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Se cerco le parole “an viagi” su Google appaiono al primo posto il brano omonimo dei Mau Mau e al secondo “anViagi - vini, miti e strade del Piemonte” e mai il web fu più veritiero nel cogliere l’essenza di due elementi apparentemente distanti, un gruppo musicale e una rivista sulla cultura enogastronomica (ma non solo) di un territorio, ma al tempo stesso compenetrati l’uno nell’altro.
Fui orgoglioso quando Pietro scelse quel titolo per dare il nome alla sua rivista e sono ancora più felice ora che, dopo un paio d’anni di sospensione sabbatica, anViagi torna a essere presente come megafono di un mondo fantastico, mitizzato e maledetto, contraddittorio e magico quali sono le Langhe.
Ci separano solo 50 chilometri ma per noi, “gente di Torino”, per me, le Langhe sono state una terra lontana da conquistare a poco a poco negli anni, come i territori fantastici del Signore degli Anelli:
“…superati i bastioni del mago Merlin di Moncalieri raggiungerai la terra dei peperoni poi, dopo una serie di trappole pericolosissime fatte da scatole magiche che catturano la tua immagine e quella del tuo mezzo, dopo essere sfuggito alla mannaia di esattori assatanati, alle tentazioni delle alchimie segrete del cioccolato mescolato alle nocciole, inizierai a vedere le terre scendere e salire, cambiare di colore, luce, odori. A quel punto sarai entrato nel Regno di Langhe e Roero, a quel punto potrai perderti senza timore, perché prima o poi ti ritroverai…”
A partire dai primi anni ’80 la musica è stato il mio alibi per bazzicare questa porzione di Provincia Granda: prima le prove in una casa di Marene, proprio vicino al castello, poi le gite nel Paese dei Balocchi dei musicisti, Merula, e poi i primi concerti, le mangiate e le bevute da Gemma a Roddino durante il festival, Matarìa ‘d Langa, che in qualche maniera si ispirava anch’esso al nuovo delirio musicale che i Mau Mau scatenarono nella prima metà degli anni ’90. Poi vennero le notti di Cantè ij oeuv e le scorribande con Carlin Petrini, e nacque Pueblos de Langa, una canzone pubblicata (non a caso) nell’album Eldorado: “cow boys chërsù a tome e bote stope…” e “ahi chicos de Langa, ahi ahi ahi ahi…” sono parole che si possono riferire solo a un luogo con un immaginario così forte da far dimenticare tutto il resto, o quasi.
Infatti mi porterò nella tomba la memoria di un tamagnon carico di gente e musicisti (tutti onestamente ubriachi) durante un’eclissi di luna così come il profumo del Barolo che, anche se lo bevessi in mezzo al Sahara, mi sembrerebbe di stare sotto il maestoso cedro del Libano, venerata torre vegetale, che domina una contrada solitaria di La Morra.