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anViagi 87L’Editoriale

Riga Dritto

Pietro GiovanniniOriginariamente pubblicato nel marzo 2006

Questa la traduzione di “Walk the line”, celebre hit di Johnny Cash ed ora anche un film biografico sul più grande cantante country americano.

In realtà Cash non è stato solo un “cantante country”: la sua musica, lo stile, la voce, il modo di scrivere hanno influenzato intere generazioni di musicisti. Ma nei cervelli che ragionano solo in binario (bianco-nero, buono-cattivo, destra-sinistra) Cash era il Country, cioè l’alfiere di quella provincia profonda che spesso era anche la più reazionaria, quella che aveva votato Nixon e che era anche un po’ razzista e sicuramente maschilista… quindi Cash era “un impresentabile” nei circoli liberal di New York come nelle comunità hippy di San Francisco… 

Eppure un giorno, proprio l’eroe di quella Generazione chiamò Cash, dicendosi onorato che proprio lui avesse cantato un suo pezzo e volle duettare con la voce più bella d’America: la canzone era Girl from the north country, l’eroe era Bob Dylan. Dylan scandalizzò così i benpensanti della left wing almeno quanto Cash fece inorridire la destra per essersi unito a “quella specie di comunista”.

Poverini: erano tutti convinti che gli artisti debbano appartenere ad uno schieramento… quando proprio Dylan aveva già detto chiaramente (e inutilmente) che “non esiste una destra e una sinistra, c’è solo un alto e un basso” e Johnny Cash era altissimo. Una leggenda vivente.

Aveva iniziato nel ’54 a Memphis, negli studi di una sconosciuta etichetta -la Sun- che nel giro di pochi mesi si ritrovava con lui, Jerry Lee Lewis, Carl Perkins e un ex-camionista belloccio che sapeva ballare in modo scandaloso, tal Elvis Presley… the Million Dollar Quartet  spopolò in tutta l’America con il rock’n roll (e non il country); poi ognuno prese per sé e Cash affrontò pagine bianche e pagine nere, vittima del successo e della sua personale incapacità di programmarsi, di controllarsi, di fermarsi: un genio generoso e impulsivo, un artista sincero e spontaneo ma imprevedibile. Venne arrestato per droga al confine messicano, fecendosi la fama di duro e di maudit, descritto dalla stampa come un uomo autodistruttivo ricchissimo e degenerato, ma intanto lui divorziava per unirsi a June Carter, che gli scrisse Ring of Fire, disintossicandolo e spedendolo in chiesa tutti i giorni... June è rimasta con lui tutta la vita (non deve essere stato facile).

Così come Cash per tutta la vita non dimenticò le sue origini poverissime: lui che era davvero figlio della Depressione e a 12 anni già raccoglieva cotone in Arkansas, tra gli inni sacri della madre e le botte ubriache del padre. Soprattutto non si dimenticò mai di quelli che non ce l’avevano fatta, persi per strada o in galera, e lui sì che è rimasto sempre dalla parte dei poveri, degli indiani, degli homeless… di tutti gli emarginati d’America, in onore e memento dei quali -sul palco- si vestiva solo di nero.

Il 13 gennaio 1968, the Man in Black salì sul palco più difficile della sua vita: il carcere di Folsom, davanti a 2000 detenuti, guardati a vista da poliziotti armati. Attaccò con “I shot a man in Reno, just to wach him die”, al direttore quasi venne un infarto ma ne uscì un disco dal vivo che fece storia.

Il film prende le mosse proprio da lì: è un bel film, autentico, non celebrativo, molto musicale con ritmo e colpi di scena proprio come la vita di Johnny… Reese Witherspoon/June è brava da Oscar ma Joaquin Phoenix/Johnny è straordinario… il film si ferma a Folsom ma Cash ha cantato ancora 35 anni: restano imperdibili i dischi delle American Recordings e il cofanetto Unearthed, dove sceglie -voce e chitarra- canzoni di chiunque per trasformarle in sue: pure, solenni, indimenticabili.

Tutti oggi gli devono qualcosa.“Lui era una grande quercia in un giardino di erbacce” ha detto Bono; per Nick Cave, “Johnny aveva l’inferno e il paradiso dentro e insieme uscivano quanto cantava”. E oggi è Bob Dylan che si veste di nero sul palco.

Cash se ne è andato ancor giovane, a 71 anni nel settembre del 2003, nemmeno quattro mesi dopo sua moglie June: diabete, parkinson, danni ai polmoni e al pancreas lo avevano definitivamente minato, ma forse –alla fine– Johnny Cash è morto come è vissuto: di amore.
Un happy end per una vita da leggenda. Anzi, da film.