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A Kosovo Polije nel 1389 il Principe Lazar attese l’esercito turco di Murat I in uno scontro senza speranze: morirono forse 100.000 uomini, tra cui i due comandanti. I turchi furono fermati ma ai serbi non rimasero più uomini in grado di combattere e presto l’intera Serbia finì nell’Impero Ottomano: ci restò 400 anni, alternando periodi di sviluppo a feroci repressioni. Ciò nonostante ancora oggi l’identità della nazione resta profondamente attaccata alla trasfigurazione epica di quella battaglia sacrificale, letta attraverso il mito ortodosso del martirio: infatti il Kosovo è la regione con più monasteri, e i più antichi (il nome completo è Kosovo e Metohija ovvero terra dei merli e dei monasteri).
A Niš, sulla strada per Sofia, sorge la Cele Kula, la macabra Torre dei Teschi, fatta costruire dai turchi ai serbi nel 1809 con 500 teste di ribelli: un altro esempio di martirologio serbo, un monumento impressionante, onorato e mai rimosso.
Sono stato in Serbia due volte negli ultimi due anni, una nazione bellissima e moderna, che però resta fuori dalla UE malgrado abbia strutture sociali, imprenditoria e organizzazione statale ampiamente superiori a Romania e Bulgaria.
Una nazione che è uscita sconfitta da dieci anni di guerre jugoslave (e di cui non portava tutta la responsabilità da sola), da un regime criminale come quello di Milosevic, da un embargo durissimo sofferto come sempre solo dalla popolazione civile, da un anno di bombardamenti indiscriminati e inutili, perché poi sono state le folle in piazza a Belgrado, a Novi Sad, a Niš a far cadere Milosevic… Nel 1999 la Serbia ha accettato una forza di interposizione (la KFor) nella provincia autonoma del Kosovo dove polizia ed esercito serbi combattevano i terroristi/patrioti (eterno dilemma) albanesi del’UCK. La risoluzione ONU prevedeva l’invio di KFor per favorire la pacificazione della regione, subordinandola però all’intangibilità dei confini serbi.
Cosa è successo poi? In questi 9 anni, grazie alla totale assenza di controllo dello Stato (ovvero la polizia serba, che non può agire in Kosovo), questo è diventato il centro di ogni traffico sporco; ma va bene così: nella regione c’è una base militare americana, ovviamente molto strategica per gli USA!
Fonti serbe parlano di 900 omicidi di cittadini serbi in 9 anni; fonti internazionali confermano la distruzione di centinaia di monasteri, chiese e opere d’arte serbe in Kosovo. È vero: oggi il 90% della popolazione è albanese (2 milioni di abitanti in 10.000 km²) ma oltre 250.000 serbi hanno abbandonato il Kosovo durante i bombardamenti; altri 700.000 erano già stati cacciati dalla Slavonia croata e dalla Bosnia.
Di fatto la tutela internazionale delle minoranze nella ex-Jugoslavia funziona solo se non sei serbo.
E invece la violenza albanese paga, perché oggi si è arrivati alla dichiarazione unilaterale di indipendenza (ovvero la Secessione) e soprattutto all’immediato riconoscimento da parte di USA, Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia (cioè dagli Stati con militari presenti nella regione).
Mi vergogno profondamente per la decisione del mio Paese, per di più presa da un governo delegittimato, in carica fino ad elezioni solo per l’ordinaria amministrazione.
Nella Serbia di Boris Tadic il Kosovo (come pure la Vojvodina) aveva già oggi uno status superiore a qualunque altra regione autonoma d’Europa. Invece la Secessione è una violazione palese della risoluzione ONU e del diritto internazionale, è un azzardo irresponsabile, dalle conseguenze catastrofiche ed imprevedibili per tutti i Balcani.
L’assenso internazionale crea a tutti gli effetti un precedente, apre la strada e legittima tutti i separatismi che covano all’Est come all’Ovest. Altro che caso unico ed eccezionale!
Il progetto di aggressione nazionalista pan-serbo di Milosevic (che ha scatenato le guerre jugoslave) diventa così improvvisamente buono in chiave pan-albanese… lo dice John Bolton, ambasciatore USA all’ONU, considerato un falco di Bush ma oggi in aperto contrasto con l’amministrazione americana; “Si tratta di una politica estera improntata all’ostilità verso la Serbia, come se ancora ci fosse Milosevic e non la leadership di Tadic che rispetta i principi democratici e guarda all’Europa”.
Gli fa eco Barbara Spinelli in un lucido articolo su la Stampa (che stride parecchio con le cronache dello stesso giornale da Belgrado, vero Zaccaria?): “d’un colpo i principali governi europei hanno smentito la propria storia, decidendo di proteggere un Kosovo che ha come palese ragion d’essere la segregazione etnica. Si sono trasformati in una forza che legittima quegli Stati razziali che a parole rifiuta”.
Si è riusciti inoltre a dare un palcoscenico di credibilità a uno come Putin, che è diventato –a ragione– il paladino del diritto internazionale: le ipotesi future non escludono l’invio di un contingente russo in Kosovo (la KFor non ha oggi più nessuno status giuridico: è a tutti gli effetti una forza di occupazione sul territorio di un paese sovrano) o il riconoscimento di altre regioni secessioniste filo-russe (Abkhazia, Ossezia e Transnistria). E siamo solo all’inizio... già baschi, corsi, fiamminghi e mille altre minoranze esultano per l’esempio kosovaro.
Bruxelles ha proposto alla Serbia l’ingresso nell’Unione in cambio dell’indipendenza del Kosovo, per un puro calcolo economico: evitare così di caricarsi anche il Kosovo, ovvero la regione più povera e pericolosa d’Europa.
Poteva essere anche un buon cambio e forse con altri Stati avrebbe funzionato… ma non con la Serbia.
Si possono osservare i Balcani con gli occhiali freddi dei diplomatici, o attraverso le lenti distorte del nazionalismo, o ancora attraverso le proiezioni economiche delle banche. Ogni volta si otterrà un’immagine diversa e puntualmente falsa.
I serbi guardano ancora la storia attraverso le orbite vuote dei teschi di Niš… è una prospettiva che noi forse non comprendiamo e gli americani non capiranno mai.
Ma dall’alto della Cele Kula si capisce benissimo che la Serbia non lascerà mai il Kosovo.
PS: a discapito dell’epica serba del sacrificio del proprio popolo, sul Campo dei Merli morirono insieme serbi, albanesi, bosniaci e romeni… a guardar bene il Kosovo avrebbe potuto diventare il simbolo della fraternità dei popoli balcanici.