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anViagi 115L’Editoriale

D10S

Pietro GiovanniniOriginariamente pubblicato nel novembre 2008

Tra le tante piccole e grandi fortune di essere nato nel 1970 (una grande annata, meno celebre del 1971, ma grande!) tipo vedere crollare il Muro di Berlino o suonare qualche volta Bob Dylan dal vivo, c’è anche quella di aver visto il più grande calciatore di tutti i tempi (mio padre dice che Pelé non era così e mio nonno ci aggiungeva che nemmeno Piola).

Ovviamente sto parlando di Diego Armando Maradona.

Diego è stato tutto quello che un calciatore vorrebbe diventare, ma anche quasi tutto quello che un uomo non dovrebbe fare.

Il suo curriculum passa dalle cause di paternità (alcune palesemente fasulle) alla cocaina, da un ricovero per abuso di alcool alle fucilate ai giornalisti, dalle risse a fine partita alle squalifiche per doping.

In mezzo un capopopolo, un guerrillero col carisma nel sangue e il divismo nel cervello.

È comunque difficile se non impossibile parlare di Maradona, perché in realtà ce ne sono almeno due.

Il Primo è quello che vince tutto e anche di più, quello che a 15 anni dice che ha due sogni “Giocare la coppa del mondo. E vincerla.”; quello che viene dal barrio più povero di Buenos Aires, dalla fame e dall’emarginazione e fa sognare un miliardo di persone con i suoi gol; quello che porta a Napoli due scudetti, idolatrato dal più argentino (o jugoslavo) dei popoli italici; il Secondo è quello che vede complotti dappertutto per giustificare i suoi fallimenti, che si improvvisa revolucionario accanto a Castro, Chavez e Ahmadinejad, che si imbottisce di droghe per anni, che passa da una clinica ad un ospedale, ormai grasso e bolso, come l’ombra di se stesso.

Il Primo è quello che segna il gol del secolo all’Inghilterra nel 1986 (a 4 anni dalle Falkland) scartando tutta la squadra su assist del proprio portiere. Il Secondo è quello che segna l’altro gol, quello di mano; e prima nega, poi davanti alle riprese tv si giustifica con un colpo di genio: non era Maradona, era la mano de Dios; infine se ne vanta perché segnare di mano agli Inglesi è stato come rubare il portafoglio a un bobby.

Con buona pace del fair play.

Ma piace al popolo argentino che è un cru di italiani e spagnoli e che – proprio come noi – è sempre in cerca di un alibi e non sa mai perdere.Perché D10S non sbaglia mai.

Nell’imperdibile film “Maradona by Kusturica” ci sono tutte queste cose, ma anche molte altre.

C’è un parallelo pericolosissimo tra l’Argentina di Videla e la Jugoslavia di Milosevic, entrambe vittime del FMI, della CIA, dell’ONU, dell’Imperialismo Americano, della Spectre, della Morte Nera e forse anche di Sauron…

Kusturica, che è più attento, sfuma sulle responsabilità delle scelte fatte dai due regimi e poi patite da un intero popolo… ma in fondo la teoria del complotto mondiale piace anche i Serbi. Però non è questo il punto saliente.

Piuttosto Kusturica dice: sono sicuro che se non fosse stato un calciatore Diego sarebbe stato un rivoluzionario. È una bella frase, molto romantica, seducente, quasi da ufficio stampa… Eppure nel suo paese fino al 1983 c’è stata una dittatura militare (tra le peggiori) ma io non ricordo gesti rivoluzionari di Maradona. Anzi Videla utilizzò proprio il calcio come propaganda del regime, come nella vergognosa finale con l’Olanda nel 1978, quella con l’esercito a bordo campo. Nessuno ne fa una colpa a Maradona, però Kusturica potrebbe prenderla più bassa, anche solo per rispetto a chi in quegli stessi anni volava giù da un elicottero nell’oceano.

Per il resto il film ha grandi momenti, perché Kusturica, quando è in forma, è geniale. Inoltre Maradona con tutti i suoi difetti appare sincero e quindi incosciente… per cui dice tranquillamente cosa pensa, anche quando è una sciocchezza. In questo modo il film acquista un valore di documento-verità.

Ecco Diego che canta in un club una canzone autobiografica e alla fine è coro da stadio mentre lui abbraccia le figlie… la canzone suona allegra ma il testo è tristissimo: una vera reminiscenza degli autodafé spagnoli.

Ecco le carrellate dei suoi gol più belli montate su “God Save The Queen” dei Sex Pistols. E Diego supereroe da videogame che umilia Thatcher, Reagan, Blair e Bush. Oppure l’incredibile Chiesa Maradoniana (80.000 fedeli) in un crescendo di parodia blasfema (si va dal Padre Nostro al matrimonio, dai rosari al pallone con corona di spine…) che resta un cult.

Ecco Diego che confessa di essere stato drogato per anni, mentre le sue figlie piccole crescevano e lui così se le è perse per sempre. Non ha ricordi, la cocaina gli ha rubato tutto; lui ha vinto ogni partita ma poi ha buttato via la sua vita, quella vera: “Che coglione sono stato!”

Ecco Maradona seduto che parla con l’altro sé, più che col regista, e si chiede “Ma ti immagini che calciatore sarei stato senza la cocaina?” con l’altro Diego che chiosa “Che cosa ci siamo persi!” e infine il primo che conclude: “Io sono la mia colpa”.

Kusturica dice cose grandiose sul Tango. Un ballo che è Eros e Thanatos insieme: in quel movimento elegante come la morte, potente come la nascita sono racchiusi gli elementi della vita. Ecco: Maradona è un ballerino di Tango che danza con l’altro se stesso e ad ogni piroetta ci mostra sempre una faccia sola alla volta.

Anche adesso che allena la Nazionale di Calcio argentina – cosa che forse gli ha salvato la vita – potrà vincere i Mondiali o farsi cacciare tra due settimane. Nessuno può dirlo.

Di una cosa sono sicuro: che calciatore sarebbe stato… forse però è ancora in tempo a diventare un uomo. Auguri D10S… e grazie comunque.