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anViagi 7L’Editoriale

Giro di Boa

Pietro GiovanniniOriginariamente pubblicato nel dicembre-gennaio 1997

Con il numero 7 di anViagi se ne va il 1997 e inizia un nuovo anno: altri itinerari, altre avventure, nuove esperienze… di solito si fa il bilancio dell’anno appena passato e si stilano i buoni propositi per quello dopo. Per quanto riguarda i bilanci, i nostri chiudono bene (per un’esperienza editoriale appena nata) con consensi e seguito in crescita e moltissimo entusiasmo da parte di tutta la redazione. 

Un grazie sincero quindi a tutti i lettori e ai nostri sponsor, senza i quali anViagi non potrebbe esistere. 

Per i buoni propositi invece, ribadiamo quanto scritto sul numero 1, e cioè che continueremo a scrivere una rivista da leggere, da vedere, magari da conservare… non un dépliant da sfogliare distrattamente e buttare via. Per questo la rivista è diventata a pagamento (di ben duemila lire!), per questo diamo poco ma qualificato spazio alla pubblicità (diretta -of course- che di redazionali e pubblicità occulta sono già piene le edicole), per questo i nostri mesi volano come i vostri giorni. 

A proposito di mesi: il numero 7 esce a Dicembre¹ e resterà in circolazione fino a tutto Gennaio; idem per il numero 8 (Febbraio/Marzo) poi la mensilità riprenderà regolarmente. Il motivo è evidente: i flussi turistici calano d’inverno. Perché? Questo è meno evidente: certo la serrata invernale di molte strutture, pubbliche e private, non incoraggia una controtendenza… chissà, magari in futuro molti si convinceranno che l’inverno è una bellissima stagione, come ne siamo convinti noi, che passeremo questi mesi con le gambe sotto i tavoli di qualche Osto a spazzare bagna caoda, polenta e coniglio, il cinghiale e la lepre, e tutte le altre leccornie che non ci direte certo che si mangiano volentieri ad Agosto!

Buon Anno a tutti… e buona lettura anche nel 1998 con anViagi!

 

¹In questo numero uscì l’intervista che mi è costata più fatica: quella a Fabrizio De André, realizzata ad Alessandria dopo il concerto, con il mio mito italiano (non vorrei mai trovarmi ad intervistare quello americano…) decisamente stanco e scazzato, e un collega –grandissimo rompicoglioni– prima di me, grazie al quale appunto le interviste slittarono a dopo il concerto (di solito si fanno prima, con l’artista fresco e magari anche vagamente interessato; dopo di solito non vede l’ora di andare a dormire… De André poi tornava a Milano con tutta la famiglia!). Avevo aspettato anni l’occasione per fare questa intevista, che poi a rileggerla andò pure bene, ma di tutte le volte che ho incontrato De André (dopo i concerti non era certo difficile, era l’uomo meno divo del mondo) questa è stata l’unica in cui mi è sembrato di obbligarlo a parlare, di forzarlo a fare una cosa di cui avrebbe volentieri fatto a meno. E per un maestro di libertà come lui, questo era davvero troppo. Ricordo che chiacchieravo di lui con Luvi prima dell’intervista, e che quando è finita lei mi è venuta incontro un po’ preoccupata: conosceva bene suo padre, con cui a volte era impossibile andare d’accordo (parole sue): “Come è andata?” mi chiese, “Diciamo che è andata…” le risposi; lei mi baciò sulla guancia dicendo “Coraggio, non è sempre così.”“Lo so.” dissi io.