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In ricordo di Gianni Gallo
Il cuore generoso e puro di Gianni Gallo, inimitabile incisore, si è fermato dopo 75 anni di straordinario servizio.
Io l’ho incontrato per la prima volta a novembre del 1997, in casa sua a Dogliani dove bastava entrare dalla porta sempre aperta, per essere accolti da amici. Era sul divano, circondato dal suo disordine perenne, col barbone bianco e i capelli scarmigliati, e restammo a chiacchierare tutto il pomeriggio, in cui fece di tutto per dissuadermi dallo scrivere di lui. Mai che rispondesse a una domanda diretta: ma bastava parlare d’altro perché iniziasse a parlare di sé e del suo mondo, in un monologo fluviale, pieno di ammiccamenti, battute e sberleffi per tutti. Era egocentrico e umile, logico e matto, menefreghista e appassionato del mondo, terrorista e incapace di far male a una mosca. Aveva un modo particolare di parlarti, di metterti a parte delle sue idee o dei suoi racconti, come se tu e lui foste gli unici in grado di apprezzare (e dunque degni di conoscere) la tal cosa. Era un incantatore nato.
Ma poi era ovviamente soprattutto un artista sopraffino, con un segno meraviglioso di una pulizia e di una precisione commuoventi.
Come commuovente è stato il piccolo ma autentico gesto di Milena e Aldo Vajra appena l’anno scorso: una festa a sorpresa, una mostra delle sue opere raccolte tra i suoi collezionisti privati, un gruppo di persone in festa, tra cui tutti i suoi amici che qui non cito apposta (impossibile ricordarseli tutti); Gianni sembrava quasi frastornato, si era seduto in un angolo con l’immancabile mozzicone tra le dita mentre firmava (!) i cataloghi e sorseggiava un bicchiere. Mi ha fatto quache battuta caustica, in linea col suo personaggio; poi gli ho stretto la mano: aveva una stretta ancora forte, legnosa quasi… e avrei voluto abbracciarlo ma (come dice Paolo Conte) non mi veniva una scusa.
Del lavoro di Gianni per fortuna restano innumerevoli testimonianze su tutte le Langhe, nelle cantine dei mille amici che ha coltivato con passione tutta la vita, nelle etichette dei vini, delle grappe, nelle bornìe e negli aceti di Cesare, che ancora e sempre ci parleranno di lui nei nostri momenti di gioia (e cioè a tavola: celebrando con gaudio il grandioso dono della vita). E saranno ricordi allegri di risate, sorrisi complici, grandi feste e irriducibile voglia di vivere. E sono sicuro che va bene così.
Gianni, grazie a Beppe Orsini, mi lascia un aforisma bellissimo in cui c’è tutta la sua geniale ironia:
“Non venite a raccontarci la Storia del Lupo. L’abbiamo inventata noi.”
(sotto una splendida incisione di un branco di lupi coi loro nomi)
Dopo quella chiacchierata di tanti anni fa, scrissi un pezzo su di lui che –so per certo– gli piacque molto (forse perché uscì assieme all’intervista a Fabrizio De André che avevo cercato tutta la vita). Lo ripubblico qui di seguito volentieri, per ricordare con un sorriso affettuoso, una cara persona che mi ha insegnato a stupirmi ogni volta per una tela di ragno, un insetto, una foglia.
Le Incisioni di Gianni Gallo (pubblicato sul n. 7 di anViagi, Dicembre 1997)
Se la figura di Einaudi ha lasciato in eredità alla città di Dogliani il rigore e la logica propria dell’economista, a ristabilire un certo equilibrio a colpi del classico “genio e sregolatezza” ci sta pensando da tempo Gianni Gallo, imperdibile personaggio di cui, scrivendo queste note, ci stiamo con buona probabilità giocando il saluto.
Già ingegnere (con titolo serenamente affidato alle ortiche) e da tempo contadino per scelta, Gianni Gallo è artista per passione (come Bocca di Rosa!).
Come dice lui, è già stato insignito della più alta qualifica che un tedesco possa conferire ad un essere umano, e cioè: “Eccelso Intagliatore di Legno”, vive assolutamente in pace col mondo (anche perché in effetti il mondo lo lascia in pace) senza telefono ma con dosi da adulto di libri che orgogliosamente nega di leggere (senza crederci neanche lui).
Le sue incisioni, ovvero i suoi disegni intagliati nel legno e poi riprodotti in tante immagini, raccontano al mondo un pezzo di queste terre e sono inconfondibili.
Non chiedetegli cosa pensa dei suoi lavori, vi risponderà che l’unico di cui gli importa è quello di domani; non cercatelo per definirlo, vi prenderà per i fondelli (espressione adeguatamente eufemistica); non iniziate a parlare con lui, non la finirà più; ma non pensate di andarvene sui due piedi, perché vi perdereste davvero qualcosa.
Immagini, persone e storie, definizioni folgoranti, mille aneddoti e ancora più giudizi feroci in vorticosa e caotica successione, così in contrasto con l’armonia dei suoi lavori come si conviene ad un artista degno di tal nome… e se un artista è una persona a nudo, Gianni Gallo è almeno da oltraggio al pudore!
Tante le etichette (per citare i lavori più noti) decorate e delicate (participio dell'inesistente verbo “delicare”, come sottolinea con puntiglio) semplicemente con un’ape, un ramo di nespole, una lepre, una chiocciola o una foglia di castagno. Come ricorda (perché Gianni non dimentica praticamente nulla) con una punta di saccente risentimento: “quando molti piantavano kiwi (dottamente conosciuti come actinidie) e facevano a gara per mangiare ananas e banane, io disegnavo i nostri frutti selvatici, che nessuno più voleva. Oggi –e gli scappa un beffardo sberleffo– mi dicono che li piantano negli orti e che li stanno di nuovo cercando nei boschi. Eppure erano già lì, trent’anni fa, sulle mie etichette!”
Un tratto pulito, quasi naif, sovente arricchito da colori morbidi e pastosi per esprimere (e qui siamo sicuri che si metterà a ridere) la sua visione del mondo, magari quello poco distante dal suo cortile, e soprattutto raccontarci la natura, e attraverso questa, tutti i ricordi che si ostina a non dimenticare.
Pietro Giovannini