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Al confine tra Albese ed Astigiano, in bilico tra le prime colline della Langa e le ultime rocche a picco sul fiume Tanaro, ecco Barbaresco, una delle perle delle Langhe, il paese che dà il suo nome ad uno dei più rinomati vini rossi del mondo.
Il modo migliore per apprezzare a fondo le bellezze naturali ed architettoniche della zona, nonchè le gioie della vista e del palato, è sicuramente quello di percorrerne le strade attraverso percorsi poco frequentati, spesso sconosciuti anche ai più affezionati turisti.
Attraversare le numerose borgate seminascoste, fare quattro passi tra le vigne ammirando ad ogni svolta uno scorcio diverso del Tanaro e della sua valle, fermarsi a degustare un bicchiere di vino in una cantina (avrete l’imbarazzo della scelta) visitando ad uno ad uno tutti i più celebri cru, ma anche sorprendersi scoprendo un’insospettabile pagina di storia antica: ecco cosa può offrirvi questo incantevole angolo della Bassa Langa, anche solo nello spazio di una giornata.
Uscendo da Alba da Porta Cherasca (oggi piazza Mons. Grassi), una delle porte d’ingresso di Alba Pompeia di cui restano pochi mattoni proprio in mezzo alla piazza, ci si inerpica per la collina di Altavilla (la zona residenziale più esclusiva della città) per scollinare poi nella valletta di Pertinace: una conca intatta che dopo il bivio di San Rocco e il ponte sul Seno d’Elvio si apre sull’incrocio di Pertinace. Qui a destra si sale a Treiso mentre tenendo la sinistra si prosegue per Barbaresco. Imperdibile l’omnibus dei Giordano con pompa di benzina, bar ed emporio - praticamente sempre aperto - un vero tuffo negli anni ‘50!
Nella stessa frazione le acque di due torrenti (il Chirella e il Seno d’Elvio) si uniscono per poi immettersi nel vicinissimo Tanaro: ed è proprio questo corso d’acqua il confine della zona docg del vino omonimo!
I toponimi Seno d’Elvio e Pertinace ci riportano ad una storia di quasi 2000 anni fa, quando un valente generale romano, nato proprio qui in quella barbarica silva che copriva le colline oggi vitate, assurse ai più alti onori possibili diventando nientemeno che Imperatore: si tratta dell’onestissimo Publio Elvio Pertinace che aveva servito sotto Marco Aurelio in buona parte delle province romane, dalla Britannia alla Siria, dall’Africa alla Dacia: regnò per appena 90 giorni, ucciso dai pretoriani proprio perché troppo probo. Fu il 19º Imperatore Romano e la sua morte aprì una sanguinosa guerra civile.
Dalla frazione Pertinace la strada sale maestosa e panoramica in mezzo a nomi leggendari di cascine e vigneti (Roncaglie, Roncagliette, Rocca, Berchialla) fino a raggiungere il crinale di Tre Stelle (frazione condivisa sempre tra Treiso e Barbaresco): qui, appena entrati nell’abitato, svoltate a sinistra, prendendo per via Rio Sordo; si tratta di una stradina che scende con molti tornanti, tra vigne, ciabòt (cioè capanni per gli attrezzi) e cantine, nella prima valle di Barbaresco, quella della Stazione. Giunti in fondo, oltrepassato il ponte sulla ferrovia (oggi in attesa di riprendere vita), date un’occhiata malinconica alla Stazione oggi abbandonata, ma un tempo vera Porta sul Mondo per la Langa chiusa e isolata, in cui Alba era il massimo traguardo e il fiume un baluardo insormontabile; la strada che corre in piano oltre la Stazione verso la cascina dei Pagliuzzi finisce sulle rive del fiume Tanaro, a poche centinaia di metri. Invece voi svoltate a destra in via della Stazione, dove la strada riprenderà inevitabilmente a salire, costeggiando l’anfiteatro naturale della collina Martinenga (uno degli scenari più belli delle Langhe) e quindi la piccola borgata degli Asili. Giunti alla cima della collina, vi trovate sul Bricco del Fasèt, altra zona di particolare pregio vinicolo: qui sorge la piccola cappella di San Teobaldo, in prossimità della quale si diramano alcune strade secondarie (più o meno percorribili in auto) ideali per una passeggiata tra vigne e ciabòt. Ma soprattutto dal Fasèt ci appare ormai vicinissimo il paese di Barbaresco con la sua rossa torre. La strada costeggia quindi l’ampia valle dei Pajé da dove -volendo- si può ridiscendere al Tanaro (seguendo le indicazioni Secondine-Ghiga). Ma siamo ormai entrati in Barbaresco: il paese è disteso allungato verso il poggio dove sorgono gli edifici più antichi e proprio sull’estremo margine della rocca a strapiombo sul Tanaro spicca l’inconfondibile Torre.
