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anViagi 135L’Editoriale

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Pietro GiovanniniOriginariamente pubblicato nel novembre 2010

Se un vostro amico vi dicesse che ha visto un film storico meraviglioso, dove il protagonista in una sola vita aveva conosciuto tra gli altri Garibaldi, Mazzini, Crispi, Napoleone III, Custer, Toro Seduto, Geronimo, passando da Parigi alla Cayenna, da Roma a Londra, da New York a Little Bighorn… beh forse pensereste che gli sceneggiatori a volte esagerano e che quello più che un film storico sia un James Bond ante-litteram!
Invece è un puro parto di fantasia, perché non esiste nessun film (e probabilmente non si farà mai) sulla vita vissuta dal conte Carlo Di Rudio.
Una vita autentica quanto incredibile, che avrebbe fatto la felicità di Jules Verne, Emilio Salgari e Robert Louis Stevenson.

Nato a Belluno (Impero Austriaco) nel 1832, a 15 anni Di Rudio sceglie la carriera militare e va nel collegio militare di San Luca a Milano col fratello Achille. Ma un anno dopo entrambi sono coinvolti nei moti del ‘48, dove uccidono un soldato croato che aveva stuprato e ucciso due donne, e vengono quindi trasferiti in Stiria, a Graz. Tornati a Belluno di nascosto, in seguito alla repressione austriaca diventano seguaci di Mazzini, combattendo assieme per la Repubblica a Venezia con Pier Fortunato Calvi e Daniele Manin. Ma Achille muore di colera durante l’assedio e Carlo ripara a Roma. Ed è come garibaldino nella difesa della Repubblica Romana che conosce mezzo Risorgimento italiano da Mazzini a Garibaldi, da Mameli ai fratelli Dandolo. I sentimenti anti-pontifici si sommano in lui a quelli patriottici, formando quel misto di eroismo, laicismo e liberalesimo che è la sintesi del nostro migliore Risorgimento. Caduta Roma, è però braccato ovunque… riesce a riparare in Francia mentre Garibaldi, perduta la moglie nelle paludi di Comacchio, si rifugia infine oltreoceano, a New York dove lavorerà in una fabbrica di candele di un certo Antonio Meucci…
A Parigi invece Di Rudio lotta con i Giacobini contro il colpo di stato di Napoleone III nel 1851 e lasciata la Francia ormai per lui impraticabile, ci riprova in Cadore, fomentando una delle tante fallite insurrezioni mazziniane: gli austriaci gli arrestano il padre e la sorella, lui scappa a Genova e si imbarca per l’America, ma la nave fa naufragio. Incredibile ma si salva, arriva in Spagna, poi in Svizzera e quindi in Piemonte (dove si sono rifugiati anche i genitori) da dove parte infine in esilio per l’Inghilterra.
Per un po’ si rassegna a fare il giardiniere e nel 1855 sposa una parente del fondatore del Salvation Army, Eliza Booth, che gli darà sei figli. Ma il giardinaggio non è certo la vita che vuole e due anni dopo si unisce a Felice Orsini per l’infausto attentato a Napoleone III (8 morti e 150 feriti) che rischia di far fallire gli accordi (segreti) di Plombières. Sono in 4, ognuno tira una bomba, fanno una strage ma l’Imperatore e la moglie rimangono illesi: la polizia li arresta subito. Due (Orsini e Pieri) vanno al patibolo, due (Di Rudio e Gomez), graziati, si beccano l’ergastolo alla Cayenna.
Tanti anni dopo, ormai in pensione a Pasadena, Di Rudio rivelerà un fatto clamoroso: non fu Orsini a tirare la prima bomba ma… Francesco Crispi, anche lui a quel tempo esule in Francia, garibaldino e rivoluzionario! Crispi, onorato Primo Ministro del Regno d’italia, è morto da poco (e forse è per questo che Di Rudio prima ha sempre taciuto) e così si alza un polverone di smentite, accuse e difese indignate a cui la storia italiana ci ha poi abituati. Chissà com’è andata davvero?
Certo qualcuno (oltre alla fortuna) protegge questo Conte rivoluzionario perché in meno di un anno riesce a evadere dalla Cayenna (ben prima quindi di Papillon), chiedere asilo nella Guyana inglese e da qui tornare a Londra il 29 febbraio 1860.
