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anViagi 17L’Editoriale

Un Nuovo

Pietro GiovanniniOriginariamente pubblicato nel marzo 1999

Un nuovo anno è iniziato (come sempre con anViagi) e noi lo abbiamo salutato con alcune modifiche grafiche che erano nell’aria da tempo: speriamo che il nuovo look di rubriche e itinerari piaccia a tutti i nostri lettori. Inoltre esordisce un’aletta in copertina con la possibilità di inserire i tanto desiderati titolini di richiamo…¹

Un anViagi più fresco quindi, un po’ più sbarazzino ma non per questo meno attento a tutto ciò che accade su questo grande comprensorio (a proposito, nelle pagine centrali troverete la Carta completa di Langhe, Monferrato e Roero, un piccolo poster che potrete staccare, appendere, regalare agli amici, depositare in cassetta di sicurezza ecc.).

Un anViagi che da questo numero si occuperà del Monregalese, delle Valli di Cuneo, del Saluzzese, senza trascurare Casale, Acqui e Ovada… era il Sogno di Aleramo, potrebbe essere anche il nostro noh?

L’anno nuovo si è aperto con la buona notizia della chiusura definitiva dell’Acna di Cengio (una croce secolare della Val Bormida) e del piano di investimenti per una bonifica di tutta l’area interessata dalle mefitiche emissioni dell’impianto. Intanto nelle Langhe si discute sempre più spesso (e anche animosamente) dell’impatto ambientale delle costruzioni (residenziali o industriali che siano), della necessità di una tutela ambientale forte, garantita da una legge ad hoc
Tutte cose che anViagi sostiene da sempre e a cui nel prossimo numero darà spazio per poter pubblicare le opinioni dei tanti che si battono per una difesa razionale (senza fare dell’integralismo ecologico quindi), ma concreta ed immediata delle belle colline.

A proposito di colline, l’itinerario del mese ci porta a Santo Stefano Belbo, tra quelle di Cesare Pavese, e crediamo che il 1999 di anViagi non sarebbe potuto iniziare meglio.

Infine una chicca che cercavamo da tempo: un’intervista alla stupenda Fernanda Pivano², che di Pavese fu allieva e che, come lui, si innamorò a diciannove anni dell’America, traducendo le poesie di Spoon River di E.L. Masters…
Di Pavese e di tutti gli altri suoi amici scrittori è meglio però che vi parli lei.

 

 

 

Ciao Fabrizio.
Hai cantato il dubbio e l’errore

Con voce profonda, con parole leggere
hai insegnato
che non ci sono poteri buoni.

Lasci il ricordo e l’esempio.
E la solitudine.

Ti penso in mare, Fabrizio
e mi manchi.³

 

 

¹ L’aletta di copertina è stata una delle nostre migliori intuizioni commerciali, inventando un retro promozionale davvero speciale e quindi estremamente richiesto. Devo confessare che però è nata solo per un vezzo del sottoscritto che non voleva sporcare la foto di copertina con gli inevitabili (e necessari) strilli: ora, essendo io cronicamente incapace di risparmiare, ho preferito aggiungere un’aletta (cioè un quartino), piuttosto di rinunciare alla bella foto pulita. E invece mi è andata pure bene! Nel tempo l’aletta viene ormai venduta in maniera ricorrente per manifestazioni e appuntamenti ciclici, sempre nello stesso mese. Fa eccezione Dicembre, quando l’aletta è appannaggio esclusivo di Romano Dogliotti: alberi di Natale, pacchi e regali, insomma tutto l’armamentario classico natalizio, rivisto in chiave Moscato, compreso uno storico Romano/Babbo Natale nelle vigne di Castiglione Tinella a Settembre. Meglio di una copertina di Andy Wharol: pura pop-art!

 ² Questa è l’intervista di cui vado più fiero. Molte delle cose che Nanda mi ha detto, uscirono molto più tardi sul Corriere della Sera, con  grande clamore e fior di commenti. L’intervista si svolse per telefono ed è stata l’unica volta che ho derogato al principio di guardare negli occhi il mio interlocutore… ma gli occhi di Fernanda Pivano è come se li avessi sempre davanti: sono gli occhi di chi non ha mai dovuto mentire, scegliere i compromessi, cercare le scorciatoie. Nanda l’ho incontrata infine a Milano e poi a Brescia, ai concerti di Dylan (!), mentre una piccola fila di ragazzi di mezzo mondo attendeva di stringerle le mani e baciarla come ringraziamento per una vita spesa a tradurre (ma sarebbe più giusto dire comunicare) la letteratura, l’arte e soprattutto la libertà.

³ Dolce e amaro. Un mese prima di intervistare Nanda, l’11 gennaio, moriva De André, il cantautore italiano che più ho amato e sicuramente il più bravo (così lontano dalla cialtromaggine e dal paraculismo di molti suoi illustri colleghi, sui quali avrei una serie di aneddoti che non basterebbe un libro…). De André era davvero diverso e io a otto anni avevo scoperto Nanda Pivano e Masters proprio grazie alle note di copertina di “Non al Denaro, Non all’Amore, Né al Cielo” e non il contrario… Dé André moriva in ospedale (si sapeva che non stava bene, ma le voci dell’ambiente non sono mai molto affidabili) ed io ero a Parigi: mi ricordo che ero nel Marais e pensavo (tu guarda!) a Proudhon, che dopotutto ai suoi funerali era andata tutta Parigi, e poi sono su questo treno per l’Italia è trovo una copia de Il Giornale con in prima pagina “Il Testamento di De André”  di Cesare G. Romana (che di Fabrizio era amico e biografo) e mi è venuta voglia di piangere. La notte a casa non ci ho dormito: dopo qualche giorno mi è uscita questa poesia, come mi succede a volte, di getto. Scrivere di De André mi costa fatica ancora oggi, ma il pezzo che forse gli sarebbe piaciuto (Il Cucchiaio di Vetro) l’ho fatto solo anni dopo per Nina Valfieri di Revignano d’Asti, sua compagna di giochi a quattro anni.