni, soprattutto i ’60 credo) non particolarmente di charme ma piazzata in posizione strategica, sulla strada del colle, con un grande parcheggio, il parco giochi, la terrazza e un balcone mozzafiato.

Di fronte, dall’altro lato della valle, la vetta del Monte Alpe con la cappella solitaria a strapiombo fa venire voglia di scarpinare pure a un plantigrado come me; tutto attorno boschi, verde e un paesaggio da misty mountains (per proseguire nelle similitudini tolkieniane): d’estate deve fare un fresco meraviglioso ma io ci tornerò anche con la neve, tanto la Tolla c’ha pure 20 camere…

Ma -alla fine- se fosse in fondo a un buco con vista sull’autostrada per me sarebbe uguale. Perché la vista non è Mai l’anima di un locale. 

Entro, e le foto di Coppi e Govi mi allargano il cuore: una stretta di mano tra Piemonte e Liguria, eccola l’anima! E qui Coppi ci veniva davvero a mangiare dalla Maria Vittoria, la nonna… perché l’Oltre Giogo è un posto così, dove il ciclismo lo considerano quasi una cosa privata (come per la Langa, Fenoglio) e tu trovi i calendari di Coppi, i ritagli di giornale e le foto di Girardengo in ogni bar, ché i vecchi ne parlano ancora con gli occhi lucidi.

A proposito di ritagli: quelli della musica rock improbabilmente appiccicati alle pile del salone altro non sono che il tuo gigantesco diario da eterna ragazza, vero Tolla?

Poi un enorme cappello verde-oro mi ricorda che Antonio, il marito della Tolla, è brasiliano, mentre tendoni e mantovane eleganti stridono con i marmittoni lucidi e il classico salone da cerimonie per 200 persone.

Sembra kitsch? Forse. Io mi sono sentito come a casa dopo cinque minuti.

Avvertenza: le 200 persone –ne sono sicuro e meno male– qui ci vengono davvero, tutti i week end! Quindi primo consiglio: andateci di settimana, che vi danno ascolto, vi coccolano (sempre come lo farebbe un ligure eh?) e soprattutto non aspetterete. Certo che se invece andate su a Ferragosto, magari in 25 e poi rompete le palle con il servizio, i tempi e il secondo che era finito, e il casino degli altri (mai il vostro)… a calci giù nello Scrivia bisogna mandarvi! E invece magari scrivete anche recensioni da celebrolesi su quella merda che è ShitAdvisor…

Il Pian dei Grilli non è per tutti, per fortuna.

Per molti (mai troppi) ma non tutti; gli altri accomodarsi prego da Go vegan, Sushy mon amour, Light&happy, Shitaly etc etc…

La Rina si muove con l’abitudine di chi quei marmittoni li ha consumati per migliaia di km, appesa al suo carrellino, che l’aiuta a muoversi e le leva il peso dei piatti, e intanto che ti porge con grazia la fondina pendant con il sottopiatto (una finezza: rosa per le signore e grigio-azzurro per noi) controlla che tutto proceda. Poi si siede a desinare (quasi nulla) lasciando i figli a seguire una sala comunque mezza piena di domenica sera!

Per questo la Tolla va e viene, mi abbraccia e mi accarezza, vorrebbe mangiare con me ma poi scivola via, si siede con altri clienti poi scatta in cucina, passa, mi sorride. stappa una bottiglia, si siede di nuovo, “tanto a me i ravioli in brodo piacciono freddi” mente…

Il locale ha compiuto cent’anni nel 2013 e li porta bene, nel senso che li dimostra tutti, non ha nessuna voglia di stupire, di inseguire il trend, le mode, il vegan, il bio.

Qui semplicemente le cose si fanno in casa, da sempre e per sempre.

Si fa quel che si sa e si sa quello che si deve sapere: i ravioli (li ha fatti mia zia, 83 anni, come sempre), il pesto (cazzo sì! il Pesto, quello vero! Con tanto aglio, avete capito? Aglio! manica di analfabeti schizzinosi e molesti), il fritto, l’arrosto, l’insalata russa, le torte.

Io ovviamente non posso ordinare: la Tolla ha già dato disposizioni… però acchiappo le fave che Rina aveva sul tavolo e me le sbuccio mentre lei serafica mi porta un piatto intero di Sant’Olcese, uno dei salami mitici della mia infanzia. Si mangiava a Pasqua, stagionato e profumatissimo, lucido e umido, appunto con le fave; quasi mi commuovo a mangiarlo, mentre mi appare mia nonna paterna, Angelica, che mi faceva aprire le fave con lei in cucina. La Rina aggiunge con tono definitivo: “dovrebbe essere più stagionato ma se lo sono finito a pranzo”.

Il pranzo (a Genova così si chiama la cena) procede senza incertezze, tra un sugo consumato due giorni e le lasagne appena bollite e stese sul piatto fumante con abbondanti cucchiaiate di pesto, che così me le fa solo mio padre. Sono i gusti quello che conta, la memoria del gusto e della ricetta, l’abitudine a fare le cose sempre allo stesso modo, semplicemente perché così sono più buone.

Rifiuto il secondo (oppure crepo) e quindi per punizione ricevo due porzioni di torte (amaretti e crostata). Vino della casa, caffé, rifiuto la grappa per salvare la patente, ma intanto è come fosse il mio centesimo pranzo qui.

Mi bacio la Rina, abbraccio la Tolla che giura di venire a trovarmi ad Alba (e portarmi pure a New York a luglio…) e provo a pagare…

Esco accompagnato da un vaffanculo “se me lo richiedi, belin, non venire pure più”.

A Voltaggio tornerei indietro perché già mi manca.

Racconta la storia del locale: “Il 2 Gennaio del 1990 Nonna Vittoria ci lasciò, ma anche quell’ultimo giorno aveva preparato la pasta, i ravioli ed aveva bevuto i suoi 2 conseguenti bicchieri di Barbera, come ogni giorno, da sempre.”

Ma non è vero: Maria Vittoria è sempre lì.

Solo che si fa chiamare Tolla.

Senza fine.

 

May you stay forever young, may your heart always be joyful, may you build a ladder to the star and climb up every rung, may your song always be sung.

Tolla, you know I know. I know you know.

Never Ending Tour.