Ed è davvero strano che a questo punto Di Rudio non rientri in Italia, dove a Solferino gli austriaci sono stati sconfitti per la prima volta e la Lombardia con Emilia e Toscana è già parte del Regno di Sardegna. Non può poi non venire a sapere della spedizione dei Mille ed è incredibile che non vi partecipi. Forse è diventato un testimone scomodo… forse è proprio Crispi che non lo vuole.
E così, grazie a una pubblica colletta di simpatizzanti inglesi, Di Rudio si imbarca con la famiglia per New York.
Sbarca in piena Guerra Civile, e manco a dirlo si arruola subito nel 79º Highlanders NY Volunteers.
Partecipa da soldato semplice all’assedio di Petersburg in Virginia e finisce la guerra in Florida nella polizia militare col grado di Sottotenente. Decide di rimanere nell’esercito e nel 1869 viene riassegnato al 7º Cavalleggeri di un giovane e ambizioso comandante: George A. Custer.
Con Custer non si trova da subito: lui è repubblicano, l’altro democratico (e chi lo avrebbe detto eh?) ma più che altro Di Rudio, a 37 anni, è ormai un veterano, carico di quella gloria che l’altro non ha ancora davvero assaporato. Insomma Custer lo vede come il fumo negli occhi; pochi del resto nell’esercito del resto credono alle sue avventure, chiamandolo ironicamente count-no-account (il conte senza credito).
L’antipatia di Custer gli salva però la vita. Infatti nel 1876, in occasione di una grande campagna contro i Sioux, visto che non lo vuole fra i piedi, Custer briga per assegnarlo alla compagnia di Reno. La gloria, il Figlio della Stella del Mattino, la vuole solo per sé e i suoi seguaci: di gloria quel 25 giugno Custer ne troverà anche troppa.
E così a Little Bighorn, secondo gli ordini di Custer, Reno attacca il grande villaggio indiano da sud, per spingere gli indiani verso Custer, ma i Sioux sono migliaia: viene respinto e si trincera sulla collina oltre il fiume. Nello scontro Di Rudio con un altro soldato rimane indietro appiedato… ma con sangue freddo e coraggio sfuggono agli indiani, riuscendo però a riattraversare il fiume solo il mattino del 27, quando ormai Custer e il 7º sono stati annientati.
Si è salvato solo un trombettiere che ha raggiunto miracolosamente la colonna di Benteen con il famoso messaggio “Rinforzi, un grande villaggio, presto, portate munizioni. PS: portate munizioni” che lui non ha manco letto, perché –come molti del 7º– è un immigrato sbarcato da poco, e non capisce bene l’inglese. Con Di Rudio si intende però a meraviglia… in italiano! Infatti il trombettiere è un ex-garibaldino di Sala Consilina: si chiama Giovanni Martino, ma sui libri di storia rimarrà come John Martin, “l’ultimo uomo a vedere Custer vivo”. Eroe di guerra, sopravvissuto ai Sioux, morirà poco epicamente investito da un camion a New York da bigliettaio della metropolitana.
Di Rudio invece prende parte ancora a molte altre campagne, incontrando Capo Giuseppe e poi Toro Seduto e anche Geronimo. Non parteciperà (per sua fortuna) a nessuno dei criminali massacri indiani dell’esercito americano.
Infine nel 1896 a 64 anni Old Rudy viene congedato col grado di Maggiore; si ritira in California, dove nel 1905 festeggia le nozze d’oro (celebrate da molti giornali come “The Golden Day for One of Garibaldi’s Men”) con la sua Eliza e un mucchio di figli e nipoti.
Con il ritratto di Mazzini accanto, si spegne cinque anni dopo, nel giorno di Ognissanti, nella Città degli Angeli… ironia della sorte per un ateo dichiarato come lui. Cremato, le sue ceneri riposano nel cimitero nazionale di San Francisco, davanti al Golden Gate, tra gli Eroi delle Guerre Indiane.

Se fosse stato inglese, con quel curriculum l’esercito americano lo avrebbe fatto di sicuro Generale; se fosse nato francese, per le sue idee sarebbe diventato un eroe nazionale; se fosse nato americano, con una vita così ad Hollywood ci avrebbero fatto almeno due film e decine di libri.
Invece era nato italiano: un idealista forse ingenuo ma patriottico, coraggioso, coerente ed onesto.
E infatti non lo ricorda nessuno.