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anViagi 154L’Editoriale

Gemelli

Pietro Giovannini26 ottobre 2016

I have dined with kings, I’ve been offered wings
And I’ve never been too impressed.”

Bob Dylan, “Is your love in vain”

 

Un grande poeta è nato il 24 maggio del 1940.
È ebreo, i suoi genitori si chiamano Alexander e Maria e sono persone molto semplici. Il futuro poeta si è fatto notare fin da ragazzo e tutti credono molto nel suo talento, anche se a dire il vero, crescendo, non è che stia simpaticissimo al Potere.
La cosa però non lo scoraggia affatto, la sua fama infatti cresce: ha vent’anni e ormai lo conoscono in tutta la grande città, una capitale mondiale della cultura. Finché un giorno sparisce: ha cambiato il suo nome ed è diventato un Ebreo Errante. Però la sua fama ha continuato a crescere: è cresciuta così tanto che lui è diventato famoso in tutto il mondo, fino a ricevere l’onore più alto: il Premio Nobel per la Letteratura. Il nostro poeta usa indifferentemente l’inglese o la sua lingua madre e, detto per inciso, adora l’Italia.

 

Un altro grande poeta è nato il 24 maggio del 1941.
Anche lui è ebreo, figlio di Abraham e Beatrice, pure loro persone molto semplici. Anche lui si è fatto notare fin da ragazzo e a dirla tutta nemmeno lui è mai stato molto simpatico al Potere, ma comunque in città –una capitale mondiale della cultura– è ormai sulla bocca di tutti.
E si è cambiato il nome pure lui ed è diventato molto famoso pure lui, forse l’uomo più famoso del suo paese.
E anch’egli ha ricevuto l’onore del Premio Nobel.
Inutile aggiungere che da tantissimo tempo anche lui è senz’altro un Ebreo Errante.

 

Il primo poeta è nato a Leningrado in Unione Sovietica e si chiama Iosif Alexandrovich Brodskij.
È morto nel 1996 in esilio a New York e, non volendo più tornare nella sua città, riposa nel suo modello ideale: a Venezia, nell’isola di San Michele.

Il secondo poeta è nato a Duluth nel Minnesota (Stati Uniti d’America).
Per fortuna è vivo, e si fa chiamare Bob Dylan.

 

Ma Robert Allen Zimmerman (cioè il suo nome di battesimo) avrebbe potuto benissimo essere russo, se entrambi i suoi nonni non fossero emigrati in USA nel 1905 per sfuggire ai pogrom antisemiti: quelli paterni erano ebrei lituani, mentre quelli materni venivano da Odessa in Ucraina.

Io però non posso fare a meno di pensare che, nel bienno cruciale del 1965-66, quando Dylan stava letteralmente cambiando la musica e la società americana con la forza delle sue visioni, il suo gemello russo Brodskij se ne stava in galera, al confino nel gelo di Arkangelsk, con una ridicola condanna per parassitismo. Del resto, come disse la vedova di Osip Mandel’shtam (forse il più grande poeta russo del ‘900) la Russia era l’unico Stato in cui si uccideva per una poesia (e Mandel’shtam è morto infatti in un gulag nel 1938).

E quindi al giovane Brodskij gli era ancora andata bene.
Alla fine lo butteranno fuori dal paese nel 1972.
I russi spesso dicono che l’esilio è peggio della morte.

 

In ogni caso sono estremamente grato ai genitori di Abraham Zimmerman e Beatrice Goldstein per essere emigrati in America in quel lontano 1905, perché in caso contrario i loro figli forse non si sarebbero mai incontrati. E non solo perché in Russia avrebbero abitato a oltre 1500 km di distanza ma perché gli Ebrei del ghetto di Odessa, come tutti quelli lituani, vennero sterminati dai nazisti nel 1941. E se non ci fosse riuscito Hitler ci avrebbe con buona probabilità pensato il suo alter-ego georgiano, Josif Dugashvili detto Stalin.

