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anViagi 137-138L’Editoriale

Sorrisi

Pietro GiovanniniOriginariamente pubblicato nel marzo 2011

La ragazza sorride con i capelli lunghi, le gote rosse, felicemente abbarbicata al suo fidanzatino.

Lui ha gli stivali, le guance paffute, i capelli spettinati e lo sguardo furbo.

Lei è bella, ma non bellissima. E lui accanto a lei sembra finalmente alto.

Ma la protagonista è lei: perché sorride col cuore e con gli occhi, così stretta nel suo impermeabile, stretta al suo ragazzo… stretta in quel rigido inverno che incornicia tutto di neve.

I due ragazzi camminano sotto casa, in mezzo alla via, tra le macchine parcheggiate.

I colori sono il beige del giubbotto scamosciato di lui e il grigio-verde di lei; e il bianco di quei denti, più brillante della neve e del cielo.

Don Hunstein (il fotografo) li ha fissati per sempre così: giovani e felici, che camminano spavaldi verso il futuro, con tutti i sogni in tasca.

Lei si chiama Suze ma porta un cognome italiano –Rotolo– che forse lui non è mai riuscito a pronunciare bene. Lui invece ha un cognome da ebreo tedesco, i suoi nonni venivano dalla Lituania: si chiamavano Zimmerman, ma appena arrivato in città se lo è cambiato.

Ora si fa chiamare Bob Dylan.

È l’inverno del ‘62-63. Siamo a New York, in Jones Street nel cuore del Greenwich Village.

Questa foto diventa la copertina del suo secondo disco: The Freewheelin’ Bob Dylan (Bob Dylan a ruota libera), quello che lo renderà famoso, quello con Blowin’ In The Wind, Don’t Think Twice, Hard Rain e Masters Of War per capirsi.

E quella foto diventa un’icona americana, un simbolo degli anni ‘60.

Suze Rotolo gli resta abbracciata ancora qualche mese, ispirandogli alcune delle sue canzoni migliori, poi se ne andrà in punta di piedi: indifferente al fatto di essere diventata un’icona, consapevole che quelle canzoni, quel disco e quella foto appartenevano alla vita di Dylan, non alla sua.

La vita di Suze Rotolo iniziava al fondo di quella strada, fuori dall’obbiettivo; e lei ha girato l’angolo senza rimpianti.

Suze Rotolo ha speso la sua vita tra arte e impegno civile, in quello stesso Village, dove ha sempre vissuto, senza chiasso o troppa pubblicità. Leale, carismatica, coerente.

Pochi anni fa ha scritto un bel libroA Freewheelin’ Time su quel magico Village degli anni ‘60, in cui c’era anche Lui certo, ma molte altre cose in più. 

I fans però hanno continuato a cercarla e ad andare a trovarla… d’altra parte –come diceva lei ridendo– “è impossibile far uscire quell’elefante dalle stanze della mia vita”.

Alla fine, l’ultimo venerdì di febbraio di quest’anno, sempre in punta di piedi, è uscita prima lei –la sua vita– ad appena 67 anni.

Susan Rotolo è morta di tumore tra le braccia di Enzo Bartoccioli, suo marito per 40 anni.

Ci lascia quella copertina, le tasche vuote dei sogni e delle utopie della sua generazione e una frase/epitaffio da mettere accanto a quel disco, dietro a quel magico sorriso: “we had something to say, not something to sell”.

May you rest in peace, Suze.