Tu sei qui
Un passo falso e cadiamo giù nel buco
Sembra non occorra nemmeno un po' di tempo
Una temporanea assenza di ragione,
che lega una vita ad una vita
L'unico rimpianto che non dimenticherai mai
Non si dormirà qui dentro, stanotte
Quando i Pink Floyd, dopo molti anni, ritornarono a pubblicare un album (ma senza Waters) con una buona dose di humor inglese lo intitolarono: una temporanea assenza di ragione.
I versi di “One slip” li trovo particolarmente adatti anche alla nostra di “temporanea sospensione della ragione”.
Mi permetto però un’inversione.
Forse è stato da folli realizzare per 14 anni anViagi e l’unico momento di buon senso è stato sospendere la pubblicazione ad ottobre del 2011.
E allora oggi, nel 2014, è ancora più folle ricominciare.
In questo caso potremmo dire allora “a momentary lapse of madness” e richiamarci così allo stay hungry, stay foolish che, dopo la morte di Steve Jobs, ha fatto il giro del mondo (spesso tra persone che manco sapevano dove fosse la Stanford University).
Ma io invece, parlando di perdita della ragione (seppur temporanea), voglio intendere proprio i 26 mesi in cui anViagi è rimasto in un polmone d’acciaio!
Perché la vera follia è stata quella: arrendersi.
Arrendersi ai conti in rosso, alla miopia di istituzioni pubbliche teoricamente deputate a promuovere il turismo, all’ignoranza di gran parte del mondo enogastronomico anche locale, a “pizzicagnoli e notai coi cuori a forma di salvadanai” (come li avrebbe definiti De André), all’avidità di banche succhia-sangue e alla stupidità di politici di mezza tacca.
Insomma: arrendersi alla bruttezza del mondo.
Quando invece nel 1997 “anViagi” era nato proprio per narrarne la bellezza.
All’epoca promisi che volevamo raccontare le colline ma soprattutto il vuoto tra le colline. E che sarebbe stato un viaggio stupendo.
Lo penso ancora, malgrado tutto.
Per questo siamo di nuovo qui, di nuovo in viaggio: perché -come canticchia Bilbo Baggins in uno dei miei libri preferiti- the road goes ever on, "la strada va sempre avanti".
Ma questa piccola pausa di riflessione, questi 26 mesi di riposo dopo una corsa infinita, ci sono serviti anche loro.
Ci siamo guardati intorno e non abbiamo visto nulla come anViagi.
Solo tanti blog improvvisati, tanti redazionali finti, tanta spocchia e così poca conoscenza, un infinito “selfie” di gente che mangia schifezze e ne parla perché è “trendy” farlo. Uso anglicismi apposta perché l’italiano non ha parole per definire cose come il food porn, ovvero la maniacale demenza di fotografare quello che si mangia e condividerlo on line in una sorta di onanismo esibizionista del gesto che, per sua stessa natura, deve prescindere dalla funzione: un cibo lo si mangia, non lo si guarda.
L'utilizzo dei sensi nel cibo è stata una delle prime cose che mi ha insegnato mio padre… avevo 8 anni al massimo: “Pietro ricordati sempre: non si mangia con le mani, ma nemmeno con gli occhi! Si usano il naso e la bocca, il resto non conta!”.
L’italiano che, essendo una lingua antica, non ha una parola per descrivere tre macchiette che fanno avanspettacolo spacciandola per cucina… e infatti si dice “reality” e “masterchef”, in un tripudio di audience che mette tristezza e anche un po’ di paura, specie se spopola in un Paese che ha sempre fatto della propria cultura gastronomica innanzitutto un fatto privato di famiglia, di nonne che cucinavano il meglio per i nipoti, di ricettari casalinghi tramandati di suocera in nuora. Un Paese che ha considerato l’arte del mangiar bene sempre in primis come un tratto personale e quotidiano; e quindi un fatto talmente ovvio che quasi non è il caso di dirlo (o peggio filmarlo e fotografarlo).
È vero: come dicono gli americani (con invidia, statene certi) “solo gli italiani possono restare per quattro ore a tavola, sempre e solo parlando di cibo”!
Ma non per ostentarlo, non per vantarsene, non per moda.
Ma appunto solo per piacere.
Ecco, anViagi racconterà ancora la bellezza e il piacere in un mondo sguaiato che urla invece la finzione, inseguendo quel quarto d’ora di celebrità promesso a chiunque quarant’anni fa da Warhol e garantito oggi da Instagram, Facebook, blogger e reality in marcia compatta verso l’abisso dei sensi e del gusto.
E ancora una volta: non si dormirà qui dentro stanotte.