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anViagi 133L’Editoriale

Polvere

Pietro GiovanniniOriginariamente pubblicato nel settembre 2010

E così il 22 agosto ci ha lasciato anche Lidia Alciati, 80 anni appena compiuti, decana e capostipite della grande cucina piemontese e astigiana.

L’ho vista lunedì –finalmente serena– nella camera mortuaria del nuovissimo ospedale di Asti e quasi non la riconoscevo con i capelli lisci e il volto provato.

Oltre due mesi di ospedale non se li meritava proprio Lidia, ma il destino di ognuno di noi è oscuro e imprevedibile e spero che gli spazi profumati dell’eternità l’abbiano ormai accolta assieme al suo Guido.

Quello che si potrebbe evitare anzi che, in una società minimamente evoluta, si dovrebbe evitare è lo sconcio delle camere ardenti delle ASL: una vergogna, a cui oltretutto non ci si può sottrarre, stante l’attuale ridicola legge sul trasporto dei morti.

Se si muore in ospedale non c’è alternativa alla camera ardente delle nostre meravigliose ed efficienti strutture ospedaliere! E quindi ecco a voi stanze piccole, interrate, umide e squallide, pareti bianche, polvere e luci al neon, dove i morti sono disposti a coppie (!) e quando c’è affollamento vengono lasciati in fila –come caduti del Vietnam– sui carrelli e le barelle nel disinteresse generale; qui,dove solo la mano amorevole di un parente ha portato un fiore, aggiustato una ciocca di capelli, legato un rosario.

È vero davanti alla morte siamo tutti uguali ma questo non significa che si debba ricevere tutti lo stesso pessimo trattamento. Piuttosto si dovrebbe avere tutti lo stesso ottimo trattamento!

Alla fine è solo una questione di sensibilità, ma negli ospedali italiani regnano invece la burocrazia, la routine, il turno… e nel progettare il nuovissimo “Cardinal Massaia” i nostri manager avranno pensato che gli spazi, gli arredi e la privacy delle camere ardenti fossero soldi sprecati, che dopotutto i morti non protestano e che quei soldi si potevano meglio investire in immagine: nella hall, nelle segreterie e negli uffici dei dirigenti stessi. È uno scandalo quotidiano che si ripete e mi indigna ogni volta che purtroppo mi tocca un obitorio dello Stato italiano.

Accanto a Lidia, in batteria, ci sono un distinto signore con la barba che sembra un po’ un rabbino, una povera donna a cui ancora non è stata data nemmeno una bara, una posizione, una pettinata, un fiore… e ancora altre tre salme. Non fa caldo (meno male, ad Alba ad es. manca pure l’aria condizionata!) ma sembra di soffocare lo stesso.

Noi uomini ci teniamo di meno, ma penso a Lidia, a mia nonna, alle nonne e alle madri dei miei amici, affastellate tutte assieme senza un minimo di quella riservatezza che albergava nelle loro case, dove si entra di rado e mai nelle camere da letto se non proprio per onorare un morto, dove le donne dopo una certa età si mostrano meno, ma sono sempre fresche di pennoira, incipriate, con gli orecchini e una collana…

Mi ha fatto male trovarla così Lidia e sono stato contento di spingere –assieme con Piero Nebiolo– la sua bara fuori da lì, quando la burocrazia finalmente le ha assegnato una camera doppia.

 

Quando avevo da poco iniziato aV (e Piero aveva ancora il tempo di scrivermi dei pezzi) diciamo il 1998-99, ero ancora più in ritardo, stanco e caotico di oggi.

Arrivavo nel loro ristorante di Costigliole trafelato il sabato sera, per consegnare il nuovo numero (la distribuzione di AV è sempre stata una croce) mentre loro avevano il locale pieno. Scendevo le scale a coppie e li appoggiavo sulla scrivania, salutando al volo Andrea o Piero che sfrecciavano coperti di piatti. Ma se c’era un po’ di pace, chiedevo di Lidia che a quell’ora non era più in cucina (ormai affidata con fiducia a Ugo) ma in una stanzetta discosta oltre la scrivania. Piero mi apriva la porta e la trovavi lì dietro, seduta in poltrona a guardarsi un po’ di televisione. Restavo magari a salutarla per cinque minuti… poi dovevo fuggire – sempre in ritardo.

Una volta Piero mi guarda e mi fa “Ma tu hai mangiato?” (all’epoca ero magro, sbattuto e con le occhiaie…come adesso insomma, tranne il magro!), “Non ancora, perché? Mica vorrai…” ma non mi ha dato il tempo e ha posato sul tavolo di servizio tovaglia, piatti, posate e bicchiere, lasciandomi con uno “Smettila!”. Poco dopo tornava con un peperone farcito e quindi con gli immancabili, buonissimi plin.

Lidia ridacchiava un “pòr matòt” affondata in poltrona, con Pippo Baudo in sottofondo, e io mi sono sentito molto felice.
Ciao Lidia.