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anViagi 114L’Editoriale

Time

Pietro GiovanniniOriginariamente pubblicato nel ottobre 2008

Ricordo come fosse ieri l’inizio dell’autunno nella mia città, quando si ritornava a scuola ai primi di ottobre (a pieno regime, dopo il breve rodaggio dell’orario provvisorio). Ricordo l’aria che cambiava, le mattinate pungenti, le commesse che lavavano i marciapiedi, le bandiere del Palio appese ai balconi, una leggera frenesia che correva per le vie della città. 

Ricordo mio nonno, il notaio, che puntuale alle 12 usciva dall’ufficio e al sabato mi portava al mercato, quello alimentare in piazza del Bestiame (non la terza scelta cinese che è oggi), e attraversando via Cavour salutava praticamente chiunque, poi arrivava dai banchi del formaggio o del pesce (che io odiavo per gli odori intensi) e iniziava a contarsela con gli ambulanti, felice come una Pasqua. Oppure entravamo nel pastificio per comprare due ravioli per tua nonna (che in realtà erano per lui) e dal maslé per due etti di carne cruda che da Cogno ho visto dei funghi proprio belli.

L’arrivo dell’autunno in queste vie di porfido piene di torri e campane, ancora oggi mi suona tutto un Cerea Nodàr, in voci squillanti di madamin minute e frettolose, che mi accarezzavano il berretto dicendo Ma che bel matotin. L’autunno che cambiava tutti i colori anche in città, che era lepri e fagiani bellissimi anche da morti, che era odore di muschio umido per terra in mezzo alle castagne d’India, che dovevo sempre tenerne una in tasca, così non prendi il raffreddore.

L’autunno delle caldarroste e del fumo, dei banchetti che spuntavano come funghi nella via maestra, piena di alimentari, verdurieri, panettieri e macellai, una via che non si era ancora arresa alla dittatura delle boutiques e del passeggio da sfilata, una via dove passavano le macchine! …ma tanto erano poche.

L’autunno era un’eccitazione sottile e palpabile che si respirava nell’aria: non so se fosse l’euforia per la vendemmia o l’attesa per la Fiera, la grande Fiera di Alba, la più grande delle Langhe che ci vengono anche da fuori e quest’anno c’abbiamo pure in televisione… la fiera di un tartufo che allora era ancora abbondante e non da capogiro, se è vero che al Nodàr gliene regalavano sempre uno o due ogni sabato, che poi comprava la fontina e mia nonna all’una si metteva a fare la fonduta, sbuffando e brontolando.

L’autunno delle bucce di arancia sul potagé ad aromatizzare l’aria, l’autunno dei mosti e del primo fango, l’autunno del Balsamo di Tigre spalmato prima di andare a dormire, come solo una nonna può fare.

Mi ricordo l’autunno delle figurine Panini che erano il vero campionato, l’autunno a Cinzano nel piccolo zoo dove guardavo sempre i lama che non sputavano mai, l’autunno al Mango con una teoria infinita di parenti e la domenica passata a tavola tra racconti in dialetto e interminabili, noiosissime discussioni di politica, oppure dai mezzadri al Robaldo dove invece ci davano la larga subito alle 2 e giocavamo con gli altri bambini della borgata tra il fienile e la stalla, sognando di crescere in fretta per seguire i grandi a caccia.

L’autunno non è cambiato, anche oggi uscendo di casa in un unico botto ne avverto l’universo di sensazioni, odori, ricordi, emozioni… io sono diventato grande da molti anni ma non sono mai andato a caccia, anche se ora mi spiace di non averci accompagnato il Nodàr almeno una volta.

L’autunno su queste colline in fondo è rimasto lo stesso, anche se i negozi, la fiera, le vie della città, la borgata al Mango e un po’ tutti noi siamo cambiati.

The time is gone, the song is over, thought I’d something more to say.

Invidio chi dei quattro Pink ha scritto il testo di Time, perché ha saputo vedere e descrivere così bene il futuro e i suoi rimpianti.

Dieci (o venti) anni che se ne vanno in un attimo, l’attesa inconscia che succeda qualcosa di decisivo, le domeniche pomeriggio passate ad ammazzare il tempo, e poi la corsa col fiato sempre più corto, i giorni che diventano brevi e il tempo che manca sempre, i progetti lasciati a metà e la sensazione latente di aver perso per sempre the startin’ gun…

Se ne vanno alla spicciolata, mese dopo mese, i grandi del rock. Nel giro di dieci anni forse saranno tutti morti. E a noi non resta che mettere su un disco, guardare la pioggia battere sui vetri, tenendoci stretta la copertina con sopra 4 volti da ragazzini.

There’s no dark side of the moon really… matter of fact it’s all dark.

Time è una grande canzone: profetica, cosmica, malinconica.

E la morte del tranquillo e discreto Rick Wright (il vero creatore del suono “Pink Floyd”, schiacciato tra i caratteri più forti ma megalomani e paranoici di Gilmour e Waters) l’ha solo resa un po’ più triste.

Come questo mio autunno di ricordi e nostalgia.

 

 

"I Pink Floyd hanno avuto molti vantaggi per non aver mai venduto noi stessi con le nostre facce. Uno è che puoi andare in giro per strada senza alcun problema." (Richard Wright)