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anViagi 74L’Editoriale

Draghi

Pietro GiovanniniOriginariamente pubblicato nel ottobre 2004

La Cina cresce al ritmo del 10% annuo… il Corriere della Sera apre una corrispondenza da Pechino… ovunque tutti ripetono che la Cina è il “futuro”… magari gli stessi che 5 anni fa vaticinavano che l’e-commerce era il futuro… e fermiamo qui l’elenco delle cantonate.
In ogni caso la tigre asiatica, che si è già mangiata in insalata le altre concorrenti (Corea, Thailandia, etc.) e si avvicina agli storici rivali del Giappone, è un fenomeno interessante, anzi paradigmatico.
In primis per la disinvoltura con cui i Cinesi sono passati dal libretto rosso al libretto degli assegni, dal sacro drago ai draghi della finanza, poi per la straordinaria deregulation economica realizzata nel paese con più vincoli al mondo (nel “paradiso” cinese esistono infatti 124 reati passibili di pena di morte, ma neanche uno straccio di tutela sindacale!), infine per gli inevitabili danni che “nell’epoca della globalizzazione” (ma che cosa vorrà dire poi? Sarà multimediale ‘sta globalizzazione, o virtuale? Farà sistema o scenderà in campo?) il sistema cinese produce e produrrà sulle traballanti economie europee.
Ora, è evidente che se un giocatore utilizza tutte le norme che lo tutelano e non ne rispetta nemmeno una che lo svantaggia… probabilmente vince sempre, ma poi gli altri si stufano e lui finirà per farsi dei solitari…
Quello che intendo dire è che è inaccettabile che la Cina produca ed esporti a prezzi sottozero non perché più brava o meglio attrezzata ma semplicemente perché il prezzo della manodopera è sottoterra (come molti suoi lavoratori del resto), perché non rispetta nessun copyright e in più è protezionista con le imprese che investono laggiù (società a capitali cinesi, joint-venture etc.).
È demenziale che le imprese italiane chiudano qui per andare in Cina a produrre a un decimo (per “restare sul mercato”).
Vuol dire sostanzialmente produrre povertà in patria per esportare ricchezza all’estero: ovvio che se diventiamo più poveri poi la domanda italiana si contrae…
Altrettanto ovvio che al singolo imprenditore non possa fregarne di meno (essendo il suo fine l’utile e non il benessere degli italiani) ma allo Stato qualcosina forse dovrebbe importare.
È chiaro che, se il discorso fosse circoscritto all’Italia, il ragionamento non reggerebbe, ma se parliamo di Europa (massì, quella cosa bella che ci dicono sempre sia stata fatta solo nel nostro interesse!) allora le cose cambiano.
Traduco: se l’intera Europa si impoverisce per arricchire l’1% di cinesi già schifosamente Paperoni e il relativo 10% di industriali europei, qualcosa non va. E allora non ci vedo nulla di male (anzi è necessario) a tassare il delta tra prodotto “made in Europe” e prodotto “made in China” per scoraggiare o equilibrare gli investimenti del vecchio continente.
E l’Europa lo potrebbe fare per un motivo innanzitutto: è il primo mercato del mondo.
Senza di noi tutto quel ben di Dio scopiazzato e schiavizzato, i cinesi a chi lo vendono? Forse a loro stessi? Magari!
Vorrebbe dire che in Cina si sta formando una società con l’80% a classe media come nelle democrazie evolute.
Invece nell’attuale medioevo cinese, sono riusciti a sposare il peggio del comunismo col peggio del capitalismo.

E quello sarebbe il futuro? Non il mio.

E spero neanche il vostro.