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La (triste?) regola delle tre B.
Per avere successo servono tre cose: Bellezza, Baldanza e Banalità.
Per successo intendo il maggior apprezzamento presso il maggior numero di persone.
Mi riferisco specialmente all’essere umano e all’ambito relazionale, ma intravedo buone possibilità di applicare la stessa regola a prodotti, manufatti, creazioni, in virtù del lato comunicativo insito nella regola stessa, sebbene sia difficile distinguere ciò che è qualità per gli altri e ciò che è proprietà in sé.
Non si parla di valori, né di disvalori, quanto di modalità della forma.
Per Bellezza intendo, banalmente, la concordanza con i canoni estetici del momento e dell’ambito culturale frequentato, nulla che trascenda un giudizio condivisibile a posteriori.
Per Baldanza intendo quella forza d’animo e quegli atteggiamenti che portano a imporsi naturalmente sugli altri, con il correlato di autostima, ma anche tracotanza, aggressività e presunzione.
Per Banalità intendo l’arrendevolezza ai luoghi comuni, alle mode, al lato più semplice delle cose.
Occorre avere almeno due di queste caratteristiche, nelle loro svariate combinazioni, e la terza può essere abbuonata o addirittura regalata dal mondo.
Un uomo bello e baldanzoso piacerà alle donne per l’ovvio richiamo estetico e per la forza dimostrata e talvolta la sua vita di successi potrà portarlo a una certa banalità di pensiero.
Un uomo bello e banale piacerà anche per la semplicità con cui si pone, per la mancanza di quella difformità che desterebbe allarme e genererebbe sospetto e rifiuto. È plausibile che presto o tardi sviluppi anche una certa baldanza.
Un uomo non bello ma baldanzoso e banale, farà conquiste amorose a dispetto del difetto iniziale, perché saprà farsi accettare dal gruppo e dare un’idea protettiva e vincente di sé.
A volte il maschio alfa è quello che semplicemente abbaia più forte, almeno per qualche tempo. Il populismo di certi politici di ampi consensi pare suggerire che questo caso si possa estendere drammaticamente dai cani selvatici agli uomini e dalle conquiste di letto alle istituzioni democratiche.
Certo, parlando così, pare evidente che il bacio della banalità sia in fin dei conti una grazia desiderabile.
La bellezza c’è e si difende, anche nel caso dei gloriosi insuccessi del sublime, ma la maggior spendibilità è dovuta alla semplicità della forma mediante cui essa viene comunicata. Certo, la semplicità a volte è un approdo faticoso, nulla che abbia a che fare con la mancanza di complessità, ma per il fruitore generico avrà comunque il sapore della banalità, perciò la considereremo nello stesso ambito, come proprietà di un messaggio o di un individuo di essere facilmente compreso.
Vale anche per un libro o un film, almeno se si considerano le classifiche dei maggiori incassi di tutti i tempi: di rado un’opera complicata (sia realmente raffinata o solamente astrusa) viene incoronata dalla definizione di best seller o blockbuster.
Può la bellezza imporsi, allorché risulti riscontrabile e condivisibile?
Sì, ma la cosa sarà tanto più evidente quanto più essa si troverà accompagnata da uno degli altri due elementi, come una certa prepotenza della proposta e una più semplice fruibilità.
Oppure, gli altri due ingredienti di questa ricetta potranno bastare da soli, e sostituirsi ad essa.
Così vale per la musica, maggiormente quando è di facile consumo.
Ma vale anche nell’ambito delle nicchie culturali che si vorrebbero illuminate: nell’arte visiva o concettuale che sia, le quotazioni di certe trovate dal dubbio valore estetico e teorico riescono talvolta a sopravanzare quelle di capolavori del passato (si parla di valore economico e non di valore in senso assoluto, ovviamente).
E anche qui, sebbene questa possa essere considerata una forzatura, occorre almeno considerare l’idea che si stia prendendo in esame solo di ciò che è emerso e che almeno teoricamente si debba pensare che possano esser esistite opere sommerse e disperse per effetto negativo della regola delle tre B.
Anche tra le opere dei geni innegabili e riconosciuti, quelle che hanno incontrato maggiore favore da parte dei molti sostenitori sono talvolta le più banali, o più veementi: è molto difficile immaginare di trasferire una qualità come la baldanza a un lavoro artistico, ma possiamo declinarla come risolutezza dell’esposizione di questo o quel messaggio, come sicurezza di stile, provocatorietà.
Ma torniamo all’umano.
Questi inizi nella sfera erotica e sentimentale si irradiano poi al successo sociale a tutto tondo, dove naturalmente entrano altri elementi.
A dispetto dei luoghi comuni più rassicuranti, già inizialmente cose come intelligenza, cultura, simpatia e roba di cui si blatera da sempre sono in realtà quasi fuori dai giochi.
L’unica intelligenza richiesta è quella di credersi comunque vincenti, cioè una forma di stupidità.
La stessa che ci grazia con la banalità necessaria per condividere la visione del mondo dei più, per apparire normali.
In fondo si sa bene che le cose più commerciali, per portatrici che possano essere di autentica bellezza (è difficilissimo pensare che la bellezza possa coesistere con la banalità, ma di certo può coesistere con la semplicità, che ne è la versione accettabilmente positiva). L’individuo banale è facilmente accontentabile e accontenta facilmente gli altri essendo ricco della medesima moneta.
Si sa che fine facciano i profeti e i poeti troppo ostentatamente difformi, si sa che tutta l’eccentricità ammessa è quella di portare l’orologio al polso destro. Occorre conformarsi, o sarà una lotta persa e non sempre onorevole.
Che poi la baldanza sia spesso antipatica e la banalità venga considerata un disvalore, be’, non è che una tragica complicazione.
