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anViagi 63L’Editoriale

Mucha

Pietro GiovanniniOriginariamente pubblicato nel settembre 2003

 

È il 1860.
Alphonse Mucha nasce a Ivanice, un piccolo paese della Moravia, Impero austro-ungarico. Pare inizi a disegnare prima di imparare a camminare, in ogni caso da adolescente è già deciso a fare il pittore: si ritrova a 27 anni a Parigi, senza un soldo, a dividere una stanza con un tal Gauguin.

Forse il suo nome non è notissimo, diverso il discorso per le sue immagini, anzi l’Immagine: quella del secolo che sta iniziando, nell’euforia frizzante della Belle Époque. Nasce infatti proprio nella Parigi di fine ‘800, l’Art Nouveau di cui Mucha è uno dei massimi esponenti.

Tutti conoscono quelle donne sognanti, di una bellezza impossibile, immerse in decori complicati, in paesaggi da fiaba: visioni idealizzate che, in un’eco di classicismo, richiamano le Stagioni o le Stelle o ancora le Arti.

Le Donne di Mucha appunto.

Accanto ai quadri, Mucha inizia a realizzare tutti i manifesti teatrali di Sarah Bernhardt, la diva dell’epoca, poi passa alla grafica delle prime pubblicità (quei manifesti di champagne, vermouth e spumante che oggi sono contesi dai collezionisti), il gioielliere Fouquet gli commissiona il suo nuovo atélier (esempio di arte totale, dai mobili alle decorazioni, dagli specchi ai quadri).

L’arte non è più concepita per un’élite, inizia ad essere fenomeno di costume, oggetto di consumo, moda. Tutto può essere Arte.

A poco più di trent’anni, Mucha è ormai famosissimo. Viaggia molto: nel 1919 è nella Russia sconvolta dalla Rivoluzione; nel 1921 è a New York per una personale voluta dal miliardario Charles Crane.

 

È il 1948.
Praga è una delle poche città europee scampate ai bombardamenti. Nel quartiere ebraico, dove vivevano 70.000 ebrei, ne sono sopravvissuti meno di 1.000. Con un colpo di stato è salito al potere il comunista Gottwald, realizzando de facto gli accordi di Yalta, con i quali Stalin si annetteva mezza Europa. Nasce la Cortina di Ferro, scompaiono le Donne di Mucha.

 

È il 935.
Re Venceslao viene assassinato davanti alla Rotonda di San Vito, da lui fondata, per ordine del fratello Boleslao. Lo fanno Santo, eroe e protettore di Boemia e Moravia. La dinastia Premyslida governerà però ancora 400 anni. Poi arriveranno i Lussemburgo e infine toccherà agli Asburgo.

 

È il 1918.
Dalle ceneri dell’Impero austro-ungarico è nata anche la piccola Cecoslovacchia: Mucha torna a Praga, dove per la neonata repubblica disegna di tutto, dalle banconote, ai francobolli, alle medaglie dei reduci. Per la grande Cattedrale di San Vito disegna e realizza un’intera finestra: un capolavoro del vetro a piombo.

 

È il 1402.
Il riformista Jan Hus inizia a predicare nella Cappella di Betlemme a Praga; da Roma lo scomunicano; nel 1414, munito di salvacondotto imperiale, Hus si presenta al Concilio per difendere le sue tesi ma è un tranello: l’Inquisizione lo imprigiona; un anno dopo Jan Hus verrà bruciato come eretico in piazza a Costanza, senza mai ritrattare. Al Papa arrivano centinaia di lettere di protesta dei nobili boemi: iniziano le guerre hussite.

 

È il 1928. Mucha finisce lo Slav Epic, ciclo monumentale di 20 enormi tele dedicate a storia e leggende del popolo slavo: dalla mitica principessa Libuse, alla fine della servitù in Russia. Al progetto Mucha ha lavorato per 18 anni, e lo dona allo Stato.

 

È il 1968. Il tentativo di rinnovamento di Dubcek, segretario del partito, fallisce mentre gli eserciti del Patto di Varsavia invadono il paese. Dubcek, convocato a Mosca, viene promosso giardiniere. Intanto, in piazza Venceslao sfilano i carri armati sovietici e si spara sulla folla: condanne da tutto il mondo, compreso il PCI italiano. Un anno dopo uno studente, Jan Palach, si darà fuoco nella stessa piazza. Alla fine della repressione sovietica, saranno oltre 100 i morti della Primavera di Praga.

 

È il 1938.
Si firma il Trattato di Monaco: l’Europa dei Nani si inchina a Hitler: gran paciere Mussolini, che ottiene per l’alleato tedesco l’annessione dei Sudeti (cechi ma di lingua tedesca). La cenerentola Cecoslovacchia non è stata neanche invitata ai negoziati, mentre nelle cancellerie si brinda alla ritrovata pace. Infatti un anno dopo Hitler a marzo occupa Boemia e Moravia e a settembre si divide con Stalin la Polonia, mentre la Slovacchia diventa un protettorato. La Gestapo procede immediatamente agli arresti politici; Alphonse Mucha è tra i primi dieci: ha ormai 79 anni e morirà due settimane dopo. 

 

È il 1989.
L’anno della Rivoluzione di Velluto: crolla il Muro, la gente pacificamante scende in piazza: stavolta non arrivano i carri armati, ci sono invece libere elezioni. Un drammaturgo, Vaclav Havel, storico dissidente, è eletto Presidente della Repubblica. Quattro anni dopo, Cechi e Slovacchi si separano di comune accordo. Le Donne di Mucha sorridono di nuovo.

 

È il 2003.
Il 27 luglio al Vetna Park suonano (ma è già la terza volta) i Rolling Stones. Centomila ragazzi boemi, moravi, slovacchi ma anche lituani, polacchi, ungheresi aspettano la migliore Rock ‘n’ Roll Band del mondo: sul palco sale uno speaker particolare, Havel stesso, camicia e mani in tasca, per presentare il concerto; fa gli auguri a Mick Jagger (che ha compiuto 60 anni il giorno prima), invita tutti a godersi la musica, ballando e cantando senza incidenti e soprattutto senza dimenticare mai i totalitarismi, perché qui a Praga anche un concerto rock è un’immagine di libertà.

 

È il 1996.
A Praga viene inaugurato il Mucha Museum, dedicato al più grande artista ceco. Il ciclo dello Slav Epic è esposto invece nel castello di Moravsky Krumlov, in Moravia. In piazza Venceslao, sotto la celebre statua, una targa ricorda Palach e tutte le vittime del Comunismo: qui la gente non fa mai mancare fiori freschi. Praga è rinnovata in tutto il suo splendore, dal Castello a Màla Strana, dal celebre Orologio al quartiere ebraico. Le Donne di Mucha sono bellissime.

 

È il 1º maggio del 2004, la Repubblica Ceca (insieme con Slovacchia, Ungheria, Polonia, Slovenia e Repubbliche Baltiche) entra nell’Unione Europea. Senza più inquisizioni, guerre, cortine, muri, frontiere…

Le Donne di Mucha non sono mai state così belle.