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Sugli agnolotti

Piero AlciatiOriginariamente pubblicato nel 1998

Sono il primo piatto simbolo dei giorni di festa di tutta l’area delle province di Asti, Alessandria e Cuneo ed entrano nei menù delle ricorrenze particolari, quando nelle famiglie piemontesi ci si riuniva a banchetto. 

Anche a causa della lunga preparazione e della ricchezza dei componenti non poteva essere un mangiare quotidiano, quindi nelle occasioni particolari si impegnava più tempo nella preparazione del menù e, il più delle volte, le nonne avevano l’incarico di tirare la sfoglia sottile destinata a racchiudere il ripieno.

Agnolotti o Ravioli sono oggi considerati sinonimi, ma pare che siano nati prima i Ravioli, in epoca medievale, e che non sempre la pasta avvolgesse il ripieno, ma lo stesso, grazie all’uovo dell’impasto, fosse solamente infarinato e cotto in brodo. La leggenda vuole che dopo l’assedio del Principe d’Acaja al castello del Marchese del Monferrato, per festeggiare la ritrovata libertà, venne organizzato un grande banchetto, ma in grandi ristrettezze e mancanza di materie prime il cuoco dovette inventarsi un piatto: farcì quindi una sfoglia di pasta con un trito dei resti della povera dispensa inventando gli involtini che presero il suo nome Piat d’Angelot, quindi Agnolòt.

Maggiore documentazione abbiamo nella versione più recente: il cuoco di Maria Luigia d’Austria, duchessa di Parma e Piacenza, Vincenzo Agnoletti, introdusse il termine “Agnellotti alla piemontese” per denominare una sua ricetta tratta probabilmente da un’analoga preparazione monferrina.

Un altro riferimento storico ci viene da un pranzo organizzato dal cuoco della Contessa di Castiglione, su incarico di Napoleone, in onore dell’Imperatore austriaco dove, per fargli dispetto, vennero serviti agnolotti tricolori.

Molto più modestamente, nelle campagne piemontesi l’agnolotto era comunque piatto dove l’abilità della cuoca era anche quella di saper recuperare gli avanzi e le parti meno nobili delle carni amalgamandole con erbe e spezie (l’uso della noce moscata) e forse questa esigenza di economizzare le risorse ha fatto sì che l’agnolotto perdesse un po’ della sua nobiltà e, addirittura nelle scuole alberghiere si è insegnato per molto tempo, spero non più, a preparare gli agnolotti con gli avanzi della giornata quando proprio il ristorante dovrebbe avere la possibilità di preparare il ripieno con i migliori ingredienti.

La capacità di tirare una sfoglia sottile e l’abilità di chiudere l’agnolotto con il classico plin ne aumentano la qualità assoluta al di là del ripieno dettato da tradizioni locali, stagione e fantasia del cuoco: troviamo difatti agnolotti di magro, con i tre arrosti (vitello, coniglio e costina di maiale), ripieni di fonduta, con melanzane e porcini, di patate e porri, di carne d’asino, poi la freschezza della preparazione diventa fondamentale, bisogna far sì che la pasta riposi in frigorifero per poco tempo, affinché non si asciughi e non si induriscano gli angoli e la cottura deve essere fatta in abbondante acqua salata.

Vengono conditi con burro e salvia, sugo d’arrosto e va ricordata l’usanza contadina di gustarli, solo bolliti, versando nel piatto un bicchiere di vino rosso, ed un modo di apprezzarne la pasta ed il ripieno è quello di farli bollire e di servirli, completamente sconditi, su un tovagliolo di lino.