Nella prima piazzetta (quella del Municipio), all’interno di una graziosa chiesa, la ex-Confraternita di San Donato, sorge l’Enoteca Regionale del Barbaresco, l’istituzione che meglio rappresenta questo vino e tutti i suoi produttori.
Potete posteggiare qui, per percorrere poi la via principale, via Torino, a piedi. Sulla vostra sinistra non mancherete di notare la mole imponente del Castello: un palazzo barocco edificato a inizio XVIII sec. dagli allora signori del paese, i Galleani di Canelli, ingentilito da una loggia a due piani con annesso parco, realizzato -pare- su disegni dello Juvarra; il Castello, completamente restaurato, è oggi di proprietà della Cantina Gaja che ha collegato, attraverso un suggestivo tunnel che sbocca nella grande cisterna sotto il parco, le proprie cantine a quelle del palazzo dove nacque questo vino. Infatti il padre del Barbaresco, il prof. Domizio Cavazza, iniziò la produzione di un nebbiolo che rivendicava il proprio nome di origine in etichetta proprio in questo Castello, dove fondò la prima cantina Sociale, nel 1894.
Via Torino procede diritta tra le basse abitazioni del paese per aprirsi nella piazza della parrocchiale: qui un tempo, al posto della Parrocchiale barocca (edificata nel 1728), sorgeva il castrum di difesa che cingeva l’intero poggio con alte mura; fino al 1200 c’erano almeno altre due Torri a completare questa cinta, rendendola inespugnabile (pare che l’intero complesso fosse sorto in seguito alle scorrerie dei Burgundi e dei Goti del 650 d.c. nella pianura sottostante). La Rocca di Barbaresco, in seguito, fu pegno della pace del 1226 tra Carlo d’Angiò ed Asti, per passare poi come feudo, alla fine del ‘500, ai Conti Belli di Alba.
La Torre che ancora svetta davanti a voi è un’opera davvero imponente: di probabile origine romana, è alta 30 metri, le sue mura sono spesse tre metri fino a metà torre, poi si “riducono” ad un metro e mezzo; l’unico ingresso è posto a 13,5 metri d’altezza sul lato a strapiombo. All’interno c’è quindi un unico grande pozzo centrale (usato un tempo probabilmente come magazzino e ultima difesa) che arriva sino al piano d’ingresso, completato poi da due vasti stanzoni con le uniche luci della costruzione: due strette feritoie ad est, una finestra a sud e due ovali ad ovest. La Torre era ornata sulla facciata da una meridiana con lo stemma dei Savoia, di cui rimangono le tracce, e da un tetto, eliminato nel 1821 per accendere un falò sulla sommità, in occasione dell’arrivo del Re Vittorio Emanuele I a Govone; cosicchè la Torre subì poi maggiormente le ingiurie del tempo. Completamente restaurata, verrà aperta nella primavera del 2015 e sarà perfettamente agibile grazie a due ascensori (uno esterno, realizzato a mo’ di torre d’assedio, e uno interno in vetro che sbuca direttamente sulla grande terrazza panoramica. La Torre ospiterà un museo multimediale sulla storia del Barbaresco e una avveniristica Sala di Analisi Sensoriale per imparare ad usare razionalmente tutti i nostri sensi.
Chi vorrà soffermarsi ulteriormente per le vie del paese, avrà anche la possibilità di togliersi qualche sfizio enogastronomico, magari tra le cantine che ammiccano da ogni angolo o delle sempre più numerose insegne di buona cucina di cui il paese è ricco. Riprendete la strada che esce dal paese verso sinistra, e svoltate ancora a sinistra al vicino incrocio; sul crinale, proprio prima della discesa verso Neive, prendete la strada (sempre a sinistra) per località Casotto-Piana: la stradina scende ripida costeggiando l’ultima rocca, immersa tra i vigneti di nebbiolo e i vicini boschi. Giungerete così sulla provinciale per Neive (girate a destra) da dove, dopo circa un chilometro potrete riprendere a destra la salita per Barbaresco. Imboccatela, e svoltate a sinistra subito dopo il ponticello (direzione Montefico-Morassino), percorrendo l’altro versante della stessa collina, quello che si affaccia sulla ferrovia e sulla vicina collina di Neive. Giunti in cima vi riallacciate alla strada principale: svoltate a sinistra, per ritornare a Tre Stelle (direzione Treiso-Alba); lungo il ritorno vi imbatterete ancora in un paio di borgate caratteristiche del circondario: Cottà e Rabajà. Un’escursione piacevole (da fare a piedi o in bici) è quella che da Cottà scende fino a Tetti: qui la strada diventa sterrata e si perde nei campi sottostanti in tanti diversi sentieri.