In ogni caso, è estremamente probabile che pur se fossero sopravvissuti, il loro eventuale figlio/poeta sarebbe andato a spaccare legna nel circolo polare, invece che finire in testa alle classifiche mondiali.

Converrete con me che non è una differenza da poco, e non solo per la qualità delle classifiche di musica.

Ma non sto scrivendo di Brodskij solo perché è un gemello astrale di Dylan ma perché nel suo discorso di accettazione del Nobel inconsapevolmente lui ha dato la definizione migliore per quello che secondo me Dylan ha fatto in quanto artista, scrittore e poeta.

 

Il compito di un uomo, si tratti di uno scrittore o di un lettore, sta prima di tutto nel vivere una vita propria, di cui sia padrone, e non una vita imposta o prescritta dall’esterno. Un sistema politico è per definizione una forma del passato remoto che vorrebbe imporsi sul presente (e spesso anche sul futuro). E il pericolo per uno scrittore non è tanto la possibilità di una persecuzione da parte dello Stato quanto la possibilità di farsi ipnotizzare dallo fisionomia dello Stato. Perché uno Stato, la sua Etica per non dire della sua Estetica, sono sempre Ieri. La lingua e la letteratura sono invece sempre Oggi e spesso possono costituire il Domani. E ciò che rende singolare l’arte in generale e la letteratura in particolare è che, al contrario della vita, aborriscono la ripetizione. La ripetizione nell’arte infatti si chiama “cliché”. L’arte non è sinonimo di Storia, ma corre parallela alla Storia e può esistere solo creando continuamente una nuova Realtà Estetica.
Ecco perché si scopre così spesso che l’arte era in anticipo sul progresso, quindi in anticipo sulla Storia, perché lo strumento principale della Storia è proprio il cliché.
Invece ogni nuova realtà estetica ridefinisce la realtà etica dell’uomo, perché è l’Estetica la madre dell’Etica. La scelta estetica è una faccenda individuale e l’esperienza estetica è sempre un’esperienza privata. È per certi versi quello che chiamiamo Gusto e che costituisce, se non una garanzia, almeno una difesa contro l’asservimento, contro le sirene della demagogia, contro gli incantesimi politici. Non è che la Virtù sia una garanzia per la creazione di un capolavoro: è che il Male, e specialmente il male politico, è sempre un cattivo stilista. Quanto più è ricca l’esperienza estetica di un uomo tanto più netta sarà la sua scelta morale e tanto più libero, anche se non necessariamente più felice, sarà lui stesso.”

 

Sono profondamente convinto che la società in cui viviamo oggi, intendo la parte migliore della nostra società –e non solo quindi di quella americana– sia debitrice all’Estetica di Dylan e quindi all’Etica di Dylan, ovvero alla Poesia di Dylan più che a chiunque altro artista.

Proprio perché Dylan –come suggerisce Brodskij– non ha mai seguito nessun cliché, non ha mai obbedito a nessuna imposizione dall’esterno (compreso l’impegno politico delle protest songs) e non si è mai fatto incantare da nessuna sirena.

Lui era già Domani quando la società era appena Ieri, per cui inevitabilmente il suo Ieri (ma forse anche Altroieri) sono il nostro Oggi.
Ovvero quando la Storia del 2000 ha finalmente raggiunto l’Arte degli anni ‘60.

E questo se si ripercorre la carriera artistica di Dylan si capisce benissimo, anche senza aver letto Brodskij.
Ma io vi invito a leggere Brodskij perché tutto questo, e molto altro, lui lo sa dire meglio di chiunque.

 

 

Eдва чихни -/телеграмма летит из Швеции «Будь здоров»”

Appena starnutisci -/un telegramma vola dalla Svezia: «Salute»”

                                                                                                                                                              Da “Kellomäki” di Iosif Brodskij