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È paradossale che di uno dei pittori piemontesi più importanti nella storia dell’arte abbiamo pochissime testimonianze documentali, quasi tutte riferite alle sue opere e alla loro datazione.
Di Macrino d’Alba, il cui vero nome era Gian Giacomo De Alladio sappiamo davvero pochissimo. Non la data di nascita che Edoardo Villata, nel suo approfondito studio critico, pone intorno al 1470 e nemmeno dei suoi genitori. Ad Alba c’era una famiglia nobiliare col cognome Alladio, ma è improbabile che un nobile rampollo si dedicasse alla pittura, salvo che come hobby. È possibile che Macrino venga da un ramo collaterale di questa famiglia che non aveva conosciuto onori e gloria.
Nulla di certo si sa del suo periodo giovanile romano, dove si formò la sua arte pittorica. È praticamente certo che si sia formato alla scuola di Pinturicchio, ma i critici lo desumono dalle assonanze pittoriche, non da fonti documentali. Non è nemmeno certa la data del suo ritorno ad Alba. È probabile che corrisponda con il viaggio intrapreso dal Vescovo di Alba Andrea Novelli insieme a Benvenuto San Giorgio di Biandrate, cavaliere gerosolimitano e cronista ufficiale del Marchesato del Monferrato e da Ludovico Tizzoni, effettuato all’inizio del 1493 per portare l’omaggio del marchese di casale Bonifacio IV Paleologo al Papa appena eletto Alessandro VI, celebre esponente della famiglia Borgia, il padre del Duca Valentino.
L’ipotesi è plausibile in virtù del contesto storico che ci aiuta a inquadrare l’avventura artistica di Macrino D’Alba. A cavallo fra il XV e il XVI secolo il Marchesato del Monferrato e la sua dinastia, quella dei Paleologi cerca nel suo piccolo di imporsi sul territorio piemontese anche attraverso il mecenatismo artistico, nello stile delle splendide corti del centro Italia e di Roma. Contemporaneamente giunge a guidare la diocesi albese Andrea Novelli, fra i pochi che cerca di portare la nuova arte rinascimentale nel territorio piemontese. Sua infatti è l’iniziativa di ricostruire il duomo di Alba, i cui lavori partirono nel 1486. Sembra che Novelli sia stato una sorta di nume tutelare per Macrino anche se il pittore albese ebbe numerose committenze. Il ritratto del vescovo eseguito dall’artista mette in luce diversi particolari che fanno capire quanto fossero vicini. Inoltre è documentato un prestito del vescovo a Macrino nel 1504, anno in cui con molta probabilità il pittore non lavorò.
Il nuovo arrivato si impose subito sulla scena artistica albese. Nel 1495 realizzò un polittico (oggi trittico) dedicato alla Madonna, a diretto confronto con un’opera simile dell’artista astigiano Gandolfino da Roreto. Questi aveva avuto diverse committenze nella capitale delle Langhe che si sono interrotte con l’arrivo di Macrino. Il soprannome che lo ha poi identificato per i posteri deriva dalla firma che lasciava lui stesso. Si ritiene che sia un soprannome assegnatogli in bottega negli anni romani, che si riferisce al suo fisico magro e asciutto. Gli anni successivi sono quelli di una carriera folgorante. Nel 1496 realizzo un polittico per la Certosa di Pavia, cantiere prestigioso nel nord Italia supervisionato direttamente da Ludovico il Moro, il Duca di Milano. Del 1498 è la Pala con la Madonna in Gloria, realizzata per la certosa di Valmanera. Probabilmente Macrino piaceva per il nuovo stile pittorico che portava da Roma e che seguiva la scuola toscana dei pittori che hanno segnato il Rinascimento, ma comunque è sempre rimasta la rivalità con Gandolfino da Roreto che aveva gran parte delle sue committenze ad Asti. Il pittore albese eseguì soprattutto opere a tema religioso (con protagonista la Madonna), il suo stile è caratterizzato da un’attenzione particolare per il movimento delle figure nello spazio dell’opera per i paesaggi ampli e spaziosi, caratterizzati da ruderi e rimandi all’antica Roma, caratteristici della scuola di Pinturicchio. Una delle sue opere più celebri è la Madonna e Santi (1501) che si può ammirare nel municipio di Alba, ma forse l’artista è celebre soprattutto per i suoi ritratti, come quello di Guglielmo IX Paleologo e Anna D’Alencon del 1503.
Stando alle notizie a noi giunte, dopo il 1505 Macrino non lavorò più fuori Alba. Un’indicazione che sembra mostrare una sorta di decadenza della sua fama. Più probabilmente l’èlite politica che lo aveva riportato in patria era ormai tramontata e il suo lavoro e la sua fama rimasero circoscritte all’ambito cittadino. L’ultima sua opera di cui abbiamo notizia certa risale al 1513 data di composizione di una Madonna per una collezione privata. Non si conosce l’anno della sua morte ne le cause, certamente non successiva al 1528.
Macrino è nato nell’ombra e così se n’è andato. Ha anche lasciato una ben magra eredità. Alcuni pittori hanno provato a seguire le sue orme, provenienti dalla sua bottega, ma senza particolare successo. In sostanza non si è sviluppata una scuola pittorica rinascimentale, anche se minore, fra le colline langarole. Resta il bagliore di un artista dotato di grande talento le cui opere oggi sono sparse nel mondo, poche sono rimaste nelle Langhe, a testimonianza dell’apprezzamento della sua arte nei secoli successivi.