Per chi non ha il dono di quella visione innata e di quella adattabilità, il mondo non è che una tragica parodia di mondo, dove gli idioti scrivono, gli stonati cantano, gli spacconi senza qualità chiavano e i pagliacci governano.
In cui sono richieste prestazioni mediocri e riconoscibili menzogne, in onore di un livellamento che la natura ha disposto.
Certo, ci si oppone, ci si sogna ancora più diversi, si fa una bandiera con la propria inadeguatezza, si cercano dei modelli devianti e ci si vanta persino di differenziarsi dal volgo semplice e arrogante.
Questo è ciò che crea i perdenti, molto più dei difetti fisici. È un altro tipo di presunzione, in fondo, ma mal gestito.
Così come l’aggressività di chi si sente rifiutato non è che una metastasi dello stesso tumore.
Detto questo, non ci si può che augurare di condividere il più possibile i gusti del gruppo, di indossare le stesse scarpe e di avere la fortuna di portarle bene. La più grande fortuna sulla terra è quella di amare sinceramente ciò che gli altri amano.
Ed è il modo più sicuro per essere amati.
Credo nella validità di questa intuizione proprio in virtù della sua banalità, e confido nella sua condivisibilità anche grazie alla semplificazione baldanzosa di cui si fa portatrice.
Classifiche di vendita, rotocalchi, gossip, spoglio dei voti ed echi di fama sono dimostrazioni cui non si può opporre una sdegnata noncuranza, se ci si interroga sul mistero del successo.
Vogliamo tornare a un linguaggio più spendibile nei bar del mondo, con esempi facili che ci mettano al riparo dai flutti del mare magnum di una presuntuosa scientificità?
Ebbene, il figo della mia scuola non era un poeta, un intellettuale e neanche un individuo molto complesso. Era belloccio, questo sì.
La figa della scuola non differiva,e ne confermo la desiderabilità.
In fondo, non c’è nulla di male ad ammettere che ci piace la bellezza.
Più grave è ascriverle corrispondenze con una presunta profondità…
Chi ha mai chiesto ad un tramonto di essere geniale? E perché allora chiedere a un paio di chiappe di dimostrarsi intelligenti?
La piacevolezza della superficie è tanto per gli esteti che per i superficiali.
Viva la bellezza nelle sue svariate forme.
È molto meno disdicevole ammettere l’attrattiva di un muscolo o di una ghiandola mammaria (per non parlare del profilo, della forma del naso e degli zigomi), piuttosto che finire a inventarsi di apprezzare questo o quel calciatore per l’innata simpatia, questa o quella playmate per l’innegabile personalità. O per l’eleganza nell’accostamento dei colori tra capigliatura e pelo pubico.
Che poi ci siano stati divi e dive che avevano quel qualcosa in più, oltre all’aspetto, è innegabile, sebbene sia possibile immaginare che la loro successiva iconizzazione abbia potuto giovarsi di una inevitabile semplificazione che ha molto a che fare con la banalizzazione in generale.
Oh, ma prevedo cori indignati da parte di belli incompresi e di brutti compresi.
Però alzi la mano chi non ha mai scambiato il colore degli occhi per lo sguardo. Chi non ha avuto un poster di qualche vip discinto da guardare con segreta ma sfacciata cupidigia.
L’animale che è in noi ama le forme. E la bellezza non va in fondo giustificata. Al massimo, accompagnata dalle sue compagne della regola.
Qui si esce dal seminato, si divaga, si perde il filo, ma ci si sfoga persino un poco.
Posso essere messo al bando se dichiaro che preferirei mezza giornata con Ornella Muti che un giorno intero con Emily Dickinson?
Tant’è: anche Leopardi amava la figa. Lo ha pure detto: “bella, e bella tanto”.
E non potendo essere bello, creava bellezza.
Non c’è proprio nulla di strano. Gli avrebbe forse giovato una minor ricercatezza e una maggior somiglianza stilistica o contenutistica coi tanto odiati calamastri di successo all’epoca?
O ha vinto, nel tempo, e possiamo considerarlo un esempio di bellezza senza baldanza e senza banalità?
Be’, pare che complessivamente Fabio Volo -che non sarà mai un classico- abbia venduto di più, almeno in un periodo minore e durante la sua vita terrena di Leopardi (tutti studiamo Leopardi a scuola, non tutti possediamo lo Zibaldone).
Ecco, questo cercavo: Fabio Volo!
L’esempio più banale di come essere banali e baldanzosamente orgogliosi dei propri limiti conduca al successo… e i suoi sostenitori sostengono che i suoi libri siano BELLI. Anzi, piace lui stesso, alle donne, pur non essendo un adone!
Di certo non diverrà un classico, sarà un successo effimero, ma anche contare troppo sui posteri è rischioso.
Ci saranno altri Fabio Volo, altri One Direction, altri Amici di altre De Filippi.
Perché loro sanno come si fa, magari anche senza rendersene conto. Il miglior comunicatore non può permettersi di essere troppo fine.
Nel mio cortile suona un Tiziano Ferro a tutto volume. Mi difendo con un Tom Waits. Ma di quelli dove abbaia meno.
E penso: persino lui è costretto ad amplificare il lato in fondo meno interessante del suo personaggio.
Se è per questo, Springsteen è conosciuto per Born in the U.S.A. più che per Nebraska.
L’ora del Lupo è tra i film meno noti di Bergman. Titanic è tra i film più visti di tutti i tempi.
Elem Klimov non se lo è mai cagato nessuno.
Briatore ha avuto molte belle donne, anche se non pare un acuto umorista.
E alla fine, se esiterà mai una verità, sarà sicuramente una mezza idiozia.
Questa è la lectio facilior del mondo.
Ps: Ornella Muti è invecchiata male.