Tornando indietro da Tre Stelle in frazione Pertinace, seguendo la strada che riporta verso Alba si incontra, subito dopo la già citata pompa di benzina, l'incrocio che verso destra indirizza alla capitale delle Langhe e verso sinistra conduce al centro di Treiso.
Questo paese è comune da pochi anni. Ha conquistato l'autonomia nel 1957, prima era frazione di Barbaresco, ma le carte amministrative hanno importanza relativa in questo caso. Perché Treiso si è sempre percepita come comunità cosa che capita anche a tantissime frazioni nelle Langhe, non poche volte divise fra più Comuni dal punto di vista amministrativo. Per capirlo basta arrivare nella piazza centrale del paese, appena superata la curva di scollinamento della strada che ci ha portato qui. In questa piazza centrale c'è ogni possibile importante riferimento per la comunità: la chiesa parrocchiale sulla sinistra realizzata in stile Barocco nel XVII secolo, le scuole elementari di fronte; a destra la confraternita di San Bernardino da Siena, ora utilizzata come salone polifunzionale e, vicino, il municipio.
Dalla piazza centrale si può svoltare a sinistra per accedere a un'altra piazza adibita a parcheggio (per girare il paese basta andare a piedi, vale la pena lasciare qui la macchina). Da qui si può ammirare uno splendido colpo d'occhio sulle Langhe che da Barbaresco porta a perdersi verso il Roero fino alle Alpi (se avete la fortuna di trovare un cielo sereno e molto pulito).
Il centro del paese è indubbiamente la chiesa parrocchiale. Un tempo vi sorgeva una chiesa campestre (così viene definita in un documento del 1325) dedicata al culto di San Lorenzo. Quella che si può vedere oggi è stata progettata fra il 1746 e il 1751 e benedetta nel 1765 con l'intitolazione al culto di Maria Vergine Assunta. La struttura è imponente e all'interno contiene numerose opere pittoriche e scultoree realizzate negli anni immediatamente successivi alla benedizione. Anche il campanile è stato completato nel 1767. Lo stile architettonico è il Barocco piemontese molto diffuso nei paesi della zona, temperato da linee più classicheggianti; la facciata è in mattoni.
Davanti alla parrocchiale c'è la confraternita dedicata a San Bernardino da Siena, un tempo sede della congregazione dei Battuti bianchi. E' stata recentemente restaurata e trasformata in salone polifunzionale intitolato a don Giuseppe Flori, parroco del paese fra il 1950 e il 1998 che la comunità ricorda come uno dei punti di riferimento per la sua crescita sociale, culturale e economica.
Dalla piazza centrale si può anche seguire la strada centrale che porta verso le zone più alte del paese. Non appena le case lasciano spazio alla vista si riesce ad ammirare sempre uno splendido paesaggio. Il nostro consiglio è quello di seguire due strade, una passa a fianco del municipio, sul lato sinistro. Proseguendo fino a uscire dal borgo e girando verso destra si incontra prima il piccolo cimitero (che offre nuovamente un interessante prospettiva panoramica) e poi sulla sinistra, in mezzo alle colline vitate lo straordinario fenomeno naturale della Rocca dei sette fratelli. Si tratta di una voragine apparentemente innaturale, estranea al contesto circostante. Sembra un enorme burrone scavato fra le colline, frutto invece dell'erosione dell'acqua su un terreno fragile. Da questo lato la rocca si vede praticamente dalla sommità (qui si incrocia anche la strada romantica delle Langhe e del Roero), evidenziandone la posizione curiosa in mezzo alle colline. Per ammirarla invece al suo interno, dal basso, è consigliabile tornare nella piazza centrale del paese, riprendere la strada verso Alba (possibilmente a piedi) e appena usciti dall'abitato, in corrispondenza della curva invece di seguire la strada principale prenderne una piccola che va verso destra e costeggia il crinale della collina. È poco frequentata dalle auto, quindi tanto vale fare una passeggiata molto comoda che ci immerge fra boschi e filari, scendendo a valle. A un certo punto si trova la Rocca sulla sinistra e la si potrà ammirare in tutta la sua imponenza. Un sentiero di campagna indicato da una palina indica la direzione da prendere, di fianco a una vigna per raggiungere la sua base.
Dopo aver tanto camminato potrebbe sorgere spontaneo un po' d'appetito. A Treiso c'è solo l'imbarazzo della scelta, uno dei ristoranti più rinomati è La Ciau del Tornavento, ricavato nell'ex asilo, condotto dallo chef stellato Maurilio Garola. Ma anche gli altri si difendono egregiamente. Naturalmente il pasto va accompagnato rigorosamente da un bicchiere di Barbaresco, visto che il vino d'eccellenza della zona, ma il paese propone anche un ottimo Dolcetto.